Ludopatia e lockdown: cosa accade a chi ha una dipendenza quando non ci sono slot a disposizione?

Sono circa 1,5 milioni gli italiani dipendenti (o quasi) dal gioco d’azzardo. Ma cosa accade quando, nei momenti come questo, la possibilità di sedersi davanti a una slot si azzerano? Lo abbiamo chiesto alla psicologa.
Entra nel nuovo canale WhatsApp di Ohga
Sara Del Dot 9 Aprile 2020
* ultima modifica il 22/09/2020

Ci sono persone per le quali essere costrette a rimanere in casa senza uscire è più difficile che per altre. In particolare, chi soffre di una dipendenza patologica e non riesce a soddisfare il bisogno cui trova rimedio poco dopo essere uscito, potrebbe trovare in questa costrizione all’isolamento un ostacolo doloroso. Oppure, d’altra parte, l’occasione di concentrarsi su altro e affievolire questa necessità.

Può essere il caso dei giocatori d’azzardo patologici, quelli che occupano per ore intere le macchinette posizionate in bar o tabaccai in attesa del colpo di fortuna che cambierà loro la vita, mentre la vita, attorno a loro, continua a scorrere.

Eh già, perché in questo periodo anche quel mondo, quello delle slot e del gioco d’azzardo, si è fermato completamente, e con esso anche il denaro che porta allo Stato (si parla di 14,2 miliardi l’anno di entrate fiscali). Cosa può succedere quindi nella vita di una persona abituata a trascorrere tanto, troppo tempo avvolta dalle luci colorate e dal tintinnio delle monete che invece si ritrova in casa, magari con una famiglia a cui ha sempre tenuto nascosta questa parte della sua vita?

Per capire meglio ci siamo rivolti a Giorgia Fracca, psicologa specializzata in dipendenze, che ci ha esposto rischi ma anche opportunità di questa situazione così anomala.

“La ludopatia è una dipendenza”, spiega la dottoressa, “e come tutte le dipendenze rappresenta la soluzione a un problema. Certo, questa soluzione poi non fa che generare altri problemi, ma in quel momento viene trattata come fosse una cura temporanea. Non c’è una psicoterapia che curi le dipendenze, il ruolo della psicoterapia è quello di curare l’angoscia che sta a monte, e che spinge il soggetto a cercare sollievo nella dipendenza.

Ciò che sto vedendo in questo periodo, occupandomi di dipendenze di vario genere, è che ci sono due polarizzazioni.

Uno dei pericoli maggiori in questi casi, in particolare dal momento che spesso è una dipendenza di uomini maturi, è che non potendosi sfogare sulla dipendenza queste persone finiscano per portare comportamenti patologici dentro la propria famiglia.

Dall’altro lato è anche vero che molte persone in questa circostanza fanno molta meno fatica a tollerare il proprio malessere, il proprio disagio. Spesso infatti le dipendenze sono la risposta a un’angoscia senza nome, un’angoscia esistenziale che può essere di vario tipo, come la paura di essere abbandonato, la solitudine, il timore di non essere mai abbastanza… Queste angosce quindi trovano una soluzione nelle dipendenze e il lavoro del terapeuta è quello di scovare l’angoscia, quell’angoscia che colpisce solo il singolo individuo provocando il lui la dipendenza. E in un momento come questo, in cui siamo coinvolti in un evento che angoscia tutti e che soprattutto ha un nome, sappiamo cos’è, un individuo che si sente inadeguato può ricondurre il proprio disagio, la propria agitazione a qualcosa di reale che colpisce tutte le persone attorno a lui. In pratica, probabilmente ci si sente meno soli nell’angoscia.

Inoltre, se magari chi si trova all’interno della famiglia per certi versi può essere considerato più a rischio perché può adottare comportamenti sostitutivi come la violenza domestica dal momento che rimane inserito in una normalità di cui fa parte ma da cui solitamente evade, dall’altro lato può anche avvenire che l’obbligo, la necessità di aiutare, di occuparsi della casa o dei figli gli consenta di trovare un nuovo senso per la propria vita che sia distante dalla ludopatia, come fosse uno stravolgimento che lo rende utile alla famiglia allontanandolo da cose con cui riempiva il vuoto che gli faceva percepire di non avere un senso.”

Le informazioni fornite su www.ohga.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.