Le varianti del Coronavirus: prima di andare nel panico, proviamo a capirle meglio

Sono più pericolose del primo SARS-Cov-2? Possono rendere inefficaci i vaccini? Insomma, la pandemia è destinare a non finire mai? Abbiamo provato a rispondere a tutte queste domande e a capire quali siano le varianti più diffuse in Italia. Niente panico e niente allarmismi, al momento non ci sono prove scientifiche che li giustifichino.
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Giulia Dallagiovanna 18 Febbraio 2021
* ultima modifica il 18/03/2021

Tra pochi giorni è il 21 febbraio: è un anno che conviviamo ufficialmente con il Covid-19, anche se ormai sappiamo che circolava in Italia da ben prima che si trovasse il famoso "paziente uno" di Codogno. Siamo stanchi, possiamo dirlo tranquillamente, ed è forse per questo motivo che siamo particolarmente allarmati dalla continua comparsa di nuove varianti. L'immunità garantita dai vaccini non sarà sufficiente e ci toccherà rivivere l'incubo un'altra volta? Le notizie sembrano andare in quella direzione, considerando anche i quattro comuni lombardi che dalle 18:00 di ieri sera sono diventati zona rossa. La storia si ripete, peraltro seguendo lo stesso copione. Ma è davvero così? Non possiamo certo rispondere noi, per il semplice fatto che non siamo medici. Bisogna però dire che, mettendo insieme tutte le informazioni che abbiamo a disposizione per ora, lo scenario sembra molto meno tragico. E soprattutto la luce in fondo al tunnel continua a rimanere bella accesa ed evidente. Proviamo allora a capire meglio cosa stia accadendo.

Cos'è una variante

Un messaggio deve risultarti bello chiaro: è normale che i virus mutino. È, ad esempio, una delle ragioni per cui il vaccino antinfluenzale deve essere ripetuto ogni anno e soprattutto è un concetto che viene evocato e ripetuto più o meno dall'inizio dell'epidemia. Come spiega il sito dell'Istituto superiore di sanità, il coronavirus è un virus a Rna che evolve costantemente. In poche parole il suo genoma, cioè il suo Rna, cambia e il SARS-Cov-2 lo sta facendo fin dalla sua comparsa. Banalmente, è stata proprio una sua mutazione a permettergli di fare il famoso salto di specie e cominciare ad attaccare l'essere umano.

Nella maggior parte dei casi, queste alterazioni non hanno un impatto significativo. A volte, invece, può capitare che una specifica mutazione renda il virus più contagioso oppure in grado di provocare un'infezione più grave. Ed è in questi momenti che le varianti diventano di pubblico intesse. Uno studio condotto dall'Università degli Studi di Milano in collaborazione con il Policlinico San Matteo di Pavia, e pubblicato su Nature Communications lo scorso gennaio, ha proprio dimostrato che tra marzo e aprile nella sola Lombardia circolavano ben 7 varianti. Nessuna di questa è legata alle più famose, di cui sentirai spesso parlare in questi giorni.

È normale che i virus mutino, il SARS-Cov-2 lo fa dall'inizio della pandemia

Due delle sette mutazioni sono probabilmente avvenute proprio sul territorio italiano, mentre le altre provenivano dall'estero. Questa presenza di tanti sottotipi diversi del virus ha dato origine a quelle che i ricercatori hanno definito "sub-epidemie". Due rami dello stesso albero che si sono rivelati particolarmente contagiosi: sarebbero loro ad aver dato origine ai cluster della bassa lodigiana e della Val Seriana, i luoghi simbolo della prima ondata di Covid in Italia. La presenza di diverse varianti sembrerebbe anche spiegare come mai la Lombardia sia stata colpita in modo così violento all'inizio del 2020.

In tutto nel mondo sono state riconosciute circa 600 varianti, dalle quali poi derivano sotto varianti e sotto-sotto varianti.

Come si trovano

Ma come si fa a sapere che ci sono tutte queste mutazioni? La loro identificazione è frutto del costante monitoraggio della pandemia che viene fatto in Italia e nel resto del mondo. L'European Center for Disease Control raccomanda di sequenziare almeno 500 campioni a settimana. Naturalmente provenienti dai tamponi risultati positivi. Se ne occupano i laboratori delle varie regioni che selezionano i test in modo casuale. Ce ne sono però alcuni a cui dare la precedenza e nello specifico quelli che appartengono a persone che hanno già ricevuto la seconda dose di vaccino o sono già stati contagiati in precedenza dal SARS-Cov-2 e ora si rivelano essere di nuovo infetti. È infatti più probabile rintracciare una variante in queste situazioni e poi vedremo il perché.

