Ora i bambini sospetti Covid dovranno fare il tampone per rientrare a scuola: siamo sicuri che i problemi siano finiti?

La nuova circolare del Ministero della Salute pubblicata il 24 settembre ha alleggerito il lavoro dei pediatri: ora, di fronte a un bambino con più di 37,5°C di febbre o con sintomi simili al Covid-19, non avranno più dubbi e dovranno necessariamente prescrivere il tampone. Eppure la situazione resta comunque ingarbugliata, tanto per i genitori “vincolati” dal patto di corresponsabilità quanto per gli stessi medici, preoccupati dal potenziale collasso del sistema sanitario.
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Kevin Ben Alì Zinati 26 Settembre 2020
* ultima modifica il 29/09/2020
In collaborazione con il Dott. Luigi Greco Medico Pediatra di Bergamo

Finalmente è arrivata l’indicazione del Ministero. Adesso sappiamo che quando un bambino diventa un "caso sospetto" per rientrare a scuola deve fare il tampone. “Con temperatura corporea sopra i 37,5° o sintomatologia compatibile con Covid-19 in ambito scolastico o a scuola”, recita la circolare datata 24 settembre 2020, il bambino è potenzialmente a rischio e il pediatra deve dunque richiedere “tempestivamente il test diagnostico”. Così il ministro Speranza ha acceso la luce su una situazione che dal ritorno sui banchi aveva più di qualche ombra.

Prima di queste indicazioni, il “cosa fare” in caso di bambino sintomatico era un problema serio per tutti i soggetti coinvolti, dagli alunni stessi ai genitori, passando per gli insegnanti e i dirigenti scolastici per arrivare ai pediatri. Fino a ieri infatti erano loro erano i decisori ultimi, le figure a cui spettava la responsabilità di valutare la necessità o meno di un esame invasivo come il tampone. Ora le risposte ci sono, ma non tutti i problemi sono risolti e il rientro a scuola dei bambini resta in precario equilibrio.

Cosa prevede il Ministero

Le linee guida delineate dal Ministero della Salute già ad agosto prevedevano una serie di principi e comportamenti che i genitori, i bambini e la scuola avrebbero dovuto rispettare per il rientro.

E il primo punto importante, forse ne avrai sentito parlare, era la presenza del cosiddetto “referente Covid” all’interno di scuole e istituti. Si tratta di una figura adeguatamente formata che ha un ruolo di intermediario tra la scuola e il dipartimento di prevenzione. In sostanza è lui che gestisce la rete di comunicazione nel momento in cui un bambino dovesse avere dei sintomi riferibili al Covid-19: informa il personale e la famiglia, se poi dovesse essere positivo, ricostruisce i contatti del bambino con i compagni e i componenti delle altre classi.

La nuova circolare del Ministero pubblicata il 24 settembre ha dato poi una nuova, importante, direzione. Se un bambino è un caso sospetto, il tampone per rientrare a scuola è obbligatorio. Con caso sospetto, puoi leggere nella circolare, si intende:

  • un alunno con più di 37,5°C o sintomatologia compatibile con COVID-19 a scuola
  • un alunno con più di 37,5°C o sintomatologia compatibile con COVID-19 a casa

In questi casi dunque verrebbe messo in pratica il protocollo. Se si trova a scuola, il bambino viene spostato dalla propria classe e isolato in una stanza appositamente individuata, gli viene fornita una mascherina (se ha più di 6 anni) e vengono chiamati i genitori. Sarà la famiglia, poi, a portalo a casa e contattare il medico di base o il pediatra.

E qui scatta la nuova circolare del 24 settembre. Se il bambino è sintomatico o con temperatura superiore a 37,5 C, il medico deve prescrivere il tampone, è il piccolo dovrà restare in isolamento fino all’esito, così come i genitori. E gli scenari sono due. In caso di positività il bimbo resterà in quarantena e potrà rientrare a scuola solo dopo aver sostenuto altri due tamponi entrambi con esito negativo nel giro di 24 ore. Nel frattempo tutta la classe, gli insegnanti e gli eventuali contatti ravvicinati dovranno restare in isolamento per 14 giorni, tornando dunque alla didattica digitale integrata.

