L’Oms riprende la sperimentazione dell’Idrossiclorochina: la storia dietro a una delle “potenziali cure” contro il Coronavirus

Nelle scorse ore l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha annunciato di aver ripreso il programma Solidarity, il progetto internazionale che sta sperimentando l’efficacia dell’idrossiclorochina come terapia contro l’infezione da Coronavirus. Lo stop dei giorni scorsi era arrivato dopo uno studio pubblicato sulla rivista Lancet che metteva in guardia sull’aumento di mortalità legato alla somministrazione del farmaco. L’Aifa, invece, ha confermato per ora la sospensione alla somministrazione off label. Abbiamo provato a fare il punto della situazione ricostruendo la vicenda di una delle “potenziali cure” contro Sars-Cov-2.
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Kevin Ben Alì Zinati 4 Giugno 2020
* ultima modifica il 23/09/2020

Il nuovo punto di dibattito, dubbio e confusione nella storia del Coronavirus si chiama idrossiclorochina. Ovvero uno dei farmaci inseriti nelle sperimentazioni nazionali e internazionali mirate alla ricerca di una cura contro la malattia da Sars-Cov-2. Ti avevamo spiegato che il farmaco, insieme alla “cugina” clorochina, era già noto per il suo impiego contro la malaria e patologie autoimmuni come l’artrite reumatoide: l’idrossiclorochina negli ultimi mesi però è passata alla cronaca come uno dei possibili farmaci efficaci contro il virus. Tanto che anche l’Agenzia Italiana del Farmaco ne aveva prima autorizzato sia l’uso off label, quindi fuori dai suoi usi tradizionali, sia all’interno di trial clinici. Lo stesso poi aveva fatto l’Organizzazione Mondiale della Sanità con il programma Solidarity. Alla fine di maggio, però, è iniziato il ping pong scientifico-mediatico: la rivista The Lancet ha pubblicato uno studio che poneva l'accento sull'aumento della mortalità legata ai farmaci anziché sui benefici, l’OMS ha quindi annunciato lo stop alla sperimentazione internazionale per "precauzione" e lo stesso ha fatto l'Italia con l'Aifa anche se nel giro di poche ore la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità è ritornata sui propri passi e ha ripreso i test. Per provare a sciogliere l’intreccio, abbiamo ripercorso la storia dell’idrossiclorochina all’interno della pandemia da Coronavirus.

I primi passi

L’Idrossiclorochina e la clorochina cominciano ad essere presi in considerazione come farmaci efficaci nella cura della Covid-19 sulla scorta di una serie di risultati promettenti giunti dalla Cina. I risultati preliminari ottenuti su più di 100 pazienti curati sembravano dimostrare l’efficacia della clorochina nel migliorare il decorso della malattia. La letteratura scientifica attribuiva, infatti, ai due farmaci un’importante azione antivirale: aumentando il pH endosomiale necessario per la fusione tra il virus e la cellula erano dunque in grado di bloccare l'ingresso del virus nella cellula ospite. La scelta di preferire l’idrossiclorochina, poi, era dipesa dal fatto che, ulteriori studi ne indicavano una maggiore attività antivirale con dosi minori e una maggior tollerabilità rispetto alla clorochina.

Il semaforo verde

Nel mese di aprile l’Agenzia Italiana del Farmaco annuncia il via libera all’idrossiclorochina, prima di tutto attraverso la modalità off label. Siccome il farmaco era già stato validato, già noto e quindi già in commercio per trattamenti antimalarici e per l’artrite reumatoide, l’Aifa ne approva l’utilizzo a carico del Servizio Sanitario Nazionale in modalità diverse rispetto alle tradizionali indicazioni terapeutiche. Il farmaco, scrive l’Agenzia, poteva essere considerato sia per pazienti Covid di minore gravità gestiti a domicilio sia per quelli ricoverati in ospedale.

Successivamente, l’idrossiclorochina passa al centro di uno studio clinico indipendente, italiano, randomizzato, controllato, approvato dall’Aifa e soprannominato “Hydro-stop”: il via arriva l’8 aprile. Il progetto prevede la sperimentazione clinica dell’idrossiclorochina per valutarne l’efficacia nell'ambito del trattamento domiciliare di pazienti con un quadro clinico lieve.

