Il nuovo Coronavirus ha a che fare con il cambiamento climatico? Lo abbiamo chiesto all’esperto

Se consideri le epidemie più famose che si sono verificate negli ultimi 20 anni, potrai notare come spesso corrispondano a picchi di almeno 0,6 o 0,7 gradi sopra la media delle temperature. Abbiamo allora chiesto al dottor Giuseppe Miserotti di ISDE (Associazione medici per l’ambiente) se il riscaldamento globale possa influenzare la comparsa di virus e batteri pericolosi per l’essere umano.
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Giulia Dallagiovanna 17 Febbraio 2020
* ultima modifica il 22/09/2020
Intervista al Dott. Giuseppe Miserotti medico di Medicina Generale e referente regionale ISDE (Associazione medici per l'ambiente) per la regione Emilia-Romagna

L'infezione da nuovo Coronavirus, la Covid-19, sta provocando 64mila contagi e oltre 1.300 morti, per la maggior parte nella provincia cinese di Hubei da dove tutto è partito. E questa situazione ti spaventa, perché si tratta di una patologia appena arrivata, di cui non si conoscono ancora tutte le caratteristiche. Manca dunque un vaccino, mancano terapie che permettano di evitare le complicanze più gravi e manca l'individuazione esatta dell'origine e del percorso compiuto per arrivare fino all'uomo. Ma se la stai vivendo come una sorta di piaga d'Egitto che si abbattuta sulla Terra senza ragione, devi sapere che almeno in parte ne potremmo essere responsabili un po' tutti. Ti sei mai chiesto quanto potrebbe centrare il cambiamento climatico con questa situazione?

Ho provato ad allargare lo sguardo agli ultimi 20 anni e ho notato che spesso i picchi delle epidemie diventate più famose si sono verificati in corrispondenza di picchi di temperature di almeno o,6 o 0,7 gradi oltre la media. Accadde ad esempio per la SARS e per l'influenza Aviaria nel 2003, per l'influenza Suina nel 2009 e per la MERS tra il 2012 e il 2013. E non ci sarà bisogno di spiegarti che l'inverno 2019-2020 è stato il più caldo mai registrato, con 20 gradi a febbraio persino in Antartide. Lo puoi vedere tu stesso nel grafico riportato sul sito della National Oceanic and Atmospheric Administration americana. Attenzione, non prendere questi dati come se fossero uno studio scientifico o una statistica redatta facendo i dovuti calcoli. Si tratta semplicemente di una visione di insieme che mi ha portato a chiedermi: quando può avere influito il riscaldamento globale con questa nuova epidemia?

Per rispondere ho contattato il dottor Giuseppe Miserotti, medico di Medicina Generale da oltre 40 anni e referente regionale ISDE (Associazione medici per l'ambiente) per la regione Emilia-Romagna.

Dottor Miserotti, secondo lei l'epidemia di Covid-19 è stata influenzata in qualche modo dai cambiamenti climatici?

Sicuramente il nuovo Coronavirus ha risentito in modo indiretto delle nicchie ecologiche che stanno cambiando e che stanno provocando alterazioni molto importanti. Si tratta di un virus nuovo che deve ancora essere studiato e per il quale va comunque premesso che deriva da una zoonosi e che ha fatto il salto di specie. Ma questo problema è già stato evidenziato per altre emergenze che si sono verificate negli anni scorsi con i virus influenzali.

Ci può fare qualche esempio?

Tutto parte dal suolo, una vera e propria cartina tornasole per i cambiamenti climatici, che agisce direttamente sulla biologia di flora e fauna e la modifica. Basti pensare a come sono mutati negli anni gli insetti vettori dei virus, in particolare le zanzare. La tigre, ad esempio, ha subito delle alterazioni biologiche e nel 2017 si è resa responsabile di un focolaio di chikungunya che, dopo quello del ravennate di circa
dieci anni fa, nel 2017 ha colpito oltre 280 persone nel Lazio e nella Calabria. Ma è accaduto anche per la Dengue o per la febbre West Nile, arrivata in Italia dall'Africa e dalla zona del Nilo e che due anni fa ha provocato 18 morti in Emilia-Romagna. E infine la malaria: in Europa e in Asia era stata quasi eliminata, mentre ora, sempre a causa dei cambiamenti climatici, si ripresenta ad altitudini importanti e anche inusuali, come la Nuova Guinea o l'Indonesia.

Ci stiamo quindi spaventando per qualcosa che in parte abbiamo contribuito a provocare?

Assolutamente sì. Parlando di alcuni virus, come appunto i coronavirus e altri, si potranno sicuramente allestire dei vaccini specifici, ma il punto è un altro: l'uomo ha approfittato della natura e negli ultimi anni l'azione degli esseri umani è stata così violenta, che si parla di una nuova era geologica: l'Antropocene. Esiste un rapporto direttamente proporzionale tra il livello di inquinamento prodotto dall'uomo e l'aumento dei cambiamenti climatici. In particolare, a partire dalla fine dell'Ottocento, quando abbiamo iniziato a usare le fonti fossili e le emissioni di CO2 sono cresciute in modo esponenziale.

