Milano e le barriere architettoniche per i disabili: “Non ci pensiamo, perché nessuno ce l’ha insegnato”

C’è la vetrina di una città, fatta di grandi opere e progetti, e poi c’è la vita di tutti i giorni che può essere resa anche molto difficile se non c’è stata attenzione verso le piccole opere. Se, ad esempio, la porta di ingresso di un negozio, che prima era scorrevole e con fotocellula, viene sostituita da un pesante portone in vetro che una persona in sedia a rotelle non riesce ad aprire. Se vi sono troppi gradini e poche rampe di accesso, se sui mezzi pubblici i posti riservati non sono sufficienti. Prima di preoccuparsi degli investimenti necessari, insomma, bisogna imparare a entrare nell’ottica di una città davvero adatta ad ogni cittadino. Ne abbiamo parlato con Disabili pirata, in occasione della Giornata internazionale delle persone con disabilità.
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Giulia Dallagiovanna 3 Dicembre 2021
* ultima modifica il 03/12/2021

"I politici non sanno cosa significhi essere disabile. Basti pensare che un po' di tempo fa ero stato invitato a partecipare a un convegno assieme a tutte le principali associazioni che si occupano di questo tema a livello nazionale: era stato organizzato in un luogo inaccessibile per chi, come me, è in sedia a rotelle. All'ingresso c'era una rampa talmente ripida che mi sono dovuto far spingere e il bagno era del tutto inagibile, al punto che sono rimasto incastrato". Gianfranco Falcone è un giornalista freelance che collabora con Disabili pirata, un gruppo di persone che hanno scelto di alzare la voce e lottare per i propri diritti. Lo hanno fondato Andrey Chaykin e Giovanni Barbieri e lo scorso 26 settembre hanno organizzato un tour in carrozzina per le strade di Milano, invitando gli allora 13 candidati sindaco alle elezioni comunali. Lo scopo? Far toccare con mano quali e quante barriere architettoniche incontri ogni giorno una persona con disabilità.

"Volevamo prima di tutto alzare un po' il livello del dibattito in campagna elettorale, che ci sembrava davvero molto superficiale – ci spiega Chaykin. – Avevamo lanciato un primo appello già a luglio, ma purtroppo solo tre candidati sono stati presenti fisicamente e altri tre hanno delegato i loro rappresentanti". Dei restanti sette, invece, non c'era traccia. Una politica riluttante, che finge di ascoltare e di non vedere allo stesso tempo. E la questione, come spesso accade, è principalmente economica. Si scrive "rendere una città più inclusiva", si legge "ingenti investimenti da mettere in atto" e fondi da sottrarre alle grandi opere che garantirebbero maggiore visibilità. Ma la prima barriera da abbattere, in realtà, è culturale.

"Una sera dovevo andare al Centro Culturale Asteria – racconta Falcone. – Ho telefonato ad ATM e fornito loro tutti i dati. Mi hanno risposto che potevo scendere tranquillamente alla fermata di Famagosta e che, da lì, sarebbero stati al massimo 600 metri a piedi. Invece non era vero. O meglio, li sarebbero stati se fossi una persona in grado di salire i gradini per attraversare il ponte sul Naviglio. Ma dal momento che sono in carrozzina, i metri sono diventati 1.800, lungo percorsi sterrati, parchi male illuminati e le mulattiere che costeggiano il canale. Quindi si sono allungati i tempi e c'era anche il rischio che potessi trovarmi in situazioni di pericolo".

Prima dell'impegno economico, insomma, arriva la consapevolezza che una città è vissuta anche da persone disabili, con necessità specifiche. Entrare in quest'ottica permette di evitare errori quasi banali. Come quello che è accaduto in una famosa libreria di Milano, frequentata proprio da Gianfranco Falcone. "All'ingresso c'era sempre stata una porta scorrevole con fotocellula, che quindi si apriva da sola. Poi sono iniziati dei lavori di ristrutturazione. Ad agosto campeggiava un cartello con la scritta ‘stiamo lavorando per il futuro'. Torno a settembre e trovo una pesante porta in vetro e, all'interno del negozio, un bancone che non prevedeva una zona ribassata per le persone in carrozzina. Qui l'amministrazione pubblica non ha proprio vigilato". 