I due farmaci si erano dimostrati efficaci nel bloccare l'ingresso del virus nella cellula ospite

Il giorno successivo, arriva l’ok dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per Solidarity, uno studio internazionale con un campione composto da migliaia di pazienti affetti da Covid-19. L’obiettivo dello studio randomizzato è valutare quattro diverse strategie terapeutiche contro l’infezione da Coronavirus, sia quelle che prevede l’impiego di farmaci antivirali (con il remdesivir e la combinazione di lopinavir e ritonavir da soli o in combinazione con l’interferone beta) sia, appunto, quelle a base idrossiclorochina. L'intenzione dell’Oms è dimezzare di circa l’80% i classici tempi standard per la creazione di uno studio randomizzato. Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, al 3 giugno sono oltre 3500 i pazienti inseriti nello studio provenienti da 35 paesi diversi, più di 400 ospedali si sono impegnati nel reclutamento e oltre 100 paesi hanno aderito o mostrato interesse per il progetto Solidarity.

Le parole di Trump

Mentre le sperimentazioni muovono i primi passi, l’idrossiclorochina diventa mediaticamente e viralmente famosa in tutto il mondo grazie a Donald Trump. Il presidente Usa, durante una conferenza stampa tenuta a metà maggio alla Casa Bianca, dichiarao che “ormai da due settimane” sta assumendo idrossiclorochina: “Ho ricevuto informazioni molto positive, ne prendo una pastiglia al giorno, che cosa ho da perdere?”. Trump avrebbe iniziato la “cura” in via preventiva dopo che un membro del suo staff era risultato positivo al Coronavirus.

La scelta del presidente americano ha fatto storcere il naso della comunità scientifica e ha accesso un altro focolaio nel dibattito internazionale e nazionale: tanto che l’ex numero uno dell’Agenzia dei vaccini statunitense Rick Bright ha dichiarato alla BBC di essere stato cacciato dal presidente proprio per aver rifiutato di dare il proprio endorsement al farmaco come terapia per la Covid-19.

Lo studio non promette bene

Il 22 maggio, però, l’idrossiclorochina prende una decisa battuta d’arresto. Sulla rivista Lancet, una delle più autorevoli sul panorama internazionale, appare uno studio in cui viene evidenziato un pericoloso aumento della mortalità dei pazienti per lo sviluppo di problemi cardiaci causato dalla somministrazione di clorochina e idrossiclorochina. Lo studio ha incluso un mega campione di 96.032 pazienti provenienti da 671 ospedali in sei continenti, individuati tra il 20 dicembre 2019 e il 14 aprile 2020. Di questi, quasi 15mila sono stati inseriti nel trattamento, suddivisi così: 1868 hanno ricevuto la clorochina, 3783 l’hanno vista somministrata insieme a un antibiotico macrolide (efficace contro i batteri), 3016 hanno ricevuto l’idrossiclorochina e 6221 l’hanno presa con lo stesso antibiotico. Di fronte agli oltre 10mila pazienti deceduti in ospedale, i ricercatori hanno osservato che tutte e quattro le potenziali terapie sono associate a un aumento del tasso di mortalità: i due farmaci, quindi, non sarebbero più né così efficaci né così sicuri.

Lo stop

Lo studio ha fatto subito il giro del mondo, scombussolandolo. Il 23 maggio l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha prontamente interrotto il progetto Solidarity che, nel frattempo, stava procedendo con l’analisi delle potenzialità dell’idrossiclorochina.

Il direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus dichiara che il gruppo esecutivo ha deciso per “una pausa temporanea” della sperimentazione mentre i dati sulla sicurezza sarebbero stati “esaminati dal comitato di monitoraggio della sicurezza”. L’Oms, spiega il capo del programma per le emergenze Mike Ryan, opta per “un'abbondanza di cautele”.

