Il rischio esiste e deve essere affrontato subito: aver bisogno del Pronto Soccorso e non trovare un medico o un infermiere che ti possa assistere. E non certo per assenza di responsabilità da parte del personale. Secondo una stima di Simeu (Società Italiana della medicina di emergenza-urgenza) già oggi mancano all'appello 4mila medici e 10mila infermieri. E il futuro non appare troppo roseo. Tra retribuzioni non adeguate, carichi di lavoro eccessivi e il pericolo costante di minacce e aggressioni, l'Emergenza-Urgenza non è un'area allettante per i neolaureati nelle professioni sanitarie. "Abbiamo registrato un 40% di iscrizioni mancate alla scuola di specializzazione in quest'area medica – spiega il dottor Salvatore Manca, presidente di Simeu. – Inoltre, di tutti i colleghi che entrano, un 10% lascia dopo il primo anno in favore di altre specializzazioni. Non ci sono le condizioni per avere un turn over adeguato e un numero di specialisti congruo per coprire tutti i turni". E proprio per salvare il Pronto Soccorso il Servizio sanitario nazionale, come recita lo slogan, medici e infermieri scenderanno in piazza il 17 novembre, con un flash mob che ha lo scopo di sensibilizzare politica e opinione pubblica rispetto a una crisi che ora non può più aspettare.
Quando su Ohga raccontavamo i numeri della carenza di specialisti e medici di famiglia era gennaio 2020. La situazione era già molto complessa e risentiva di almeno una decina d'anni di noncuranza da parte delle istituzioni che avrebbero dovuto occuparsene. Poi è arrivato il Covid. "Il periodo della pandemia ha sicuramente accentuato questo problema. Nonostante il personale ridotto abbiamo dovuto rispondere all'emergenza e continuare ad assistere anche i pazienti non Covid. Sono stati istituiti percorsi differenziati e il lavoro è quasi raddoppiato. Tutto questo ha portato a un aumento notevole dello stress psico-fisico del personale", prosegue il dottor Manca. Il risultato è che medici e infermieri si sono ritrovati a fare anche 2 notti a settimana e ad avere un solo weekend libero al mese. Hanno rinunciato a famiglia, agli amici, alla vita al di fuori dal lavoro. Al riposo. "Fare un turno al Pronto Soccorso significa stare in piedi tutto il giorno o tutta la notte per seguire i pazienti che continuano ad accedervi. Da notare, poi, che non viene nemmeno riconosciuta come attività usurante".
Così, una buona parte di personale inizia ad abbandonare questo reparto, per dedicarsi a tipologie di lavoro meno sfiancanti e con una maggiore gratificazione economica. E non è l'unico problema. Quando entri in un Pronto Soccorso non ti troverai davanti solo specialisti in Emergenza-Urgenza, ma anche medici non specializzati che si occupano di gestire i casi meno gravi. Di norma vengono assunti da cooperative e la loro retribuzione oraria è superiore a quella di uno strutturato ospedaliero. Come potrai immaginare, al netto delle questioni di cui ti parlavamo prima, una persona preferisce avere uno stipendio più congruo e quindi scegliere questa strada piuttosto che la specializzazione. Le ragioni sono chiare, ma il risultato è che le fila del personale specializzato si assottigliano sempre di più. E i concorsi continuano ad andare deserti, come già accadeva prima della pandemia.
Il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha proposto che dal prossimo anno venga aggiunta un'indennità accessoria agli stipendi di medici e infermieri di Pronto Soccorso, proprio per riconoscere il loro importante lavoro. "È sicuramente una notizia positiva, ma è un primo passo – conclude il dottor Manca. – Serve una riorganizzazione completa dei servizi, rivedendo le strutture ospedaliere ormai antiquate e mettendo a capo dei servizi di Pronto Soccorso anche le osservazioni brevi e le terapie sub-intensive di Medicina d'Urgenza. In questo modo si offrirebbe anche una prospettiva di carriera a chi si avvia verso questa specializzazione".
La pandemia ha mostrato in modo innegabile l'importanza di avere il personale al completo nelle nostre strutture. E che medici e infermieri fossero preparati, ma anche riposati e in forze. Non possiamo più chiudere gli occhi di fronte a una carenza che da almeno 10 anni richiede soluzioni. Soluzioni che hanno conseguenze non solo sugli operatori sanitari, ma anche su ciascuno di noi.