Si legge come il primo caso al mondo in cui una terapia genica sperimentale è stata impiegata per trattare una rara malattia ereditaria dell’occhio associata a sordità.
Dietro al traguardo scientifico conquistato dalla Clinica Oculistica dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” di Napoli, tuttavia, c’è di più.
L’intuizione alla base dell’innovativa tecnologia sviluppata e impiegata per contrastare la sindrome di Usher di tipo 1B promette una rivoluzione terapeutica decisiva perché sembra potersi applicare anche a centinaia di altre malattie genetiche che oggi sono ancora senza una cura.
Quando senti parlare di sindrome di Usher di tipo 1B devi pensare a una malattia ereditaria che colpisce la retina e l’orecchio interno e ha un’incidenza di circa 20mila casi negli Stati Uniti e nell'Unione Europea.
Questi bambini nascono sordi, colpiti da disfunzioni vestibolari e da una progressiva perdita della vista entro i primi dieci anni di vita. Oggi abbiamo a disposizione trattamenti chirurgici per curare la sordità ma non c’è ancora nulla che possiamo fare contro la graduale e inarrestabile riduzione della vista.
Qui entra in campo la terapia genica. Ovvero quel trattamento che agisce direttamente sulle basi genetiche di una patologia sfruttano strumenti come i virus resi innocui per trasportare nell’organismo di un paziente una copia corretta di un gene difettoso o un altro gene capace di controbilanciare il danno.
Oggi la terapia genica è una soluzione terapeutica per diverse malattie ma deve comunque scontrarsi con difficoltà che ne limitano il campo di applicazione. Una di queste, per esempio, è legata a una “semplice” questione di spazio.
I vettori virali hanno una capienza di trasporto limitata e possono dunque trasferire solo una certa quantità di materiale genetico diretto contro una patologia.
Questa scarsa capienza era il limite – e la sfida – nell’impiego della terapia genica contro la sindrome di Usher, che è dovuta a una serie di mutazioni a carico di un gene, MYO7A, troppo grande per essere inserito nei vettori ad oggi più utilizzati per correggere difetti genetici dell’occhio.
Per superare questo limite tecnico, gli esperti napoletani insieme al sostegno della Fondazione Telethon e di importanti finanziamenti internazionali hanno quindi sviluppato due diverse piattaforme capaci di trasferire geni di grosse dimensioni “frammentati” assicurando però la corretta produzione della proteina terapeutica.
Hanno creato, cioè, due vettori contenenti ciascuno una metà delle informazioni genetiche necessarie per produrre la proteina terapeutica, che poi si ricombinano una volta all'interno della cellula e ne consentono la produzione in quantità sufficienti.
L’innovativa terapia genica è stata somministrata attraverso l’iniezione del vettore nello spazio sotto-retinico nell’occhio in regime di anestesia totale e nei prossimi mesi ne verrà valutata la sicurezza e la tollerabilità.
Intanto, però, il primo passo nel futuro è stato mosso. “Sono molto felice di aver iniziato il primo studio clinico di fase 1/2 sull'uomo di AAV-081 per i pazienti con retinite pigmentosa correlata alla sindrome di Usher 1B – ha spiegato la dottoressa Francesca Simonelli, professore ordinario di Oftalmologia e direttore dell'UOC Oculistica, tra i massimi esperti a livello internazionale di terapia genica oculare – Attraverso questo programma innovativo in cui siamo impegnati da molti anni, ci proponiamo di rivoluzionare il nostro approccio alla comprensione e al trattamento di questi pazienti per i quali non esiste terapia. Siamo pronti a generare prove solide che non solo faranno progredire le conoscenze scientifiche, ma avranno anche un impatto diretto sulla cura di queste persone”.
Fonte | Fondazione Telethon