Mirko, i due reni nuovi e un viaggio sul tetto d’Europa per imparare a superare i limiti: “Malattia e trapianto non sono sconfitte ma opportunità”

Mirko Dalle Mulle, 43 anni di Feltre, soffre da sempre di glomerulonefrite, una patologi che l’ha costretto a due trapianti di rene. Per dimostrare a sé e agli altri che la malattia non è un limite, semmai un’occasione, ha scalato il Monte Rosa per raggiungere la Capanna Margherita, il rifugio più alto del Vecchio Continente posto a 4.554 metri d’altezza.
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Kevin Ben Alì Zinati 20 Giugno 2022
* ultima modifica il 20/06/2022

Era lì, a meno di 50 metri, eppure pareva lontana, lontanissima.

Mentre affondava i piedi nella neve, Mirko aveva i ghiaccioli sulla barba. Sotto lo strato di guanti le mani tremavano e a fatica riuscivano a chiudersi attorno alla piccozza. Il respiro, rapido e singhiozzante, gli pompava nelle orecchie come musica.

Era il 16 di luglio del 2021 ma sopra i 3000 metri l’estate torna inverno e raggiungere la Capanna Margherita stava diventando sembra più arduo.

Mirko e i suoi compagni erano partiti dal rifugio Gnifetti quasi 4 ore prima, poco dopo le 2 di notte si erano svegliati ed avevano fatto colazione con zuccheri e calorie e divisi in 4 cordate si erano messi in marcia alle 4 per raggiungere il rifugio più alto d’Europa alle prime luci della mattina.

Mirko Dalle Mulle, 43 anni, originarie di Feltre, mentre scala il Monte Rosa. Obiettivo: raggiungere il rifugio più alto d’Europa e portare in alto il messaggio che donare sangue, organi e tessuti può davvero salvare la vita.

Il freddo, però, pareva un muro: una barriera di isolamento tra Mirko e la sua vetta. Dai -8°C con cui erano partiti, la temperatura era caduta addirittura a -15°C.

Qualcuno stava già lottando con l’ipotermia, qualcun altro aveva già rinunciato ed era tornato indietro. Non si scherza con la montagna, di certo la montagna non scherza mai con te.

Mentre la Capanna Margherita attendeva là davanti, bellissima e silenziosa nel ghiaccio del Monte Rosa, Mirko poteva quasi sentirne il profumo nell’aria. Poteva quasi toccarla tanto era vicina.

La sognava da più di un anno: da quando aveva accettato di provare a chiudere l’impresa rimasta incompiuta all’amico Marco, scomparso nel 2019 dopo un trapianto di polmoni e una dura convivenza con la fibrosi cistica.

Mirko voleva portare il suo amico in vetta alla Capanna Margherita e una volta sul tetto d’Europa, avrebbe voluto lanciare un messaggio a tutti coloro che devono vedersela con patologie e trapianti d’organo.

Con il gagliardetto dell’Aido appicciato sul cuore, voleva dimostrare che la vita non si ferma alla malattia o al trapianto. Non sarebbe stato solo l’ultimo abbraccio all’amico Marco: la scalata fin su alla Capanna Margherita doveva essere la dimostrazione che si può andare oltre i limiti della malattia.

Non lo doveva solo a Marco. Mirko doveva dimostrarlo a se stesso. Anche lui è un “trapiantato”: per colpa della glomerulonefrite, una malattia che rende i reni sempre più piccoli, li atrofizza e non li fa più funzionare, ha ricevuto due reni nuovi tra il 1998 e il 2020.

Diagnosticata quando era ancora un ragazzo, la malattia era rimasta in silenzio fino ai 14-15 anni, quando poi all’improvviso lo aveva costretto a restare attaccato alla macchina per la dialisi per sopravvivere.

Da quel momento Mirko si era mosso per entrare in lista d’attesa per il trapianto e dopo «soli» tre anni era riuscito ad entrare in sala operatoria e ottenere il primo organo nuovo.

Nel frattempo, anche lui come molti a un certo punto aveva dimenticato il sapore della vita «normale», quella dei suoi coetanei. Anche lui aveva passato il suo tempo interrogandosi su cosa avrebbe potuto fare della propria vita con questa malattia sulle spalle. “Non volevo vederla come una sconfitta quanto, piuttosto, un’opportunità per crescere e scoprire sempre qualcosa in più di me stesso”. E così è partito per il rifugio più alto d’Europa, a 4.554 metri.

La scalata alla Capanna Margherita di Mirko Dalle Mulle, 43 anni e originario di Feltre, è stata l’ennesima importante testimonianza del progetto «Con tutto me stesso – All of me», una campagna di sensibilizzazione alla donazione di sangue, organi e tessuti finanziata, tra le altre, dalla Regione Veneto.

La malattia? Non volevo vederla come una sconfitta ma come un’opportunità

Mirko Dalle Mulle

“Da giovane non avevo grande interesse nello sport ma dopo il primo trapianto è cambiato tutto – ha raccontato Mirko – Altri trapiantati mi dicevano che praticare sport avrebbe aiutato ad affrontare la malattia e a gestire al meglio il recupero così ho visto la montagna come un obiettivo, qualcosa di nuovo che fisicamente mi faceva stare bene”. 

Arrivati nella vita di Mirko quasi in contemporanea, lo sport e la montagna sono diventati presto i suoi compagni di vita quotidiani. E come tutti gli amori improvvisi e passionali, non ci sono entrati in punta di piedi ma con prepotenza, stravolgendogliela.

L’ascesa alla capanna Margherita è diventata così la missione quasi impossibile che Mirko doveva assolutamente portare a termine: “Per Marco ma anche per ribadire l’importanza della donazione. Il trapianto non è la fine: è vita”. 

L’abbraccio della vittoria: Mirko insieme ai suoi compagni di cordata all’ombra della Capanna Margherita.

Nelle orecchie, Mirko aveva le storie di tutte quelle persone che si arrendono sotto i colpi della malattia. Di coloro che identificano se stessi con la patologia finendo per non trovare più la forza di mettere la testa fuori dal tunnel. “Le difficoltà fanno parte del nostro viaggio, ma dobbiamo avere il coraggio di affrontarle. Alcune volte andrà bene – ha continuato – altre meno ma in ogni caso se agiamo e non ci fermiamo potremo dire di aver vissuto”. 

Scegliere di dare il proprio consenso alla donazione di organi rappresenta un gesto immenso e di grande valore che può letteralmente cambiare – o salvare – una vita. La storia di Albina Verderame, prima donna italiana trapiantato di utero ce l’aveva dimostrato bene.

Il trapianto non è la fine, è vita

Mirko Dalle Mulle

Come lei, anche Mirko ha voluto farsi portavoce di un messaggio forte e potenzialmente rivoluzionario: “Se aumentiamo la consapevolezza, specialmente tra i più giovani, possiamo letteralmente salvare sempre più vite”. 

Una vista del tetto d’Europa: Mirko ha scattato questa foto dalla Capanna Margherita, sul Monte Rosa, a 4.554 metri di altezza.

E quale miglior megafono dello sport, che con i suoi allenamenti, i sacrifici per un obiettivo e la fatica per centrarli è la più meravigliosa delle metafore della vita: “Quando finalmente siamo arrivati al rifugio è stata un’emozione che ancora adesso faccio fatica a descrivere. Un trapianto di organo non è l’ostacolo sui nostri binari. È semmai la rara e in qualche modo fortunata occasione per riconoscere più in fretta i nostri limiti e imparare a superarli”. 

I limiti: nostri, e di una malattia.

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