Mina Welby: “A volte serve solo il coraggio di accettare che la vita di chi si ama è terminata”

Cosa accadde di preciso quel giorno, in cui il dottor Mario Riccio sospese i trattamenti a Piergiorgio Welby, come lui stesso chiedeva da tempo? Lo ricorda Mina Welby, che rimase accanto al marito durante tutto il decorso della malattia e condivise le sue battaglie. Oggi è co-presidente dell’Associazione Luca Coscioni e si impegna soprattutto affinché l’informazione su fine vita ed eutanasia sia corretta e approfondita.
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Giulia Dallagiovanna 20 Settembre 2019
* ultima modifica il 22/09/2020

"Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge" recita l'articolo 32 della Costituzione. Eppure, per diversi anni in Italia questo principio non ha trovato applicazione. La battaglia politica di Piergiorgio Welby parte proprio da qui, dalla richiesta di riconoscere un diritto che veniva già garantito dalla legge fondamentale dello Stato. Accanto a lui, la moglie, Mina Welby, la sorella Carla e gli amici e compagni dell'Associazione Luca Coscioni e del Partito Radicale.

Di Piergiorgio Welby, Eluana Englaro e delle altre storie che hanno contribuito a smuovere il dibattito e le decisioni politiche sul tema di eutanasia e trattamenti di fine vita, ti abbiamo già parlato. E su Ohga puoi trovare anche un riassunto di tutti i termini che hanno a che fare con questo argomento e delle leggi vigenti in Italia. Inoltre, abbiamo già chiesto a Marco Cappato, tesoriere dell'Associazione Coscioni che ha accompagnato Dj Fabo in Svizzera per ottenere il suicidio assistito, di spiegarci nel concreto come avvenga questo viaggio.

La storia di Piergiorgio Welby

Continuiamo allora il nostro percorso dentro un argomento complesso e delicato, che spesso e volentieri viene trattato in modo superficiale. E lo facciamo, appunto, attraverso la vicenda di Piergiorgio Welby, che, se non ti ricordi, vale la pena riassumere, almeno nei suoi aspetti principali. Il primo di questi è sicuramente la patologia in questione: distrofia muscolare, una malattia neuromuscolare degenerativa, causata dall'anomalia di uno o più geni necessari per la normale funzionalità dei muscoli. Poco per volta, ciascuna di queste parti del tuo corpo si indeboliscono e smettono di funzionare. Così, ti ritrovi bloccato a letto, incapace di parlare, di mangiare e anche di respirare. Dopo la prima crisi respiratoria nel 1997, infatti, Piergiorgio Welby era stato attaccato a un ventilatore automatico, che permette ai muscoli del torace di alzarsi e abbassarsi in modo che i polmoni possano incamerare ossigeno. È soprattutto questa la macchina che garantisce la sopravvivenza.

Superate le prime difficoltà di adattamento, Welby aveva però riprogrammato la sua nuova vita e per circa cinque anni ebbe un'esistenza soddisfacente. Ma la distrofia muscolare andava avanti, peggiorando le sue condizioni. Così, nel 2006 Welby chiede per diverse volte che il respiratore venga staccato, per morire e non essere più costretto a soffrire in quel modo. E lo chiede attraverso tutti i mezzi disponibili. Nel 2002 aveva aperto un blog personale, Il Calibano, e un forum per far conoscere la propria situazione e discutere di eutanasia. Nel novembre del 2006 il medico che lo seguiva si rifiutò di interrompere i trattamenti che lo tenevano in vita, ma aggiunse: "Il paziente sta soffrendo in una maniera incommensurabile". Due mesi prima, su RaiTre, aveva chiesto pubblicamente all'allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano di intervenire affinché fosse colmato quel vuoto legislativo che impediva di applicare nel concreto la Costituzione.

La maggior parte dei politici sembrava però contraria e nel frattempo aveva preso piede il dibattito pubblico. Si parlava di eutanasia, interruzione dei trattamenti, morte volontaria e accanimento terapeutico senza conoscerne per bene il significato. Veniva inserito tutto in un grande calderone e alla fine appariva un'assurdità l'idea di uccidere un uomo che poteva ancora continuare a vivere. Il problema, all'epoca, fu proprio questo: non capire cosa realmente stesse accadendo. Non capire, ad esempio, che la fine naturale della vita di Piergiorgio Welby era già arrivata e che mantenerlo attaccato a un ventilatore automatico significava solamente prolungare le sue sofferenze. E non si capiva nemmeno la differenza tra eutanasia in senso stretto, cioè la somministrazione di farmaci letali da parte di un medico, e l'interruzione dei trattamenti in attesa della morte naturale.

