“Mai dati”: è possibile esercitare il diritto all’aborto in Italia?

Sono passati 44 anni dalla pubblicazione delle legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza, eppure il panorama della sua applicazione appare ancora complicato e nebuloso. I risultati preliminari dell’indagine “Mai dati – Dati aperti sulla 194” rivelano non solo l’elevato numero di obiettori, ma anche le difficoltà di individuare in quale ospedale sia possibile praticare l’IVG.
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Giulia Dallagiovanna 18 Maggio 2022
* ultima modifica il 27/06/2022

A 44 anni dall'approvazione della legge 194 sull'aborto, non sappiamo quanto effettivamente questo diritto possa essere esercitato. Non abbiamo infatti dati aggiornati sull'applicazione del provvedimento secondo cui: "La donna può richiedere l'interruzione volontaria di gravidanza entro i primi 90 giorni di gestazione per motivi di salute, economici, sociali o familiari". Sul sito del Ministero della Salute si trova solo una relazione che fa riferimento addirittura al 2019 e che presenta uno scenario nebuloso, con numeri aggregati per regione e non suddivisi per singola struttura ospedaliera. Sappiamo dunque che su 564 ospedali presenti nel nostro Paese, 356 effettuano l'interruzione volontaria di gravidanza (IVG). Ma non è immediato individuare quali siano. Inoltre, questo rapporto non tiene conto di quanto accaduto durante i due anni di pandemia.

Di fronte a tanta incertezza, Chiara Lalli e Sonia Montegiove, in collaborazione con l’Associazione Luca Coscioni, hanno condotto una propria indagine: Mai dati – Dati aperti sulla 194. I risultati preliminari sono già stati presentati e come si può immaginare non sono rassicuranti.

Lalli e Montegiove hanno contattato ogni singola struttura sanitaria e Asl per disegnare una mappa aggiornata e dettagliata della situazione italiana. La raccolta dati non è ancora del tutto completata: al momento ha risposto solo il 70% dei presidi contattati. Le regioni più inadempienti sono state Sicilia e Sardegna, da dove sono arrivati i dati rispettivamente di 1 azienda sanitaria su 9 e di 3 su 11. Intanto si può già comunicare qualche cifra:

  • 72 ospedali hanno tra l'80% e il 100% di obiettori di coscienza
  • 22 ospedali hanno il 100% di obiettori di coscienza
  • 4 consultori hanno il 100% di obiettori di coscienza
  • 46 strutture hanno una percentuale di obiettori superiore all'80%
  • In 11 regioni italiane è presente almeno un ospedale con il 100% di obiettori di coscienza

Quando si parla di obiettori ci si riferisce a tutti gli operatori sanitari che possono ricorrere a questa opzione e quindi medici, ma anche infermieri e OSS, che però possono astenersi solo per dalle attività direttamente coinvolte nell'interruzione di gravidanza e non per l'assistenza necessaria prima e dopo. La categoria più rappresentata rimane comunque quella dei ginecologi: in Italia esistono 18 ospedali dove il 100% di questi specialisti è obiettore.

Una situazione particolarmente difficile è emersa in Puglia, dove ben due ospedali non hanno praticamente a disposizione personale che possa assistere una donna durante un'interruzione volontaria di gravidanza. Ad Andria, ad esempio, l'obiezione raggiunge il 100% e investe tanto i ginecologi quanto il personale non medico. A Francavilla Fontana, invece, oltre il 90% di ginecologi, anestesisti e infermieri si dichiara obiettore. Come sappiamo, l'altra regione messa a dura prova è il Molise. Qui, su 27 ginecologi presenti sul territorio, solo due non sono obiettori. Di questi, uno solo è impiegato a tempo pieno e a breve sarà in pensione.

"Non è ammissibile né comprensibile che nel 2021 vengano pubblicati i dati aggiornati al 2019 – hanno commentato le autrici. – Se non abbiamo i dettagli di ogni ospedale, è impossibile scegliere in quale andare. Sarebbe come invitare a cena qualcuno e mandargli il disegno del quartiere. Chissà se arriva e con quanto ritardo. E se arriva non sarà per merito del disegno".

Serve dunque una maggiore trasparenza nei dati e nelle comunicazioni rispetto al numero dei medici non obiettori e delle IGV che è possibile praticare in ciascun ospedale. Altrimenti non sarà possibile esercitare il diritto sancito dalla legge del 1978.

Fonti| Associazione Luca Coscioni; Ministero della Salute;

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