Lo studio metteva in luce un aumento della mortalità causata da complicazioni cardiache

Dopo la decisione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, anche l’Agenzia Italiana del Farmaco si schiera dallo stesso lato. In virtù delle nuove evidenze cliniche sull’utilizzo dell’idrossiclorochina nei soggetti con infezione da Sars-CoV-2 che sottolineano un aumento della mortalità e sempre più incertezze riguardo ai benefici in termini di efficacia, l’Aifa nella giornata del 26 maggio "sospende l’autorizzazione per l’impiego del farmaco e anche della clorochina off label, quindi al di fuori degli studi clinici", sia in ambito ospedaliero che in ambito domiciliare.

La lettera a The Lancet

Il 28 maggio oltre 120 ricercatori affiliati ad alcuni dei laboratori più prestigiosi del mondo, firmano una lettera aperta indirizzata alla rivista Lancet per mettere in discussione i risultati a cui era giunto lo studio pubblicato nei giorni precedenti. Al centro dei dubbi dei ricercatori, soprattutto le complicazioni cardiache (aritmie cardiache) che sarebbero associate all'uso dei due farmaci. Dopo la pubblicazione, infatti, non solo l’Oms aveva sospeso la propria sperimentazione ma lo stesso era accaduto in altri Paesi come la Francia e l’Inghilterra e inoltre, spiegano, la successiva ripresa mediatica “urlata” aveva aumentato le preoccupazioni dei partecipanti e dei pazienti arruolati negli studi randomizzati. Gli scienziati, tra le proprie ragioni, sostenegono che:

  • i dati dell'Australia non sono compatibili con i rapporti del governo: la Surgisphere, la società che si è occupata dei dati, ha dichiarato che si è trattato di un errore di classificazione di un ospedale asiatico. Questo, per i ricercatori, dimostra la necessità di ulteriori controlli degli errori in tutto il database;
  • non è stata effettuata alcuna revisione etica;
  • non sono stati menzionati i paesi o gli ospedali che hanno contribuito alla fonte di dati e nessun riconoscimento per i loro contributi;
  • i dati improbabili provenienti dall’Africa;
  • le dosi giornaliere medie di idrossiclorochina sono di 100 mg superiori alle raccomandazioni della FDA.

Il mezzo passo indietro della rivista

Nel giro di pochi giorni (è il 2 giugno), la rivista Lancet pubblica quello che viene definito un “expression of concern”, una sorta di dichiarazione di preoccupazione riguardo allo studio pubblicato nelle settimane precedenti. La scelta della rivista non è rarissima ma ha un peso specifico non indifferente perché, molto probabilmente, porterà al ritiro dell’articolo.

Comunque, nelle brevi righe, si legge che “sono state sollevate importanti domande scientifiche sui dati riportati nel documento di Mandeep Mehra e altri colleghi. Sebbene gli autori non associati alla Surgisphere abbiano commissionato un controllo indipendente sulla provenienza e validità dei dati, stiamo emettendo un’espressione di preoccupazione per avvisare i lettori del fatto che gravi questioni scientifiche sono state portate alla nostra attenzione”. Appena ulteriori informazioni saranno disponibili, ha chiuso la nota, la rivista lo comunicherà.

L’Oms riparte con la sperimentazione

Lo scenario però cambia ancora una volta. L’Oms fa marcia indietro. Dopo lo stop del 25 maggio in virtù dell’eccessiva mortalità legata alla somministrazione del farmaco presentata nello studio di Lancet, è lo stesso direttore dell’Oms Ghebreyesus, mercoledì 3 giugno, a rimettere in moto il progetto Solidarity. Gli esperti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, spiega Ghebreyesus, consigliano la continuazione di tutti i processi che stanno cercando una cura contro l’infezione da Coronavirus, compresa l’idrossiclorochina poiché “non vi sono ragioni per modificare il protocollo di prova”. Così oggi, e per il momento, riprende la sperimentazione internazionale su uno dei farmaci considerati tra i più promettenti nella lotta contro il Coronavirus. 