Il 16 dicembre 2006 il Tribunale di Roma respinse la richiesta da parte dei legali di Welby, dichiarando "inammissibile" la richiesta a causa proprio del vuoto legislativo. Si trattava infatti di "un diritto non concretamente tutelato dall'ordinamento", come precisò il giudice che si occupò del processo. Il 20 dicembre 2006 fu il medico anestesista Mario Riccio che somministrò al paziente la sedazione profonda, per lenire ogni sofferenza e togliere il senso di trapasso, e poi staccare definitivamente il respiratore. Nel giro di una ventina di minuti, morì.

La Chiesa cattolica, che durante tutta la vicenda si era sempre espressa contro l'eutanasia, utilizzando spesso questo termine, non acconsentì a celebrare i funerali di Piergiorgio Welby. Il cardinale Camillo Ruini, vicario generale per la diocesi di Roma, dichiarò di aver preso personalmente quella decisione: "Per la Chiesa il suicidio è intrinsecamente negativo".

Cosa accadde al dottor Riccio

Mario Riccio si assunse tutta le responsabilità in una conferenza stampa che si tenne il giorno seguente. Venne interrogato subito dalla Digos (Divisione Investigazioni Generali e Operazioni Speciali) e accusato di omicidio del consenziente, reato per cui l'articolo 579 del Codice Penale prevede fino a 15 anni di carcere. Ma in quanto componente del Consiglio Direttivo della Consulta di Bioetica di Milano, probabilmente sapeva già a cosa sarebbe andato incontro. Così, non si sottrasse a nessun tipo di accertamento da parte della giustizia e dell'Ordine dei medici e l'1 febbraio 2007 arrivò il primo responso dall'Ordine dei Medici.

Mario Riccio venne prosciolto perché il fatto non costituiva reato

Per l'Ordine dei medici di Cremona, al quale il dottor Riccio era iscritto, il medico aveva agito nella piena responsabilità del comportamento etico e professionale e la procedura nei suoi confronti poteva essere chiusa. Archiviato il lato deontologico, proseguiva però quello giuridico. Nel giugno del 2007 il giudice per le indagini preliminari respinse la richiesta d'archiviazione avanzata dal pubblico ministero e gli impose di formulare l'imputazione contro Mario Riccio. La battaglia nelle aule dei tribunali terminò il durò il 23 luglio dello stesso anno, quando Zaira Secchi, giudice per le udienze preliminari, prosciolse in via definitiva l'imputato perché il fatto non costituiva reato. Il medico aveva semplicemente dato seguito alle richieste del malato, proprio come veniva previsto dall'articolo 51 del Codice Penale. E interrompere i trattamenti faceva esattamente parte di queste richieste, così come recitava l'articolo 32 della Costituzione.

Il ricordo di Mina Welby

Come ti dicevo, Piergiorgio Welby non era solo al momento della sospensione dei trattamenti, né lo è stato per tutta la durata della malattia. A stargli accanto e a lottare assieme a lui è stata, oltre alla sorella, soprattutto la moglie: Mina Welby. Oggi è co-presidente dell'Associazione Luca Coscioni e porta ancora avanti le battaglie iniziate con il marito in favore dei diritti del malato. A Ohga ha raccontato cos'è successo quel giorno e a che punto siamo, secondo lei, in Italia dal punto di vista delle leggi sul fine vita e delle possibilità che una persona ha a disposizione.

Mina Welby mentre pronuncia un discorso durante i funerali laici di Piergiorgio Welby che si tennero il 24 dicembre 2006 in piazza San Bosco a Roma

Con l'attuale legge che disciplina il consenso informato e il testamento biologico, suo marito avrebbe potuto morire senza dover intraprendere una battaglia legale e politica. È corretto?

Assolutamente sì. In questo caso sarebbe stato sufficiente che il medico avesse fornito il proprio nulla osta e avrebbe potuto sospendere le terapie. Non sarebbe nemmeno servita una Disposizione anticipata di trattamento (Dat), perché Piergiorgio poteva ancora esprimersi e comunicare in qualche modo con le altre persone. Invece dovette rivolgersi a un giudice di Roma per ottenere il permesso, nonostante la nostra Costituzione affermi già che nessuno può essere obbligato a determinati trattamenti sanitari senza il proprio consenso. Ma quei trattamenti furono giudicati vitali e non poteva essere rimosso uno strumento che serviva proprio per non farlo morire.

Così, mio marito scelse la disobbedienza civile. In quei giorni venimmo a sapere che c'era già un medico pronto per staccare il respiratore automatico, che aveva contattato i Radicali. Si chiamava Mario Riccio, era un anestesista e faceva anche parte della consulta di Bioetica di Milano, attiva proprio su questo fronte. Marco Cappato, che allora era deputato al Parlamento europeo, lo accompagnò a casa nostra. Parlò con Piergiorgio e lui tornò a ripetere che la sofferenza era tale che non riusciva più a dormire di notte e a essere tranquillo di giorno. Il dottor Riccio allora propose di procedere dopo il periodo di Natale, per permettergli di festeggiare l'ultima volta assieme alla sua famiglia. Ma lui rispose che voleva farlo subito. Per me fu una fitta al cuore, perché in qualche modo avrei voluto allungare la sua permanenza assieme a me. Sapevo però che soffriva tantissimo.

