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Docenti tutor nelle scuole? Perché la soluzione proposta dal ministro Valditara ci sembra riduttiva

Da settembre 2023 nelle scuole italiane arriveranno quasi 40mila tutor per personalizzare il percorso didattico. È il primo passo di quella “rivoluzione del merito”, ma né gli studenti né gli psicologi sono soddisfatti: “La scuola non è solo nozionismo passivo “.
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Maria Teresa Gasbarrone 31 Marzo 2023
* ultima modifica il 31/03/2023
In collaborazione con Camila Velotta Membro esecutivo nazionale Rete medi degli studenti

È un film già visto: Valditara parla e nell'arco di qualche ora scoppia la polemica. Dopo aver annunciato l'arrivo nelle scuole italiane di due nuove figure, quella del tutor e del docente orientatore, il ministro dell'Istruzione ha anticipato in un'intervista che già a già a settembre entreranno nelle classi quasi 40 mila tutor per gli studenti degli ultimi tre anni di scuola superiore e circa 10 mila orientatori, uno per ogni scuola.

Come anticipato dalla bozza del decreto presentata lo scorso 22 marzo, entro la fine del 2023 verrano stanziati 150 milioni di euro per finanziare l'inserimento di queste due nuove figure, fino a raggiungere fino a raggiungere l'obiettivo di 100 mila tutor, dalla prima media alla quinta superiore.

Eppure  la strada tracciata dal ministro corre parallelamente senza incontrarsi mai con quella suggerita dagli studenti, che soprattutto negli ultimi mesi hanno puntato i piedi per far ascoltare i propri bisogni. Tra questi però la cultura del merito non c'è, anzi il suo superamento è proprio una delle battaglie più sentite.

Come cambierà la scuola

Ma quale sarà il loro compito di queste nuove figure? Stando alla bozza del decreto, il docente tutor avrà il compito di "coordinare e sviluppare le attività didattiche a favore di una personalizzazione dell’istruzione, favorendo il recupero per i ragazzi che manifestano maggiori difficoltà e consentendo a quelli che hanno particolari talenti di potenziarli".

Mentre "il docente orientatore dovrà invece favorire le attività di orientamento per consentire ai ragazzi di fare scelte in linea con le loro aspirazioni, potenzialità e progetti di vita".

Una soluzione banalizzante

"Anche se esiste – spiega Camilla Velotta, esecutivo nazionale Rete medi degli studenti – un problema anche per quanto riguarda l'apprendimento, la soluzione proposta dal ministro Valditara ci sembra banalizzante". Per Velotta le parole del ministro rivelano alcune criticità che mostrano come da parte del governo non ci sia stata una reale comprensione delle richieste avanzate dagli studenti, soprattutto per quanto riguarda il loro benessere psicologico.

Prima di spiegare quali sono facciamo un passo indietro. Nemmeno troppo indietro. Proprio il 22 marzo l'Unione degli universitari (Udu) e la Rete degli studenti medi hanno presentato una proposta di legge per chiedere l'istituzione di un presidio psicologico in ogni scuola.

Più che il rendimento scolastico infatti sono altre le questioni che preoccupano gli studenti italiani. La pandemia li ha spinti a riflettere sulla loro condizione psicologica, ma come hanno rivelato i risultati di un sondaggio somministrato a 30mila studenti in tutta Italia, la questione è ben più profonda e riguarda la struttura e i valori stessi che plasmano la scuola italiana, valori che i ragazzi di oggi non si sentono più di condividere.

Oltre il "nozionismo passivo"

"Le parole di Valditara – ma ce lo aspettavamo – non rispondono affatto alle nostre richieste. Il primo problema – continua Velotta – riguarda i numeri: il ministro parla ancora di classi da 30, facendoci capire che rispetto al tema delle "classi pollaio" non si si voglia fare molto".

Un altro, forse il più importante, riguarda la centralità del rendimento nudo e crudo. "Non credo che la soluzione sia individuare un personale alternativo solo per una fascia di studenti, anzi c'è il rischio che questa scelta possa fomentare la competitività e accentuare la divisione nella classe tra studenti di serie A e studenti di serie B".

A questo punto il tema non è la mancanza di fondi, ma come vengono investiti. "Non sarebbe più utile – si chiede la referente dell'associazione studentesca – usare quei soldi per far fronte al problema della mancanza di insegnanti?".

Infine l'ultimo punto, meno concreto ma non per questo meno determinante: "Tutto si risolve – aggiunge Velotta – nella risposta che si dà alla domanda: qual è il senso profondo della scuola?".

"Se anche le misure che si possano attuare all'interno della scuola sono volte al solo miglioramento delle prestazioni scolastiche, io credo che non ci sia una reale consapevolezza del ruolo della scuola, al di là del nozionismo passivo".

Anche gli psicologi dicono no

La proposta di Valditara non ha lasciato delusi solo gli studenti, ma anche la categoria degli psicologi, che non hanno nascosto le loro preoccupazioni. Nello specifico il gruppo di esperti della "Task force Scuola" del Consiglio nazionale dell'Ordine degli psicologi (Cnop) ha diffuso una nota piuttosto chiara:  "Davvero secondo il ministro sono sufficienti venti ore di formazione aggiuntive per i docenti, con qualche ora di psicologia, per sostituirsi ai professionisti di cui necessitano le nostre ragazze e i nostri ragazzi nelle scuole?" 

Quella della presenza di uno psicologo a scuola non è una richiesta solo degli studenti: "Tutto il mondo della scuola – continua la nota ufficiale – chiede da tempo una presenza qualificata di psicologi per la promozione delle risorse dei ragazzi, per l’ascolto e la prevenzione, per supportare il personale scolastico. Ieri l’Istituto Superiore della Sanità ci ha detto che un adolescente su due è a rischio: cosa si vuole aspettare?”.

Fonti | Ministro dell'Istruzione, Cnop

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