Abbiamo alterato equilibri naturali molto delicati, che la natura era stato in grado di mantenere per migliaia di anni, e tutto questo sta avendo e avrà delle ripercussioni inevitabili sulla salute psicofisica degli uomini. Ormai si parla di sindrome, cioè di una malattia che è codificata da un insieme di sintomi e di cause, tra le quali possono esserci anche inquinamento dell'aria, dell'acqua e del terreno, che poi si traduce in contaminazione del cibo. L'agricoltura intensiva, ad esempio, è un modello di sostenibilità improponibile perché cambia gli ecosistemi e la batteriologia: attraverso pesticidi come il glifosato si altera la nostra flora batterica intestinale, la principale protagonista della nostra immunità.

Rischieremo di essere scoperti di fronte a nuove infezioni?

Ad oggi non esistono medicinali efficaci direttamente contro i virus, possiamo guarire quasi solo grazie al nostro sistema immunitario e all'aiuto di eventuali vaccini per prevenire la malattia. I batteri che abbiamo nel nostro intestino rappresentano un centro importante per la maturazione e il mantenimento delle difese, ma rischiano di venire indeboliti. Dovremmo smettere di concentrarci solo sulle singole patologie e prendere in considerazione l'intero sistema. Quello delle ricadute dei cambiamenti climatici su virologia e batteriologia è un campo di studio enorme.

E sul fronte dei batteri cosa si deve temere?

Il cambiamento climatico in campo microbiologico sta favorendo il ritorno di patologie che sembravano relegate agli annali della medicina. E questa situazione viene peggiorata dallo scioglimenti dei ghiacci e del permafrost. Per fare un esempio, nel 2016 nelle regioni russe della Siberia e della Jacuzia si è verificato un focolaio di antrace, un'infezione potenzialmente letale perché, oltre a fenomeni cutanei, può provocare polmonite e insufficienza respiratoria. Si sono registrati un'ottantina di casi e un bambino di 11 anni è morto. Ma l'antrace prima era una zoonosi che si ritrovava ad esempio nelle renne, utilizzate in quelle aree sia per la carne che come animali da traino. Esistono infatti circa 2mila cimiteri di questi animali e quell'anno si raggiunsero le temperature record di 35 gradi, in un'area abituata anche ai -60: lo scioglimento dei ghiacci fece riemergere spore batteriche ancora vive e perfettamente conservate sui loro corpi.

Non solo, ma nel permafrost sono stati rintracciati anche frammenti di Dna del vaiolo, del virus dell'influenza Spagnola, che nel 1918 provocò 10 milioni di morti, e batteri vivi sono stati trovati anche sopra resti di mammut congelati da 20mila anni. Lo scioglimento dei ghiacci favorisce il riemergere anche di batteri e virus sconosciuti alla scienza. Secondo i microbiologi specialisti di quell’area potrebbero esserci conseguenze molto serie e non facilmente prevedibili.

Come possiamo prepararci?

Dobbiamo sfruttare tutti gli strumenti che la scienza ci mette a disposizione in termine di mitigazione dei fenomeni climatici. Ma siamo anche obbligati a cambiare strada e scegliere la via delle rinnovabili vere, cioè eolico e fotovoltaico, e abbandonando in modo definitivo le energie fossili. La sostenibilità non è solo una scelta politica, ma una direzione obbligata, altrimenti l'uomo finirà per autodistruggersi. E chi rimarrà? I batteri e i virus.

Sono i batteri che per 4 miliardi di anni hanno prodotto i cambiamenti e trasformato la Terra da massa informe al pianeta che vediamo noi oggi. I virus invece sono dei parassiti obbligati, che non possono sopravvivere al di fuori della cellula, cioè al di fuori del sistema che produce sintesi proteica. Ma ci sopravviveranno perché sono capaci di aiutarsi tra loro.

Si riferisce anche al problema dell'antibiotico resistenza?

Esatto. I batteri hanno capito che per sopravvivere devono trasmettersi dei sistemi di resistenza agli antibiotici. Una volta lo facevano solo per via verticale, cioè da generazione in generazione, oggi hanno imparato a farlo anche tra le diverse famiglie. Quindi l'Escherichia coli trasmette la resistenza allo Pseudomonas , poi allo Streptococco e via ad altre specie e tutti diventano antibiotico resistenti. Un problema emerso anche a causa della presenza di piccoli dosaggi di antibiotici nella carne che consumiamo e che arriva dagli allevamenti intensivi. Li assorbiamo e questi modificano la flora batterica responsabile della nostra immunità. In questo modo il problema diventa serio anche in previsione di quello che potrebbe attenderci in futuro.

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