Quando ha capito che aveva deciso di interrompere i trattamenti?

Una volta Piergiorgio mi disse: ‘Credi che ti basti girarmi attorno al letto con quel sorriso tirato per farmi stare meglio?'. Quella domanda mi fece capire tante cose, perché fino a quel momento non mi aveva mai parlato di interrompere i trattamenti. Inoltre, non si è mai lamentato. Lo scrissi anche sul suo blog: ‘Caro Piero, tu non sai quante volte piango, perché non so come aiutarti al meglio. D'altra parte ho imparato da mia madre a essere attenta a tutte le necessità dell'altra persona e tu, dalla tua parte, hai fatto la stessa cosa. Non ti sei mai lamentato, né mi hai mai detto cosa ti servisse: ho sempre dovuto provare a indovinare'. Per questa ragione, quando lui se ne è andato, ho potuto dire di aver fatto davvero tutto quello che era necessario e non dovevo pentirmi di nulla. Se avessi potuto fare di più l'avrei fatto, ma non era rimasta più nessuna possibilità.

Cosa accadde quel giorno?

Mercoledì 20 dicembre intervenne Mario Riccio e chiese di nuovo a Piergiorgio se fosse d'accordo. Fino all'ultimo, lui disse di sì. A questo punto il medico gli iniettò la sedazione profonda, in modo che non avvertisse né dolore, né il soffocamento quando avrebbe staccato il respiratore automatico. Poi Piero si addormentò, proprio come accade quando si è sotto anestesia, e solo allora il dottor Riccio interruppe definitivamente i trattamenti. Proprio quel pomeriggio, Piergiorgio mi aveva chiesto: ‘Mina, ma sei sicura che riuscirò a morire in questo modo?'. E io gli risposi che avrei fatto tutto quello che potevo per assisterlo e avrei controllato la situazione.

Sapevo ad esempio quanto ossigeno nel sangue perdeva durante ogni minuto che rimaneva staccato dal respiratore. Quando lo mettevo a letto, infatti, dovevo staccarlo per un tempo brevissimo e sapevo che calava dell'1% ogni 60 secondi circa e che quando raggiungeva l'88%, Piergiorgio iniziava già a lamentarsi che gli mancava il respiro. Gli promisi anche che gli avrei anche abbassato lo schienale del letto, per farlo stare più tranquillo, ma anche per essere quanto più possibile attiva accanto a lui. E poi mi disse: ‘Non piangere oggi'. E quella sera non piansi, glielo avevo promesso.

Mi sentii sola, ma sapevo anche che Piergiorgio era libero. E oggi lo sento vicino a me. Mi chiedo spesso cosa avrebbe fatto lui in una determinata situazione, o come avrebbe risposto a una critica. Ad esempio, lui era una persona molto sobria e ascoltava sempre quello che pensava l'altro, così, quando ci sono persone che vogliono discutere in modo un po' acceso, faccio un respiro profondo e penso bene a quello che voglio dire, ma con tranquillità. Un atteggiamento che qualcuno ha anche apprezzato.

Crede che possa essere possibile affrontare un dibattito su questo tema senza scadere nella superficialità e nei soliti slogan?

Sicuramente è difficile. Oggi poi c'è molta agitazione da entrambe le parti perché si avvicina il 24 settembre, cioè il termine che la Corte Costituzionale ha assegnato al Parlamento per colmare un vuoto legislativo che ancora esiste. Una proposta di legge avrebbe già dovuto essere stata avanzata, ma non si riesce a fare nulla. Nel frattempo si stanno mobilitando i diversi movimenti. Questo però non mi preoccupa. Anzi, vorrei proprio dire che le persone non devono per forza essere pro eutanasia, ma devono ragionarci per bene, com'è giusto che sia.

Dentro di me ho spesso due opinioni contrastanti, perché io magari non usufruirei mai di uno dei diritti che noi, come Associazione Coscioni, chiediamo che vengano riconosciuti, però vorrei che ognuno avesse la libertà di scegliere. Vorrei, ad esempio, che non si dovesse andare in Svizzera per ottenere il suicidio assistito, ma che la procedura si potesse fare anche in Italia. Ora abbiamo sicuramente un'ottima legge, che consente di morire senza dolore grazie alle cure palliative. E poi ci sono altre possibilità, come la sedazione profonda dove una persona viene addormentata e attende la morte naturale senza soffrire. Ci sono però persone, come Dj Fabo, che non vogliono questo. Fabiano Antoniani, ad esempio, non voleva che sua madre e la sua compagna dovessero avere quest'ansia di rimanere con lui tutto il tempo, aspettando la fine, senza sapere quando sarebbe arrivata. La Corte Costituzionale dice chiaramente che la prima cosa a cui attenersi è la volontà del paziente: il malato deve quindi essere messe al centro.