Aggiornamento di venerdì 5 giugno

A ridosso del primo weekend di giugno, la situazione prende un'altra svolta. Come previsto dopo l'expression of concern pubblicato pochi giorni fa, Lancet decide di ritirare lo studio "incriminato". Nella notte tra giovedì e venerdì tre degli autori hanno fatto un passo indietro nei confronti dell'articolo e la rivista ha poi annunciato la propria, immediata, presa di posizione, sottolineando che gli autori "non possono più garantire la veridicità delle fonti di dati primarie".  Nel frattempo, come riporta Repubblica, un gruppo di 140 medici ha messo nel mirino l'Aifa che, al momento, tiene bloccata la sperimentazione. I medici, attraverso un'istanza legale indirizzata al Ministero della Salute e alla stessa Agenzia, chiede l'annullamento della nota del 26 maggio, ovvero quella che sospese l'utilizzo dell'idrossiclorochina "off label".

Aggiornamento di mercoledì 17 giugno

Con una nota della Food and Drug Amministration, ora anche gli Stati Uniti bloccano l’utilizzo dell’idrossoclorochina e della clorochina. L’FDA ha infatti revocato l'autorizzazione all’utilizzo in emergenza dei due farmaci per il trattamento dei pazienti affetti da Covid-19. La decisione arriva in seguito a nuovi studi e sperimentazioni dai quali, secondo l’Agenzia, emerge che “il farmaco potrebbe non essere efficace nel trattamento della Covid-19 e che i potenziali benefici non superano i suoi rischi noti e potenziali”. Dal momento che l'idrossiclorochina è approvata per il trattamento di altre condizioni come il lupus e l’artrite, i medici potrebbero comunque utilizzarla "off-label" per trattare i pazienti infetti ma "ufficialmente" continueranno solo gli studi clinici che ne analizzano l'efficacia contro il virus.

Aggiornamento di mercoledì 1 luglio

Il Regno Unito fa marcia indietro sull'idrossiclorochina. Il governo inglese ha infatti ridato ufficialmente la luce verde allo studio CopCov: una sperimentazione mirata a vagliare la possibilità che il farmaco possa funzionare come prevenzione contro il Covid-19. "Dopo aver analizzato le ulteriori attenuazioni del rischio e aver consultato la Commissione per i medicinali per uso umano, abbiamo dato il via libera alla sperimentazione clinica per reclutare più partecipanti" si legge nella nota del governo. Così l'idrossiclorochina verrà somministrato ad oltre 40mila operatori sanitari (volontari) in Europa, Africa, Asia e Sud America.

Aggiornamento di lunedì 6 luglio

Il nuovo dietrofront ora è dell'Organizzazione Mondiale della Sanità: stop alle sperimentazioni con l'idrossiclorochina nei pazienti ospedalizzati. Stesso destino anche per la combinazione di lopinovir e ritonavir. La decisione arriva dopo che i risultati del progetto Solidarity hanno mostrato che "l'idrossiclorochina e il lopinavir/ritonavir producono una riduzione minima o nulla della mortalità dei pazienti ospedalizzati con COVID-19 rispetto allo standard di cura". L'Oms, dunque, ha accolto le raccomandazioni del Comitato direttivo internazionale basato sulla revisione dei dati di tutti gli studi presentati nei giorni scorsi. Nella nota, l'Organizzazione specifica che "questa decisione si applica solo alla sperimentazione Solidarity su pazienti ricoverati e che non influisce sulla possibile valutazione in altri studi dell'idrossiclorochina o di lopinavir/ritonavir in pazienti non ricoverati o come profilassi pre o post esposizione a Covid-19″.

Aggiornamento di venerdì 24 luglio

La storia senza fine dell'idrossiclorochina aggiunge un altro capitolo. Già, perché l'Aifa ha aggiornato le informazioni sul farmaco e ne ha confermato la sospensione dell'utilizzo al di fuori degli studi clinici contro Covid-19. Nella nota si legge che i risultati dello studio Recovery, "sembrano indicare che l’idrossiclorochina non sia efficace nel ridurre la gravità o la persistenza dei sintomi in un setting di utilizzo precoce per il trattamento di forme lievi di Covid-19″. Per questo motivo, stop confermato a tutti gli utilizzi off-bel al do fuori degli studi clinici autorizzati e via a ulteriori verifiche per capire se effettivamente il composta possa avere un ruolo nella lotta contro il virus.

Fonti | Aifa; Organizzazione Mondiale della Sanità

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