Altri contesti in cui viene consigliato di indagare meglio sono quelli ad alto rischio, come ospedali che accolgono pazienti immunocompromessi e positivi da diverso tempo, aree in cui si verifica un improvviso aumento dei contagi o del numero di infezioni gravi, cambiamento di risposta alle terapie utilizzate e persone che provengono da Paesi esteri dove si è rilevata una circolazione importante delle varianti.

Il procedimento è sempre lo stesso: si seleziona il campione e si esegue un sequenziamento del genoma del virus per verificare se sia diverso rispetto a quello principale. Se la risposta è sì, si può parlare di variante. Nel caso dello studio dell'Università di Milano, i ricercatori hanno avuto a disposizione 346 campioni di materiale prelevato da persone positive al SARS-Cov-2 tra febbraio e aprile dello scorso anno. Sono risaliti al Rna e hanno operato un confronto tra tutti quelli sequenziati fino a individuare le 7 mutazioni in circolazione.

Sono pericolose?

La domanda fondamentale naturalmente è una: ma queste varianti sono pericolose? E se sì, quanto di preciso? Come ti dicevo prima, spesso e volentieri non siamo al corrente del fatto che sia avvenuta una mutazione e questa non può quindi provocare più danno rispetto al SARS-Cov-2 originale. Per "noi" intendo proprio io e te, mentre chi si occupa di monitorare l'andamento dell'epidemia naturalmente lo sa.

Una variante diventa degna di nota quando è molto diversa rispetto al primo Coronavirus, quello emerso a Wuhan per intenderci. Le differenze possono esprimersi in due sensi: più contagiosa, e quindi che si diffonde più velocemente, e più grave, ovvero in grado di sviluppare un'infezione dai sintomi più seri, che più facilmente comporteranno un ricovero e purtroppo anche il decesso. Queste due caratteristiche possono essere presenti contemporaneamente all'interno della stessa variante.

Una variante può avere due differenze in particolare: essere più contagiosa o più letale

Un altro aspetto che può destare preoccupazione è la possibilità che il virus mutato sia in grado di eludere gli anticorpi che una persona ha già prodotto. Nel concreto, questo significa che chi ha già contratto il Covid-19, potrebbe infettarsi di nuovo e chi si è sottoposto al vaccino potrebbe non essere protetto contro il nuovo patogeno. Il punto fondamentale della questione è proprio questo: ancora non ci sono dati sufficienti per capire se i farmaci immunizzanti che stiamo già usando siano efficaci oppure no contro le nuove varianti. Ma è una questione complessa, che approfondiremo più avanti.

Le varianti del SARS-Cov-2 in circolazione

Dopo averne parlato in generale cerchiamo di capire cosa sta accadendo in Italia. Le varianti principali che circolano nel nostro Paese sono tre: inglese, brasiliana e sudafricana. Avrai poi sentito anche quella scozzese, di cui ha parlato tra gli altri anche il consulente di Regione Lombardia Guido Bertolaso, ma si tratta di una mutazione di quella inglese. Ieri infine è emersa la napoletana, identificata in una persona che rientrava a Napoli da un viaggio di lavoro in Africa. Vediamo allora insieme, una per una.

La variante inglese

Quella che in questo momento ci interessa di più è la variante inglese, perché tra tutte è la più diffusa in Italia. La sigla che la identifica è B.1.1.7. e si chiama così perché si ritiene che si sia sviluppata proprio nel Regno Unito nel dicembre del 2020, entrando poi nel continente attraverso la Svizzera.

In base alle informazioni che sono state raccolte fino a questo momento, sembra che sia molto più contagiosa rispetto al SARS-Cov-2 originale. Più contagi significa anche più decessi potenziali ed è per questo motivo che governi, regioni e singole istituzioni stanno provando ad arginarne la circolazione. In Germania è stato prolungato il lockdown totale fino al 7 marzo, in Lombardia sono state istituite quattro zone rosse – nei comuni di Bollate (Milano), Castrezzato (Brescia), Mede (Pavia) e Viggiù (Varese) – in alcune scuole i presidi stanno raccomandando l'uso di due mascherine per studente.

