Morbo di Alzheimer, controllare le infiammazioni del cervello potrebbe rallentarne la progessione

Secondo una nuova ricerca condotta dall’Università della Sapienza di Roma, controllare le infiammazioni che si verificano in seguito alla risposta del sistema immunitario del tuo organismo potrebbe rallentare la progressione della malattia di Alzheimer. È la più diffusa forma di demenza che colpisce tendenzialmente gli anziani e porta perdita di memoria e difficoltà a interagire con l’ambiente in cui si vive.
Entra nel nuovo canale WhatsApp di Ohga
Kevin Ben Alì Zinati 20 Maggio 2020
* ultima modifica il 22/09/2020

Non è ancora chiaro quale sia la causa che scatena il morbo di Alzheimer, come non si hanno ancora certezze su una cura in grado di aiutare le centinaia di migliaia di anziani che soffrono di questa forma di demenza: ti basterà sapere che in Italia i casi sfiorano il milione. Una nuova ricerca italiana apparsa sul The Journal of the Federation of American Societies for Experimental Biology, tuttavia, suggerisce un potenziale intervento che potrebbe rallentare la progressione della malattia. Come? Intervenendo nelle prime fasi della patologia per diminuire la neuroinfiammazioni nel cervello prima dell’insorgere dei problemi di memoria e della compromissione cognitiva.

La malattia

Il morbo di Alzheimer è la forma più comune di demenza, rappresenta infatti tra il 50-80% dei casi, e tra i suoi fattori di rischio ha l’aumentare dell’età: la maggior parte dei pazienti ha più di 65 anni anche se una ridotta percentuale, intorno al 5% dei casi, può sviluppare i sintomi tra i 40 e i 50 anni. Si tratta di una patologia progressiva che da una lieve perdita di memoria può portare fino alla completa incapacità di rispondere all’ambiente in cui si è immersi. E, come ti ho detto sopra, al momento non ci sono cure e tutte le terapie servono ad aiutare chi ne soffre a gestire i sintomi.

L’intuizione

Secondo i ricercatori dell’Università della Sapienza di Roma, ci sono tre caratteristiche tipiche della malattia di Alzheimer: un deposito di peptidi beta-amiloidi attorno ai neuroni, dove si accumulano anche un gran numero di proteine e la presenza di neuroinfiammazioni. Concentrandosi su queste ultime, hanno quindi progettato uno studio sugli animali per comprenderne meglio il ruolo: l’ipotesi era che queste neuroinfiammazioni contribuissero in modo sostanziale alla patogenesi della malattia.

Il morbo di Alzheimer colpisce gli anziani oltre i 65 anni ma il 5% dei casi si

verifica anche in adulti più giovani, tra i 40 e i 50 anni

L'infiammazione si verifica a causa della risposta immunitaria che l’organismo mette in atto per far fronte ai depositi anomali nelle cellule cerebrali di cui ti ho accennato prima. Per ragioni che ad oggi non sono ancora chiare, però, la reazione è all’opposto e la conseguenza è la diffusione di un’infiammazione che espandendosi rapidamente può favorisce la professione della malattia.

Così gli scienziati hanno sviluppato dei modelli in vitro e in vivo su degli animali per osservare il comportamento della neuroinfiammazione e hanno scoperto che intervenendo e ristabilendone l’equilibrio era possibile rallentare la velocità e la progressione dell’Alzheimer. Agire in questo senso significa intervenire nella prima fase della malattia, quando non si sono ancora verificati i gravi danni al cervello di cui ti ho parlato. Questo, secondo i ricercatori, potrebbe ridurre il numero di persone che continuano sviluppare la malattia in forma totale e definitiva.

Fonti | "Neuroinflammation in Alzheimer’s Disease: Friend or Foe" pubblicata il 15 aprile 2020 su The Journal of the Federation of American Societies for Experimental Biology

Contenuto validato dal Comitato Scientifico di Ohga
Il Comitato Scientifico di Ohga è composto da medici, specialisti ed esperti con funzione di validazione dei contenuti del giornale che trattano argomenti medico-scientifici. Si occupa di assicurare la qualità, l’accuratezza, l’affidabilità e l’aggiornamento di tali contenuti attraverso le proprie valutazioni e apposite verifiche.
Le informazioni fornite su www.ohga.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.