L’inquinamento sta contaminando anche il pesce che mangi

Dopo un lavoro di ricerca e raccolta dati durato 30 anni, il responso dell’Università di Harvard è chiaro: l’inquinamento sta contaminando anche quello che mangiamo. Alcuni pesci contengono il 60% in più di metilmercurio rispetto a quelli che si mangiavano negli anni ’70. E il riscaldamento globale peggiora la situazione.
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Giulia Dallagiovanna 7 Settembre 2019
* ultima modifica il 22/09/2020

Il metilmercurio è uno di quei metalli pesanti da cui cerchi di difenderti ogni giorno. Alcune persone ritengono che sia contenuto nei vaccini, ma si tratta di una fake news, come ti avevamo dimostrato anche su Ohga. Ben più attenzione dovresti invece porre all'aria che respiri e, soprattutto, a quello che mangi. L'inquinamento sta infatti contaminando tutto, alimenti compresi. E un'ulteriore prova di come l'uomo sia esercitando le proprie capacità in modo sbagliato e senza tener conto dell'ambiente arriva da uno studio dell'Università di Harvard: il pesce sta diventando sempre più tossico. Potrai insomma ignorare l'emergenza in corso o fingere di non vedere tutti i segnali che sta inviando la natura, ma prima o poi tutto questo si ripercuote sulla tua salute.

Il metilmercurio è un derivato del mercurio che si forma quando entra in contatto con determinati batteri. Naturalmente si trova anche in natura, ma le percentuali sempre più elevate che si registrano nell'ambiente sono frutto della produzione industriale e, dunque, dell'uomo. I pesci ne risultano particolarmente esposti soprattutto a causa della loro alimentazione che si basa su alghe e creature marine più piccole, che possono assorbire più facilmente queste sostanze tossiche.

Viene assorbito dai pesci più piccoli e grazie ai predatori risale tutta la catena alimentare, fino all'uomo

Il team di ricerca ha portato a termine un lavoro di raccolta dati durato 30 anni, dal 1970 al 2000, e poi li ha confrontati per capire come fosse cambiata la situazione in questo arco di tempo. Si sono concentrati sui grandi predatori e in particolare sul merluzzo dell'Atlantico e sullo squalo spinoso. La sorpresa è arrivata nello scoprire che mentre nel primo le percentuali di metilmercurio si erano ridotte addirittura del 20%, nel secondo erano aumentate anche del 61%.

E la ragione di questa differenza sta proprio nel tipo di dieta seguita. A causa della pesca senza limiti, nella zona presa in considerazione, ovvero il Golfo del Maine, si era ridotta significativamente la popolazione di aringhe. Entrambi i predatori, così, avevano dovuto dirigere i propri gusti verso nuove prede. E se per il merluzzo questo ha significato cacciare sardine e alose, che di norma presentano livelli molto bassi del metallo pesante in questione, lo squalo invece ha preferito calamari e cefalopodi, predatori a loro volta e che quindi avevano accumulato quantità ben più elevate. Così di preda in preda, il metilmercurio risale tutta la catena alimentare con il rischio che in cima alla piramide ci sia proprio l'essere umano. Ovvero, tu.

Inoltre, il riscaldamento globale, che riguarda prima di tutto le acque di mari e oceani, costringe i pesci a spendere maggiori energie per muoversi. Di conseguenza, saranno costretti a mangiare di più, con il rischio di ingerire maggiori concentrazioni di sostanze tossiche assieme alla carne e alle alghe.

"Il cambiamento climaticoha commentato la professoressa Elsie Sunderland, che ha coordinato lo studio – sta intensificando l'esposizione dell'essere umano al metilmercurio attraverso i pesci che mangiamo. Per proteggere sia l'ecosistema che la nostra salute, dobbiamo impegnaci a regolare le emissioni di mercurio, ma anche di gas che provocano l'effetto serra".

Fonte| "Climate change and overfishing increase neurotoxicant in marine predators" pubblicato su Nature il 7 agosto 2019

Le informazioni fornite su www.ohga.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.