Un'indagine dell'Istituto superiore di sanità ha identificato questa variante nell'88% delle 16 tra regioni e province autonome che hanno preso parte allo studio di prevalenza. Ma non in tutti territori è diffusa con la stessa intensità. Si va infatti dallo 0% a un massimo di 59% in alcune zone. Il problema è che a inizio febbraio l'incidenza era del 17,8%, segno della velocità con la quale è in grado di diffondersi. "Considerata la maggior trasmissibilità della variante – ha infatti specificato l'ISS, – e considerato l'andamento in altri Paesi interessati precocemente dalla sua diffusione, è prevedibile che questa nelle prossime settimane diventi dominante nello scenario italiano ed europeo".

I primi effetti concreti dovrebbero vedersi sull'aumento dei contagi soprattutto nelle regioni più interessate, come la Campania, la Lombardia, l'Abruzzo, le Marche e la Puglia. Al momento non si registra un vero e proprio incremento dei casi né a livello regionale, né su scala nazionale. I vari territori però lamentano incrementi localizzati a singole città o comuni, come appunto quelli decretati zone rosse e l'area di Ancona o di Santeramo in Colle (Bari) dove i sindaci stanno introducendo limiti agli spostamenti, infine il pescarese. Nei prossimi giorni potremo capire meglio le effettive conseguenze dell'arrivo della variante inglese in Italia.

Intanto il professor Massimo Galli, primario del reparto di Malattie Infettive dell'Ospedale Sacco di Milano, sottolinea che il suo reparto "è invaso dalle nuove varianti" e che probabilmente servirebbe un nuovo lockdown totale. D'accordo con lui sono anche Walter Ricciardi, consulente del ministro della Salute, e il professor Andrea Crisanti.

La variante brasiliana

La variante brasiliana, o P1, arriva appunto da uno dei Paesi che più di tutti ha subito le conseguenze della pandemia di Covid, con quasi 10 milioni di casi e 241mila decessi: il Brasile. Come l'inglese, si è sviluppata più o meno a dicembre 2020, ma in Italia è meno diffusa e al momento è stata rintracciata soprattutto in Umbria, Abruzzo e attorno a Siena.

La sua pericolosità sembra diversa rispetto a quella britannica. Dico "sembra" perché non sono ancora disponibili risultati di studi che confermino o smentiscano la possibilità che questa forma specifica sia resistente alle terapie utilizzate finora, principalmente plasma iperimmune e anticorpi monoclonali, così come ai vaccini prodotti. Non si possono dunque trarre conclusioni basate su dati definitivi e, anzi, gli esperti sembrano cautamente ottimisti sulla possibilità che i vaccini finiscano per essere comunque efficaci anche nei confronti del virus brasiliano.

La variante sudafricana

La variante sudafricana, B.1.351, condivide la mutazione E484K sulla proteina Spike con quella brasiliana. Questo significa che presentano alcune caratteristiche in comune. In Italia è stata rintracciata soprattutto in quattro comuni dell'Alto Adige con sei casi in tutto. Il governatore della Provincia autonoma di Bolzano, Arno Kompatscher, si è detto molto preoccupato per la situazione e ha già optato per la chiusura delle scuole, mentre sta decidendo se introdurre misure più restrittive di contenimento dei contagi.

La variante sudafricana è quella che preoccupa perché sembra resistente ai vaccini, ma alcuni studi dimostrano il contrario

Proprio come per la collega brasiliana, però, non ci sono prove definitive che questa variante sia resistente alle terapie che abbiamo a disposizione oggi. Sembra però in grado di ridurre in parte l'efficacia dei vaccini. Questo non significa assolutamente che li renda del tutto inutili. Oltre al fatto che un farmaco di questo tipo può sempre essere modificato e aggiornato sulla base delle nuove necessità.

La variante scozzese

Un esempio di sotto variante è proprio quella scozzese, la N439K. Ha avuto origine dalla variante inglese e naturalmente è emersa per la prima volta in Scozia. Nel nostro Paese è diffusa soprattutto nella provincia di Varese e in particolare nel comune di Viggiù, da ieri in zona rossa. Sono 14 i casi individuati in tutto, ma questa mutazione circola già da ottobre 2020 e il primo positivo era stato rintracciato a Trieste. L'azienda sanitaria ASST- Sette Laghi di Varese ha deciso di procedere a uno screening approfondito della popolazione, dopo aver registrato un aumento dei contagi soprattutto all'interno degli istituti scolastici. Al momento non sembra mostrare particolari differenze rispetto a quella inglese.