"Prima di studiare al Dams, ho frequentato l'istituto per geometri – interviene Barbieri. – Mi ricordo che quando si lavorava a un progetto, la questione delle barriere architettoniche era al primo posto. Di fatto una volta usciti dalle scuole questo principio non viene più applicato, ma non perché siamo cattive persone: semplicemente nessuno ci ha pensato. E nessuno ci ha pensato, perché non gli è stato insegnato. Significa che c'è un problema a livello sociale, manca l'attenzione verso tematiche importanti".

Per la verità, questa attenzione sulla carta esiste almeno dal 1986, quando sono stati introdotti i PEBA, cioè i Piani di Eliminazione delle Barriere Architettoniche, che a loro volta dovrebbero andare a integrare i PGT, i Piani di governo del territorio. Sono strumenti che dovrebbero servire a monitorare, progettare e pianificare interventi che rendano una città e i suoi edifici fruibili ad ogni cittadino. "Ma nella realtà non sono mai stati applicati", fa notare Andrey.

Nel 2012, il Comune di Milano ha voluto mostrarsi volenteroso e iniziare a redigere una mappa di tutte le barriere architettoniche presenti. Doveva essere un primo step per la realizzazione di una città più inclusiva, ma i progressi non sono stai poi molti. "Perché dopo aver mappato tutti gli ostacoli, bisogna anche eliminarli – prosegue Chaykin. – È una scelta politica: si deve decidere dove investire i soldi. Inoltre, quando si progettano nuove opere non si tiene conto di tutte le persone che potenzialmente potrebbero usufruirne. Non si coinvolgono i disabili e non si richiedono le loro competenze. Lo scopo di Disabili pirata è proprio quello di diventare parte attiva del cambiamento di un sistema che oggi è molto arretrato. Vogliamo essere protagonisti, non antagonisti che scendono in piazza". 

Una prima proposta? Aumentare da uno a tre i posti sui mezzi pubblici per chi è in sedia a rotelle, come già accade in altre città italiane. E poi rendere accessibili gli ingressi a uffici e attività commerciali. Secondo un rapporto Istat del 2019, in Italia vivono circa 3,1 milioni di persone disabili, il 5,2% di tutta la popolazione. Ma quando non riescono a entrare in un negozio, diventa disabile anche il loro accompagnatore che rinuncia a fare shopping per evitare di lasciare una persona fuori da sola ad aspettare. Si perdono, insomma, due clienti in una volta sola.

"Lisa Noja, consigliere del Comune di Milano con deleghe per l'accessibilità, ci aveva cercato sia prima che dopo le elezioni, ma noi vorremmo evitare un dialogo privato e puntare invece a un'iniziativa pubblica che miri a coinvolgere tutta la cittadinanza – spiega Chaykin. – E tutti i partiti, perché le barriere architettoniche sono un problema trasversale. Da Regione Lombardia invece abbiamo avuto poco ascolto, quando non opposizione".

"L'Italia purtroppo soffre di miseria morale in fatto di diritti – aggiunge Gianfranco Falcone, – basti pensare alla bocciatura del ddl Zan, che parlava anche di disabilità. E allo stesso tempo l'Inps sta provando a far accettare il fatto che con una disabilità del 99% e un lavoro che garantisce anche solo 400 euro al mese di stipendio, non hai più diritto alla pensione di 287 euro". E conclude: "Se si pensa ai palinsesti televisivi nelle trasmissioni più popolari non si vede mai un disabile. Come se non esistesse. E invece esistiamo, cavolo se esistiamo!"

Credits photos: foto nell'articolo di Gianfranco Falcone

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