E se invece il tampone è negativo? Niente quarantena per nessuno: per il rientro a scuola il bambino dovrà presentare un'attestazione da parte del medico o del pediatra che specifichi che non c’è stata infezione da Coronavirus e che il bambino sta bene.

Il primo passo

Ora che hai tutti gli elementi, gli attori protagonisti e il perno attorno cui gira la storia, proviamo a disegnare la giornata tipo di un bambino. Che parte, appunto, da casa. Qui entrano in scena i genitori, il primo checkpoint: sta a loro misurare quotidianamente la febbre e certificare che la temperatura non sia superiore ai 37,5°C e che il proprio figlio non abbia alcun disturbo o sintomo che possa far pensare al Covid. Dunque niente tosse, raffreddore, nausea, vomito, diarrea, stanchezza. Due concetti chiave delle linee guida di agosto sono dunque la collaborazione e la responsabilità.

Ogni genitore, infatti, con l’inizio della scuola ha dovuto controfirmare il cosiddetto “patto di corresponsabilità”, ovvero un documento che definisce i comportamenti e i principi che la scuola e le famiglie devono mantenere e rispettare. Come dice il nome, si tratta in sostanza di un accordo: tu genitore ti impegni a mandare a scuola un bambino sano e non un potenziale incubatore del virus, noi scuola ci fidiamo e garantiamo una didattica svolta in piena sicurezza.

Collaborazione e responsabilità tra scuola e genitori sono i cardini del rientro a scuola

“Premesso che ogni scuola, gruppo o associazione stila il proprio patto, il nostro parla di informazione e formazione e mi trova d’accordo. Ne ho sentiti di alcuni molto più morbidi e poco strutturati” ci ha raccontato Federica, mamma di due bimbe che frequentano la scuola primaria nel milanese. Il punto più delicato, però, è la misurazione della febbre: “È l’unica cosa che fa acqua: vengono date troppa fiducia e responsabilità a persone terze rispetto all’Istituto. Per esempio, posso mandare a scuola la sorella se sta bene? E io? Mi metto in isolamento preventivo? Mi trovo più d’accordo con quanto avviene in Piemonte”.

Misurare la temperatura all’ingresso, infatti, non è previsto dalle linee guida del Ministero ma è a discrezione degli istituti, o delle Regioni: la regione guidata dal governatore Alberto Cirio ha emesso un’ordinanza che impone alle scuole di misurare la temperatura all’ingresso, confermata dal Tar dopo la denuncia da parte del Ministero. Secondo Federica, con il patto firmato "siamo tutti responsabilizzati ma l’Istituto come può garantirmi che gli altri genitori provano la febbre ai loro figli e che non li mandano a scuola con la tosse?”. In effetti, se ci pensi, ti misurano la febbre prima di entrare in un negozio o in un ristorante, perché nn dovrebbero farlo a scuola?

In classe 

Hai misurato la febbre e non c’è, hai controllato e non ha nessun sintomo, quindi tuo figlio può andare a scuola. La scena si sposta dunque in classe. Siamo entrati virtualmente in quella di un istituto comprensivo in provincia di Varese dove Maria, un nome di fantasia, lavora con bambini di quarta elementare. Se le linee guida hanno riportato anche loro, gli insegnanti, all’amato lavoro, allo stesso tempo l’hanno inevitabilmente influenzato: “È tutto diverso – ci ha spiegato Maria – Dal punto di vista della didattica è cambiato perché manca la relazione, stiamo tutti a un metro di distanza. I bimbi in classe stanno distanziati, abbiamo due metri dalla cattedra e dalla lavagna, quando sono seduti non tengono la mascherina, la indossano solo quando si alzano o ci avviciniamo”.