La variante napoletana

L'abbiamo chiamata variante napoletana, in sigla B.1.525, perché il primo e finora unico caso in Italia è stato rintracciato proprio ieri a Napoli, dal tampone di una persona di ritorno da un viaggio di lavoro in Africa. In effetti questa mutazione è stata scoperta per la prima volta nel Regno Unito, ma sembra essere più diffusa in Nigeria e si pensa quindi che derivi da lì. Nel frattempo, sta circolando soprattutto negli Stati Uniti, in Canada e in Danimarca.

Quello che per il momento si conosce è che anche lei presenta la mutazione E484K sulla proteina Spike, come quelle brasiliana e sudafricana. I dubbi dunque sono di nuovo gli stessi. E vale quindi la pena ripetere che non esistono dati definitivi che ci possano permettere di trarre delle conclusioni.

I vaccini

Veniamo alla domanda più importante: i vaccini funzionano contro queste varianti o siamo di nuovo da capo, senza armi con cui combattere il SARS-Cov-2? E qui è davvero importante sottolineare: niente panico. Non ha importanza se leggi "allarme varianti" o "la tal variante adesso fa paura". Non è così. Ricercatori ed esperti stanno studiando e monitorando queste mutazioni per valutare quali siano gli eventuali pericoli.

Ma, come ha scritto il professor Roberto Burioni su Facebook: "Vorrei farvi notare che varianti virali emergono continuamente e, fino a prova contraria, non rappresentano un pericolo. Vale per le varianti quello che vale per i cittadini: innocenti fino a prova contraria. In particolare non c'è nessun elemento che ci faccia pensare che quelle già individuate sfuggano all'azione dei vaccini più potenti, anzi dati preliminari sembrano suggerire il contrario, anche se poi naturalmente dovremo vedere cosa succede in concreto. Per esempio, in concreto in Israele la variante ‘inglese' è contrastata impeccabilmente dal vaccino. Il futuro non possiamo predirlo, ma non è detto che una variante resistente al vaccino possa comparire, pensate solo al morbillo che ha un meccanismo di replicazione del suo genoma a RNA molto più impreciso del coronavirus e questo introduce più mutazioni del coronavirus. Il vaccino contro il morbillo è stato messo a punto negli anni '60 ed è ancora efficace come il primo giorno".

Basterebbero queste parole a farti capire quanto stiamo esagerando con il discorso varianti. Ma ora proviamo a vedere nel dettaglio qualche dato e partiamo proprio da Israele. Su Ohga ti avevamo già spiegato come il Paese fosse una sorta di laboratorio a cielo aperto e i numeri che arrivano da lì sono più che positivi: il vaccino di Pfizer-BioNTech si è dimostrato efficace al 94% nella riduzione dei casi di Covid-19 e del 92% per quanto riguarda quelli gravi. In altre parole, la variante inglese, molto diffusa nell'area, non ha minimamente intaccato le potenzialità del farmaco.

Per quanto riguarda la variante sudafricana, quella che desta le maggiori preoccupazioni, ci sono altri due studi preliminari che fanno ben sperare. Sono stati entrambi pubblicati sul New England Journal of Medicine e fanno riferimento al vaccino di Pfizer e a quello di Moderna. Ti ricordo che i due farmaci presentano caratteristiche molto simili e un pari livello di efficacia. Nel primo caso, una sperimentazione condotta in laboratorio dalla stessa azienda ha dimostrato come il vaccino sia comunque in grado di rispondere alla mutazione del Sudafrica, sebbene con un'efficacia ridotta di due terzi. Bisognerà quindi capire meglio se rimanga in grado di prevenire i sintomi più gravi del Covid-19, cioè il vero scopo per cui questi primi farmaci sono stati prodotti. Anche uno studio simile condotto dall'azienda Moderna ha riscontrato un calo di questo tipo, ma di nuovo è emerso come gli anticorpi prodotti fossero comunque in grado di contrastare in parte la variante B.1.351.

Infine, il caso AstraZeneca. Ha preoccupato in particolare l'annuncio del governo del Sudafrica di redistribuire in altri Paesi le dosi del vaccino dell'Università di Oxford in quanto non efficace contro la mutazione più diffusa in quella nazione. Bisogna dire che la decisione è stata presa sulla base di una ricerca preliminare, condotta su un numero ristretto di individui. Nello specifico, i partecipanti erano in tutto 1.765, ma i casi di Covid sviluppati solo 42. Inoltre, non viene chiarito quanto fossero effettivamente gravi queste infezioni, né se si siano verificati decessi. Per darti un'idea delle proporzioni, il vaccino di Pfizer è stato testato in una sperimentazione che ha coinvolto 44mila volontari in tutto e sono stati attesi 156 casi di malattia prima di trarre delle conclusioni.