Marco Pannella, leader del Partito Radicale, aiutò Piergiorgio Welby nella sua battaglia per il riconoscimento dei diritti. Pannella è morto nel 2016.

Voi, come Associazione Coscioni, come vi state muovendo?

Il 13 settembre del 2013 avevamo depositato in Camera dei Deputati una legge di iniziativa popolare: "rifiuto dei trattamenti sanitari e la liceità dell'eutanasia". Nel 2016 è arrivata nelle commissioni congiunte di Giustizia e Affari sociali, ma da quel momento è rimasta ferma e non è mai stata discussa. Nel 2017, poi, è arrivata la legge 219/17 sul consenso informato e il testamento biologico e alcune parti della nostra proposta sono già contenute in questo provvedimento. Nello specifico, si trattava del fatto che ogni cittadino potesse rifiutare l'inizio e la prosecuzione dei trattamenti sanitari.  Il contenuto nell'articolo 1, comma 6, della legge 219/17 prevede che "Il medico è tenuto al rispetto della volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo e, in conseguenza di ciò, è esente da responsabilità civile o penale". La famiglia, in sostanza. può far causa.

Il secondo passaggio invece riguarda l'articolo 4 della nostra legge di iniziativa popolare, che tratta delle disposizioni anticipate di trattamento alle quali si fa riferimento anche nella legge del 2017. Per quello che riguarda la morte volontaria assistita (eutanasia e suicidio assistito) la PdL di iniziativa popolare è stata emendata e sta con altre tre PdL nelle Commissioni congiunte Giustizia e Affari Sociali.

E lei cosa ne pensa?

Io vorrei fortemente che una legge di questo tipo venisse finalmente approvata, perché prevede una grande possibilità, quella di morire umanamente. C'è poi un altro aspetto da considerare: alcune persone che vivono una situazione di sofferenza insostenibile arrivano a pensare che l'unica soluzione sia l'eutanasia. Invece non è così, se c'è un buon accompagnamento alla morte, con le dovute terapie. Ecco cosa serve oggi in Italia: dei medici palliativisti ben preparati e che sappiano come agire in base alla malattia che si trovano di fronte. Per esempio, di un paziente con il cancro dovrebbe occuparsi un oncologo palliativista, per un malato di Sla sarebbe invece meglio un neurologo palliativista. Sono infatti due casi completamente diversi e nei quali le persone che soffrono hanno esigenze specifiche. E ancora, pensiamo ai tetraplegici, com'era Dj Fabo: avranno bisogno di interventi differenti. Anzi, non parlo solo dei medici, ma di tutta l'equipe che segue un malato, tra cui infermieri, psicoterapeuta e così via. Oggi queste figure specializzate mancano come il pane.

Come si potrebbe migliorare la discussione riguardo questi temi?

Attraverso la conoscenza approfondita di ciò di cui si sta parlando. Di recente ho partecipato al gruppo di lavoro per le cure palliative dell'Ordine degli psicologi del Lazio e alla fine abbiamo stilato una sorta di manuale dal titolo "Conoscere la legge 219/2017: norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento. Documento e Glossario pensati per: cittadino, persona-paziente, familiare e operatore sanitario": è un libretto di circa 90 pagine, ma rimane un work in progress perché verrà aggiornato ogni che nuove leggi verranno approvate. Si possono trovare anche le informazioni necessarie per ottenere le cure palliative. Alla fine poi abbiamo aggiunto come viene regolata l'eutanasia in Belgio e Olanda. Se diventerà legale anche in Italia, ci riuniremo e modificheremo il libretto. Si tratta di un volume pensato per chiunque voglia informarsi ed è scaricabile gratuitamente.

L'Associazione Luca Coscioni ha poi attivato CitBOT, una sorta di chat dove risponde l'intelligenza artificiale. Esiste da giugno e chiunque abbia un dubbio può fare domande e ricevere risposte. Naturalmente è ancora in fase di test, ma sembra che stia funzionando già piuttosto bene, in particolare per quello che riguarda il fine vita.

Ultima domanda: cosa si sente di dire a chi non approva la sospensione dei trattamenti?

A volte serve solo il coraggio di accettare che chi si ama è arrivato a un termine definitivo della propria vita. Se non lo vuoi per te, perché costringere un altro?

Fonte| Associazione Luca Coscioni

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