La stagione influenzale quest’anno è iniziata in anticipo. Cosa dobbiamo aspettarci? Ne parliamo con il prof. Petrosillo

“In Australia, dove la stagione fredda arriva prima, hanno registrato un’esplosione di casi” avverte il professore, ma “al momento non ci sono avvisaglie di una sintomatologia più grave”. Perché quest’anno sarà molto importante puntare sulla prevenzione e cosa si intende per vaccino rafforzato.
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Giulia Dallagiovanna 26 Settembre 2022
* ultima modifica il 26/09/2022
Intervista al Prof. Nicola Petrosillo Responsabile di Prevenzione e Controllo delle Infezioni presso il Policlinico universitario Campus Biomedico di Roma e per 22 anni primario all'Istituto Nazionale per le Malattie Infettive "Lazzaro Spallanzani"

Da quando il Covid è entrato a far parte delle nostre vite, ci siamo anche abituati a stagioni influenzali anomale rispetto all'epoca pre-pandemia. Durante l'inverno 2020-2021, mascherine e lockdown ripetuti hanno fatto sì che ci potessimo dimenticare dei più tradizionali malanni di stagione. L'anno successivo abbiamo invece assistito a un inaspettato colpo di coda delle sindromi influenzali a fine marzo, soprattutto tra bambini e ragazzi. Cosa dobbiamo aspettarci allora per quest'autunno?

"Un numero di contagi più elevato anche rispetto agli anni prima del Covid – risponde il professor Nicola Petrosillo, oggi responsabile di Prevenzione e Controllo delle Infezioni presso il Policlinico universitario Campus Biomedico di Roma e che per 22 anni è stato primario all'Istituto Nazionale per le Malattie Infettive "Lazzaro Spallanzani". – Qualche avvisaglia l'abbiamo già avuta, basti guardare a quello che è accaduto nell'emisfero Sud, dove la stagione arriva prima. In Australia hanno un sistema di sorveglianza molto accurato e hanno registrato un'esplosione dei casi: a fine agosto i laboratori ne avevano confermati più di 200mila. Dobbiamo ricordarci che questa è solo la punta dell'iceberg, perché la maggior parte delle persone che si ammala non necessita di un ricovero in ospedale e non viene sottoposta a test".

In Italia i primi tre casi sono stati registrati già a inizio settembre: sembra un evento piuttosto anomalo. Lei cosa ne pensa?

In realtà, non lo definirei anomalo, ma solo prematuro. I virus influenzali iniziano a circolare a settembre, anche se di solito i primi pazienti emergono a ottobre. Dobbiamo però tenere conto della sospensione di gran parte delle misure di prevenzione in vigore in questi ultimi anni, come mascherine, distanziamento sociale e i diversi lockdown. Inoltre, non dimentichiamoci che oggi è attiva una sorveglianza più capillare sulle infezioni respiratorie. Questo significa che molti più pazienti vengono sottoposti a test per capire se i sintomi siano riconducibili al Covid o all'influenza, pratica di cui prima non avevamo bisogno.

I pazienti di Bologna hanno dai 28 anni in giù e uno di loro mostrava già i sintomi di una polmonite. Dobbiamo aspettarci una malattia più aggressiva rispetto agli scorsi anni?

Al momento non ci sono avvisaglie di una sintomatologia più grave. Chi si reca in ospedale lo fa proprio perché ha una malattia che necessita di cure più importanti e quindi è normale rintracciare polmoniti tra questi pazienti. Anche in Australia il tasso di complicanze è stato in linea con la norma. Non dobbiamo dimenticare che l'influenza rimane una patologia seria e da tenere sotto controllo, soprattutto per i soggetti più fragili. Ogni anno si registrano tra i 5mila e i 15mila decessi: numeri decisamente inferiori rispetto al Covid, ma si tratta comunque di persone che muoiono.

