L’Alzheimer nasce da 75 geni, 42 dei quali sono stati scoperti per la prima volta: si apre la strada per nuove potenziali cure?

Uno dei più grandi studi mai realizzati al mondo ha coinvolto più di 110.000 campioni di DNA provenienti da pazienti affetti da Alzheimer e li ha poi confrontati con quelli di 750.000 soggetti sani. I risultati hanno fatto maggiori luce sui potenziali fattori di rischio genetico per lo sviluppo della forma più diffusa di demenza.
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Kevin Ben Alì Zinati 11 Aprile 2022
* ultima modifica il 16/05/2022

La scienza ha scoperto 75 nuovi geni associati all’Alzheimer, 42 dei quali non era mai stati scoperti prima. Perché è decisamente importante? Ti faccio fare un passo indietro.

Sull’Alzheimer sappiamo diverse cose. Sappiamo, per esempio, che è la principale causa di demenza e che secondo le stime a livello globale su oltre 50 milioni di persone con demenza circa il 60-70% soffrirebbe di Alzheimer: cifre che nel giro di 20-30 anni potrebbero  aumenteranno ancora.

Sappiamo che l’Italia è l’ottavo paese con il maggior numero di persone affette da demenza (1,4 milioni) e che circa 600mila di questi sono colpiti dal morbo.

Ad oggi tuttavia non sappiamo altre cose. Per esempio: al momento non abbiamo una cura contro l’Alzheimer e tutti i trattamenti disponibili sono mirati a rallentare il declino cognitivo e ridurre alcuni sintomi.

Per proporre nuovi bersagli terapeutici e quindi arrivare serve sapere ancora di più sulla lattaia e sulle sue origini. Per riuscire a contrastare l’Alzheimer serve conoscere i fattori di rischio genetico che possono aiutarci nella prevenzione della malattia e, allo stesso tempo, nell’individuazione di nuovi bersagli su cui impostare le terapie.

È ciò che ha fatto uno dei più grandi studi mai eseguito sull’Alzheimer messo a punto da ricercatori provenienti dall’Europa, dagli Stati Uniti e dall’Australia con cui sono state individuate le 75 regioni del genoma associate al morbo di Alzheimer, 42 delle quali assolutamente nuove e mai implicate nello sviluppo e diffusione della malattia prima.

Capisci, insomma, che i risultati pubblicati su Nature Genetics potrebbero davvero aprire al strada a nuove conoscenze sui meccanismi biologici dell’Alzheimer e, in prospettiva, anche a nuove forme di diagnosi e di trattamento.

Lo studio è stato enorme e ha coinvolto più di 110.000 campioni di DNA provenienti da pazienti affetti da Alzheimer, confrontati con quelli di 750.000 soggetti sani.

Dai risultati è emerso, per esempio, che alcune di questi 75 geni sono implicate nell'accumulo di peptidi beta-amiloidi e nella modificazione della Tau, una proteina che si trova sotto forma di aggregati nei neuroni: si tratta di due fenomeni patologici cerebrali tipici della malattia

Le analisi, inoltre, hanno permesso di scoprire che nel morbo di Alzheimer si verificherebbero anche la disfunzione dell'immunità innata e dell’attività della microglia, una cellula immunitaria presente nel sistema nervoso centrale con il ruolo di eliminare i rifiuti cellulari tossici.

"Infine, questo studio mostra per la prima volta che la via di segnalazione dipendente dal fattore di necrosi tumorale alfa (TNF-alfa) è coinvolta nella malattia” hanno spiegato i ricercatori dell’Università di Lille, che hanno contributo in maniera sostanziale allo studio.

Questi risultati confermano e si aggiungono insomma alla nostra conoscenza dei processi patologici coinvolti nella malattia e aprono quindi nuove strade per la ricerca terapeutica contro l'Alzheimer.

Fonte | "New insights into the genetic etiology of Alzheimer’s disease and related dementias" pubblicata il 4 aprile 2022 sulla rivista Nature Genetics

Le informazioni fornite su www.ohga.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.