Come curarsi in casa con il Covid? Le linee guida per i medici di famiglia

Le ultime indicazioni che i medici di famiglia hanno ricevuto per la cura a domicilio dei pazienti Covid risalgono a marzo. Servono quindi linee guida aggiornate e mentre si attende la pubblicazione di un protocollo ufficiale da parte del Ministero della Salute, l’Ordine dei medici della Lombardia ha fornito un primo vademecum.
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Giulia Dallagiovanna 17 Novembre 2020
* ultima modifica il 29/11/2020

Hanno dovuto navigare a vista per un po' di mesi, basandosi su indicazioni ricevute a marzo e aprile, quindi non aggiornate con i risultati degli ultimi studi. I medici di Medicina Generale, figure fondamentali nella rete della sanità territoriale la cui missione è contenere il numero dei ricoveri in ospedale, sembra stiano per ricevere un nuovo protocollo per la cura dei pazienti Covid a casa redatto dal Ministero della Salute. Al momento, esiste solo una bozza di linee guida, ma ha già ricevuto critiche precise dalla FIMMG (Federazione Italiana Medici di Medicina Generale). Nel frattempo, l'epidemia segue il suo corso e non si ferma ad attendere che la Sanità si organizzi. Così, l'Ordine dei medici della Lombardia ha deciso di intervenire, emanando un proprio vademecum destinato alla cura dei pazienti che possono essere gestiti fuori dalle strutture.

Il protocollo del Ministero della Salute

Come ti dicevo prima, non esiste ancora un testo ufficiale. Il documento è stato redatto da un gruppo di lavoro del quale fa parte anche il presidente del Consiglio superiore di Sanità, Franco Locatelli. Da quanto si è appreso fino ad ora, le indicazioni riguardano prima di tutto le terapie farmacologiche che è possibile somministrare a domicilio. Per lenire la febbre si consiglia quindi il paracetamolo, seguito da antinfiammatori se i sintomi peggiorano, mentre il cortisone deve essere prescritto solo in caso di emergenza, per evitare di indebolire il sistema immunitario della persona. Per quei pazienti che hanno difficoltà a muoversi viene infine indicata l'eparina. Come ci si poteva immaginare, dal momento che parliamo di un virus e non di un batterio, gli antibiotici non servono a nulla.

Oltre ai farmaci, le linee guida dovrebbero anche aiutare il medico a valutare meglio la gravità della situazione. Probabilmente conterrà una classificazione delle varie fasi della malattia:

  • infezione lieve: presenza di febbre, ma senza dispnea e alterazioni radiologiche, cioè nessun segnale che faccia pensare a una polmonite interstiziale
  • infezione moderata: presenza di polmonite diagnosticata e saturazione che si attesta sui valori di soglia
  • infezione severa: ossigenazione al di sotto della soglia, elevata frequenza respiratoria, infiltrazioni polmonari
  • infezione in stadio critico: insufficienza respiratoria, shock settico o insufficienza multiorgano

Per gestire il paziente a casa sarà poi fondamentale che funzioni la collaborazione tra medici di famiglia, USCA (Unità speciali di continuità assistenziale) e caregiver quando sono presenti. Naturalmente, solo i pazienti con infezione lieve o moderata possono continuare a rimanere al proprio domicilio, mentre quando il Covid-19 arriva in forma severa, il ricovero è necessario.

Le proteste dei medici

Da tempo si attendeva un documento che uniformasse a livello nazionale il trattamento dei pazienti non ospedalizzati. Eppure, quanto partorito sino ad ora dal tavolo di lavoro non ha soddisfatto le richieste. Prima di tutto perché nessuna sedia era occupata da un medico di Medicina Generale in quanto rappresentante della categoria e che conoscesse più nel concreto la situazione che si voleva risolvere. Non solo, ma non si è nemmeno vista la collaborazione con pneumologi e virologi, che potessero fornire indicazioni più chiare sul modo di affrontare i diversi stadi della malattia. Infine, ci si chiede come mai non sia stata fatta alcuna distinzione tra pazienti giovani e quelli over50.

Non si fa differenza tra pazienti giovani e over50 e non sono stati interpellati pneumologi o virologi

Critiche che si uniscono a quelle contro la gestione dei Covid hotel. Le strutture si prefigurano infatti come zone ad elevato rischio di contagio, dal momento che ospitano persone positive che non hanno possibilità di isolarsi all'interno della propria abitazione. Questo però comporta anche un'organizzazione adatta alla situazione: sarebbe quindi più opportuno, lamentano i medici di famiglia, che vi fossero degli specializzati in Medicina Interna a seguire i pazienti. Insomma, persone abituate a gestire le procedure di vestizione e vestizioni con le tute di biocontenimento e gli altri dispositivi di sicurezza.

Le linee guida dell'Ordine dei medici

Nell'attesa che arrivi un provvedimento nazionale definitivo, l'Ordine dei medici della Lombardia, regione con il maggior numero di contagi e dove gli ospedali sono in sofferenza, ha emanato una serie di linee guida per i medici di famiglia. Le indicazioni sono state redatte con l'aiuto del professor Massimo Galli, primario di Malattie Infettive dell'Ospedale Sacco di Milano, e della sua equipe. Tra i primi punti toccati, c'è proprio la raccomandazione di prestare maggior attenzione ai soggetti più fragili, ovvero gli over80 e quelli affetti da patologie croniche come il diabete, un malattia autoimmune, la BPCO (broncopneumopatia cronica ostruttiva, che colpisce appunto i polmoni), l'insufficienza renale o un tumore.

Dopodiché si passa alle indicazioni sui farmaci. Come già il Ministero suggeriva, si raccomanda il paracetamolo in caso di febbre e si aggiunge la possibilità di prescrivere dei sedativi per la tosse. Ma si aggiungono alcuni consigli rispetto alla dieta: è importante, si legge, ricordare di bere molta acqua allo scopo di evitare la disidratazione, oltre a "all'importanza di una corretta alimentazione".

Se poi la saturazione scende al di sotto del 94% e la febbre non accenna a passare, si può intervenire con il cortisone. Quando però il paziente è anche diabetico, bisogna assolutamente monitorare in modo puntuale l'andamento della glicemia. Chi infine corre il rischio di complicanze trombotiche, magari perché è già costretto a letto, potrebbe passare anche per la profilassi antitrombotica. Ma soprattutto si può tentare l'ossigenoterapia a casa, quando la saturazione scende al di sotto del 94%, riservandosi di ricoverare immediatamente pazienti con livelli inferiori al 90% o che necessitino più di 3 litri al minuto di ossigeno.

No invece a terapie sperimentali i cui risultati non sono definitivi o convincenti e che soprattutto potrebbero esporre il paziente a potenziali rischi se somministrate al di fuori di ospedali. Tra queste vengono ricordate: l'antiretrovirale lopinavir/ritonavir, l'azitromicina, un antibiotico, e la tanto discussa idrossiclorochina.

Fonti| FNOMCEO; Ansa

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