Dopo due anni di mascherine, distanziamento e misure di prevenzione contro il SARS-Cov-2, il nostro sistema immunitario si è indebolito di fronte alle comuni infezioni respiratorie?

Durante il periodo di restrizioni che abbiamo vissuto il nostro sistema immunitario ha avuto meno occasioni di "allenarsi". Mi spiego: si tratta di un sistema che si mantiene in esercizio producendo anticorpi ogni volta che entrano nell'organismo degli elementi esterni considerati minacce. Con la riduzione della circolazione del SARS-Cov-2 abbiamo contenuto anche quella di tutti gli altri virus respiratori, tra cui influenza e raffreddore. Inoltre, sono calate le vaccinazioni antinfluenzali perché tutta l'attenzione era concentrata sul quelle per il Covid. Il nostro sistema immunitario quindi non ha avuto occasione di "fare esercizio", per così dire.

Ora che abbiamo quasi del tutto abbandonato le misure di prevenzione, assisteremo a una ripresa di infezioni respiratorie, come è già accaduto nell'emisfero Sud. Se negli anni precedenti c'erano molti contagiati che mostravano pochi o addirittura nessun sintomo, quest'anno potremmo avere più persone che dovranno restare a letto qualche giorno.

Le mascherine non sono più obbligatorie neanche nelle scuole, dobbiamo aspettarci un picco di contagi tra bambini e adolescenti? Come possiamo prevenire la trasmissione dei virus?

Il picco di contagi è probabile, per questo bisogna giocare d'anticipo e puntare sulla prevenzione. Dobbiamo ricordare ai bambini di lavarsi spesso le mani o di igienizzarsi con le soluzioni idroalcoliche, perché sulle superfici che toccano a scuola o sui mezzi pubblici potrebbero essersi depositati dei droplets infetti. Le persone che mostrano sintomi da raffreddamento, inoltre, dovrebbero rimanere a casa dal lavoro e da scuola. Sappiamo però che questo accorgimento ha un impatto sociale non indifferente e anche per questo motivo la prima arma di prevenzione è il vaccino.

A tal proposito, le linee guida aggiornate dei CDC degli Stati Uniti consigliano un dosaggio di vaccino superiore per chi ha più di 65 anni ed è già affetto da malattie pregresse. Quali sono i vantaggi?

I CDC americani si riferiscono a vaccini quadrivalenti, quindi mirati contro 4 ceppi virali, ma con un contenuto di antigeni virali di quattro volte superiore rispetto al farmaco classico. È il cosiddetto "quadrivalente rafforzato" che è presente anche nel nostro Paese, ma non fa ancora parte della campagna di prevenzione per una serie di ragioni, tra le quali rientrano anche i costi. Lo scopo principale è quello di stimolare una risposta immunitaria più forte in un sistema immunitario fragile.

Il vaccino quadrivalente "rafforzato" ha un contenuto di antigeni virali di quattro volte superiore rispetto al quadrivalente classico

In letteratura ci sono già studi che hanno dimostrato l'efficacia di questa strategia. Una recente ricerca danese, ad esempio, ha confrontato gli effetti dei due vaccini su altrettanti gruppi di persone che avevano circa 70 anni. Con il quadrivalente rafforzato è emersa una riduzione delle ospedalizzazioni e dei decessi. Parliamo quindi di un farmaco che potrebbe essere consigliato per popolazioni ben selezionate di persone.

A metà ottobre partirà la campagna vaccinale in Italia. Alcuni regioni hanno già annunciato che l'anticiperanno all'inizio del mese. Ci ricorda l'importanza della vaccinazione antinfluenzale?

I vaccini antinfluenzali, anche se non rafforzati, garantiscono una riduzione del rischio di contrarre l'influenza con un'efficacia comunque elevata: attorno al 60%. Significa che dimuiscono le probabilità di sviluppare complicanze e quindi di morire, soprattutto per i pazienti più fragili. Inoltre, si riducono gli effetti sulla vita sociale perché si perdono meno giorni di scuola e di lavoro.

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