
"Poco sveglio", "addormentato", "dormi a occhi aperti". Questi insulti sono accettati come normali nel nostro linguaggio comune, ma in realtà riflettono bene come manchi ancora un'adeguata conoscenza sui disturbi del sonno nella nostra cultura.
Non stiamo parlando di un problema di nicchia: solo in Italia infatti soffrono di disturbi del sonno ben 12 milioni di persone (dati Associazione italiana per la Medicina del sonno – Aims). In occasione della Giornata mondiale del sonno abbiamo scelto di raccontare cosa significa oggi vivere con uno dei disturbi del sonno meno noti: la narcolessia.
Nonostante i progressi compiuti dalla medicina negli ultimi decenni, la narcolessia è ancora una malattia sottodiagnosticata, pur riguardando invece circa tre milioni di persone in tutto il mondo.
Il paradosso però è un altro: le difficoltà – relazionali e lavorative o scolastiche – che oggi implica la narcolessia non dipendono tanto dalla malattia in sé, quanto dall'ancora pressoché assente consapevolezza su questo disturbo.
“La narcolessia non è sonnolenza”. Il neurologo Giuseppe Plazzi ha dedicato ai disturbi del sonno e alla narcolessia gran parte della sua attività di ricerca. Tra i primi studiosi della malattia in Italia, ci ha spiegato come "sebbene rispetto a qualche anno fa ci sia più consapevolezza sulla malattia, la strada è ancora lunga”. Ma cos'è la narcolessia?
“La narcolessia – spiega l’Associazione italiana narcolettici e ipersonni (A.I.N.) – è una malattia neurologica (non psichiatrica) caratterizzata da quattro sintomi cardinali":
"Si stima che circa 2-3 persone ogni 10mila potrebbero soffrire di narcolessia, quindi in Italia ci dovrebbero essere 10-15 mila persone affette da questa malattia", spiega Plazzi, oggi Responsabile dei Laboratori per lo studio e la cura dei disturbi del sonno del dipartimento di Scienze biomediche e neuromotorie dell'Università di Bologna. Ma la diagnosi non è ancora sempre così semplice, perché di narcolessia si è iniziato a parlare solo pochi decenni fa, tanto che "ancora oggi – aggiunge il neurologo – la malattia non compare nei manuali pediatrici".
"I colpi di sonno nella persona narcolettica – spiega Plazzi – assomigliano molto a quelli che si manifestano quando non si dorme da tanto tempo". Nel concreto questo significa che quando un narcolettico si sta per addormentare non se ne rende conto, soprattutto in prossimità del colpo di sonno.
Inoltre si passa dalla veglia alla fase onirica: a volte i sogni arrivano anche prima del sonno con vere e proprie allucinazioni.
Ciò che davvero è identificativo del colpo di sonno però è la cataplessia, ovvero un'improvvisa debolezza muscolare, che si verifica dopo una forte emozione.
"Quando il dottor Plazzi mi ha visitato la prima volta mi ha fatto una domanda che mi ha lasciato senza parole: cosa provi quando sorrisi?", racconta Zenti.
"Se si fa attenzione si può notare come il loro sorriso si interrompa perché proprio per questo cedimento muscolare", aggiunge il neurologo.
"Alla fine delle superiori mi ero convinto di essere davvero svogliato e poco portato per lo studio, d'altronde me lo ripetevano tutti da anni". Massimo Zenti, oggi presidente A.I.N., ha scoperto di essere narcolettico solo a 21 anni, pur avendo cominciato a manifestare i sintomi da bambino.
D'altronde "si stima che – specifica Plazzi – più del 50% dei casi di narcolessia esordisce in età pediatrica". Eppure, soprattutto fino a qualche decennio fa neanche tra i professionisti c'era conoscenza del disturbo.
Alla fine delle superiori mi ero convinto di essere davvero svogliato e poco portato per lo studio, d'altronde me lo ripetevano tutti da anni.
Massimo Zenti, presidente A.I.N.
"Da bambino – racconta ancora Zenti – non si ha ancora la capacità di autodiagnosticarsi una malattia, di percepire che qualcosa non va a livello fisico. Eppure io avevo capito di essere diverso: vedevo gli altri bambini stare tante ore senza addormentarsi, io invece non resistevo".
Quando anche i suoi genitori se ne sono accorti, però, l'iter per arrivare a una diagnosi è stato lungo e fallimentare. "I miei – ricorda ancora il presidente A.I.N. – mi hanno fatto visitare da tanti specialisti. Per il pediatra soffrivo di un principio di anemia, per il neurologo di un inizio di epilessia, per lo psicologo avevo forse una forma latente di depressione".
La diagnosi è arrivata per Zenti quando era ormai adulto e per caso: "Un giorno ho visto in tv lo spot dell'A.I.N. con una vignetta animata di Lupo Alberto in versione narcolettica e mi sono detto tra me ‘Ma io ho gli stessi sintomi di Lupo Alberto', ero ancora un ragazzino ma quella pubblicità mi aveva davvero colpito".
La visita con il professor Plazzi, ottenuta con l'aiuto e l'assistenza di A.I.N., confermarono a Zenti quello che era solo un sospetto. La sua "diversità" aveva il nome di una malattia: la narcolessia.
"La diagnosi è un salvavita, ti rivoluziona l’esistenza perché ti rendi finalmente conto di come comportarti per stare meglio".
Difatti con la narcolessia una vita normale è possibile, a patto però di seguire una serie di accorgimenti e di accettare di avere necessità di riposo-sonno diversi. "Oltre i medicinali, la terapia cognitivo comportamentale è fondamentale", ribadisce Zenti.
Gli accorgimenti consigliati, oltre al programmare dei momenti di riposo durante il giorno in base alle proprie esigenze, sono gli stessi raccomandati a tutti per avere una buona igiene del sonno:
Tuttavia questo non significa negare la malattia. Su questo punto insiste Plazzi: "Resta fondamentale ricordare che chi soffre di narcolessia ha bisogno di più tempo, obbligarsi ai ritmi di chi non è narcolettico è solo controproducente. Non sono i pazienti a dover rincorrere gli altri, ma è la società – dal lavoro alla scuola – a dover accettare che i narcolettici hanno tempi diversi".
Fonti | A.I.N.