La lezione dunque così funziona, a mancare però è una componente importante della scuola, la condivisione. “L’interazione durante l’intervallo non c’è, cosi come i lavori di gruppo. La classe si creava con la condivisione, con i bimbi che si aiutavano a vicenda e stringevano amicizia passandosi la colla. Ora l’idea di gruppo viene un po' meno. Nella classe di Maria ci sono 19 bambini sui 10 anni che dopo mesi di lockdown e una normalità sgambettata, sono tornati da poco a rivedere i compagni o a conoscerne di nuovi. “I miei ragazzi credo stiano vivendo abbastanza bene la situazione e a scuola sono contenti. Dobbiamo ricordare però che tutti i bimbi sono un po’ irresponsabili, è normale, magari non ci pensano e si avvicinano troppo gli uni con gli altri cercando fare quello che facevano prima. Qui interveniamo noi educatori spiegando perché è meglio restare lontani”.

Le scuole come possono garantire che anche gli altri genitori misurano la febbre ai loro figli?

Federica, mamma di due bimbe di una primaria nel milanese

Gli insegnanti dunque non hanno solo il compito di educare le loro menti, devono anche assicurarsi che la distanza di sicurezza venga sempre mantenuta e che non si creino situazioni potenzialmente pericolose. È una responsabilità in più ma il momento storico ce la chiede. Coinvolge noi insegnanti ma anche tutta la cittadinanza: l’attenzione reciproca deve essere generalizzata altrimenti torniamo a come stavano mesi fa”.

Il colpo di tosse

Succede però che mentre sei al lavoro ti arriva la telefonata: “Sì, qui è il referente Covid della scuola. Volevamo avvisare che suo figlio ha un po’ di tosse e perciò è stato messo in isolamento”. Nella scuola di Maria non è ancora successo e nessun bambino è stato messo in isolamento, “solo qualcuno è rimasto a casa ma perché aveva il raffreddore e i genitori, preventivamente, hanno scelto di non portarlo a scuola”. È successo invece a inizio settembre (e quindi prima della circolare del Ministero della Salute) alla figlia di Claudia, Penelope, che ha 4 anni e frequenta una scuola dell'infanzia a Roma. Un venerdì le maestre hanno chiamato Claudia perché la piccola aveva un po’ di tosse. “Sono andata a prenderla e mi hanno detto che per rientrare il lunedì successivo non sarebbe servito il tampone o un esame del sangue, ma un certificato del medico di buona salute”.

Quella di Claudia era però una situazione un po’ ambigua perché Penelope a casa aveva tossito pochissimo, non aveva la febbre e non stava male, poi erano state al mare nei giorni precedenti e poteva essere dunque un piccolo colpo di freddo. “Ho comunque chiamato un po’ di pediatri e tutti hanno detto la stessa cosa: la certezza poteva arrivare solo con il tampone. Anche perché nessun medico si sarebbe preso la responsabilità di scrivere che una bambina sta bene senza farle il tampone”. Meno male, dunque, che il Ministero della Salute ha risolto questa ambiguità altrimenti chissà quante altre storie ci sarebbe state come quella di Claudia.

Nessun pediatra avrebbe mai certificato che un bambino stava bene senza averlo sottoposto al tampone

Claudia, mamma di una bimba iscritta a una scuola dell'infanzia a Roma

Quel venerdì, infatti, Claudia e Penelope si sono presentate subito al pronto soccorso dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma “dove sono stati meravigliosi, ci hanno accolto tre pediatri giovanissimi, dolci e molto bravi”. Penelope è iscritta alla scuola internazionale, quando è successo quella italiana non era ancora iniziata quindi lei era una delle prime bimbe a passare da questa procedura. “Quando è arrivata, con quei pochi sintomi, il dubbio di fare o meno il tampone c’era anche tra i medici – ha spiegato Claudia – Comunque l’ha fatto e per le successive tre ore abbiamo rispettato il protocollo, siamo state sedute isolate sugli scalini esterni dell’ospedale, poi siamo tornate a casa. Siamo rimaste in isolamento per tutto il giorno finché la mattina successiva è arrivato l'esito del tampone”. Che era negativo.