Il viceministro della Salute per il governo Conte, Pier Paolo Sileri, ha assicurato che AstraZeneca è efficace contro la variante inglese e in effetti nel Regno Unito utilizzano da tempo questo vaccino, approvato settimane prima che in Unione europea.

I tamponi

Un altro dubbio sorto rispetto a queste varianti riguarda i tamponi. Ci si chiede insomma se gli strumenti di rilevazione che abbiamo a disposizione, ovvero i test molecolari e quelli rapidi, siano in grado di individuare i positivi, anche se hanno contratto una delle mutazioni di cui ti ho parlato. Una circolare del Ministero della Salute pubblicata il 15 febbraio precisa che: "Occorre specificare che le nuove varianti, dalla cosiddetta variante UK alla variante brasiliana, che presentano diverse mutazioni nella proteina spike (S), non dovrebbero in teoria causare problemi ai test antigenici, in quanto questi rilevano la proteina N. È da tenere però presente che anche per la proteina N stanno emergendo mutazioni che devono essere attentamente monitorate per valutare la possibile influenza sui test antigenici che la usino come bersaglio".

La proteina Spike è quella che media l'entrata del virus nella cellula dell'essere umano. È, in sostanza, l'arpione con il quale il SARS-Cov-2 ti aggancia e poi comincia a infettarti. Proprio contro di lei sono diretti tutti i vaccini prodotti fino a questo momento. La proteina N invece è quella del nucleocapside, cioè la struttura che racchiude l'Rna del virus e lo protegge dall'ambiente esterno. E sono, come avrai capito, le due componenti che possono mutare e dare origine alle varianti.

I casi rintracciati finora in Italia sono stati rinvenuti attraverso il sequenziamento di tamponi risultati positivi. Ed è questa la dimostrazione che le varianti non sfuggono ai test. Bisogna semplicemente capire se anche quelli antigenici rapidi, meno precisi rispetto ai classici molecolari, possano aumentare il proprio margine di errore quando si trovano davanti a un virus mutato. Non è da escludere che ci possano essere dei problemi. Non è nemmeno da escludere che si possa trovare velocemente una soluzione, anche perché ormai le tipologie di tamponi a disposizione sono tante e forse sarà sufficiente capire quale utilizzare nelle diverse situazioni.

Le misure di contenimento

Le varianti spaventano e questo è evidente. La paura di trovarsi di fronte a nuovi focolai di Coronavirus che non si è in grado di gestire ha portato all'istituzione di diverse zone rosse in tutta Italia. Oltre ai 4 comuni lombardi, gli ultimi in ordine di proclamazione, anche la provincia di Perugia, quella di Chieti e la Provincia autonoma di Bolzano si sono dichiarate in lockdown e al momento non sembrano voler alleggerire le misure introdotte.

L'Associazione Nazionale Presidi (ANP) ha cominciato a raccomandare l'utilizzo della doppia mascherina per studenti e insegnanti, mentre in Germania è stato proposto di rendere obbligatoria per tutti la FFP2 al posto della chirurgica. Non vi sono però prove scientifiche che dimostrino la necessità di aumentare i dispositivi di protezione indossati per frenare una variante del SARS-Cov-2.

Se c'è una cosa che le varianti vengono a ricordarci è quella di non abbassare la guardia. Anche se siamo stanchi, non dobbiamo dimenticarci che il virus circola ancora e che continua ad essere pericoloso. E quindi continuiamo a indossare la mascherina e a mantenere il distanziamento sociale, mentre aspettiamo di essere tutti vaccinati. Sperando che accada presto.

Fonti| Istituto superiore di sanità
            "Genomic epidemiology of SARS-CoV-2 reveals multiple lineages and early spread of SARS-CoV-2 infections in Lombardy, Italy", pubblicato su Nature Communications il 19 gennaio 2021;
          "Serum Neutralizing Activity Elicited by mRNA-1273 Vaccine — Preliminary Report" pubblicato sul New England Journal of Medicine, il 17 febbraio 2021;
        "Neutralizing Activity of BNT162b2-Elicited Serum — Preliminary Report" pubblicato sul New England Journal of Medicine, il 17 febbraio 2021;

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