La nuova terapia per il tumore al seno? Un’iniezione sottocutanea che dura, al massimo, 8 minuti

È arrivata l’approvazione da parte della Commissione europea per Phesgo. Si tratta di una terapia per il carcinoma mammario basata sugli stessi farmaci standard, pertuzumab e trastuzumab, somministrati però per via sottocutanea anziché con infusione endovenosa. Il trattamento garantirebbe tempi di esecuzione più veloci di oltre il 90%.
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Kevin Ben Alì Zinati 4 Gennaio 2021
* ultima modifica il 29/01/2021

All’orizzonte si aprono nuovi importanti scenari per il trattamento del tumore al seno in fase precoce e metastatica HER2-positivo. Tutto grazie a Phesgo, una combinazione di farmaci "vecchia" ma innovativa. Sì, perché la terapia a base di pertuzumab e trastuzumab anziché essere somministrata, come già accade per via endovenosa, viene unita agli enzimi ialuronidasi e inoculata per via sottocutanea: la tecnica, che è appena stata approvata dalla Commissione europea, garantisce gli stessi effetti ma il trattamento è di oltre il 90% più veloce.

Lo studio

L’approvazione dell’associazione a dose fissa di pertuzumab e trastuzumab per iniezione sottocutanea da parte della Commissione europea si basa sui risultati dello di fase III FeDeriCa.

Il progetto è nato con l’obiettivo di valutare la farmacocinetica, l’efficacia e la sicurezza di pertuzumab e trastuzumab in associazione alla chemioterapia iniettati sottocute rispetto alle infusioni endovenose standard. Il campione per il progetto ha compreso 500 donne con tumore al seno HER2-positivo precoce trattato prima e dopo l’intervento chirurgico.

L’inoculazione sfrutta le ialuronidasi umana ricombinante PH20: si tratta di enzimi in grado di degradare temporaneamente lo ialuronano, una catena di zuccheri naturali nel corpo, in modo da poter così favorire la dispersione e l’assorbimento delle sostanze iniettate.

I vantaggi

Il trattamento prevede gli stessi anticorpi monoclonali della terapia standard, quindi pertuzumab e trastuzumab, somministrati però per via sottocutanea e i risultati dello studio hanno prima di tutto dimostrato che i livelli nel sangue dei due farmaci non erano inferiori rispetto alle somministrazioni endovenose.

La vera rivoluzione starebbe nel fattore tempo. La nuova tecnica prevede infatti una fiala monodose da iniettare per via sottocutanea: per eseguire la dose di carico iniziale ci vorrebbero circa 8 minuti e più o meno 5 minuti per ogni successiva dose di mantenimento contro, invece, ai 150 minuti necessari per la prima l’infusione e i 60-150 minuti circa per le successive.

Il nuovo trattamento, dunque, non solo riduce significativamente il tempo necessario per la terapia di base ma diminuisce al minimo anche l’impatto delle terapie sulla vita quotidiana delle pazienti.

Fonte | Roche

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