"Ogni colpo di tosse facciamo davvero un tampone? O li teniamo a casa, magari per un risultato negativo?" si è chiesta Claudia. La risposta è arrivata proprio dal Ministero con la nuova circolare: . Una risposta che chiarisce l'iter diagnostico per i bambini, ma non risolve le difficoltà dei genitori. "La scuola è un diritto. Da qui a dicembre ci saranno bimbi raffreddati, che cosa faranno, un po’ a casa e un po’ a scuola?”. Stesso discorso per i genitori. Per Claudia è valso fino a un certo punto perché il suo è un lavoro che non le richiede di stare lontano da casa 5 giorni su 7 per 9-10 ore. “Posso essere impegnata per quattro giorni e avere il resto del mese libero. Una persona che lavora in ufficio, invece, come avrebbe fatto?”.

Una strada più rapida e meno invasiva potrebbe essere quella dei tamponi salivari a scuola. Un po’ come sta accedendo nel Lazio, dove partiranno i tamponi rapidi antigenici prima negli istituti dove sono stati evidenziati i contagi, poi a rotazione negli altri, per avere un risultato in 30 minuti.

E i pediatri?

La circolare ministeriale di pochi giorni fa in un certo senso ha tolto un bel macigno dalle spalle del pediatra, la voce che per queste prime due settimane stava dall’altra parte della cornetta, molto spesso al telefono con i genitori di bambini con magari un piccolo sintomo confondibile con il Covid-19. Diverse di queste chiamate sono arrivate anche al numero del dottor Luigi Greco, pediatra di famiglia a Bergamo. Da quando è iniziata la scuola, ne ha già prescritti, “e sono stati tuti negativi, tranne uno”. Ora invece, per rientrare a scuola il tampone è obbligatorio se il caso è considerato sospetto. "Fare il tampone a tutti i casi ritenuti sospetti è una scelta prudenziale e comprensibile, che mette al riparo da diversi scenari, ma che comunque lascia alcuni dubbi".

Secondo il dottor Greco, sarà importante capire se vi saranno risorse sufficienti, "se i reagenti basteranno" e se i tempi per avere i risultati non diventeranno troppo lunghi, "se anziché 2-3 giorni ce ne volessero 20, il sistema andrebbe in tilt". Queste indicazioni, secondo il pediatra bergamasco, dovrebbero avere una declinazione più regionale che nazionale. "Dove il virus circola meno, forse, potrebbe non essere necessario tamponare tutti i casi che sulla base della nuova circolare vengono considerati sospetti. A Bergamo abbiamo una percentuale di positività dello 0.35% su 2569 tamponi effettuati solo sui bambini: forse qui non è strettamente necessario e sarebbe più conveniente essere attendisti monitorando l’andamento dei contagi e facendo tamponi a campione".

Dove il virus circola meno, forse, potrebbe non essere necessario tamponare tutti i sospetti

Dottor Luigi Greco, pediatra di Bergamo

Anche perché fare un tampone a un bambino non è affatto uno scherzo. "Effettuarli frequentemente porta con sé il rischio di sviluppare problemi e lesioni nasali. E stando a quanto recita la circolare, per essere definito caso sospetto basterà una temperatura oltre i 37,5°C una sintomatologia riferibile al Covid-19: una condizione in cui, purtroppo, nel periodo invernale rischiano di trovarsi davvero tanti bambini". In uno scenario non troppo lontano dalla realtà, potrebbe dunque accadere che i bambini, assai sensibili ai malesseri stagionali, potrebbero cover fare più tamponi nel giro di poco tempo, magari anche nello stesso mese.

La nuova circolare, comunque, è anche una piccola vittoria perché può "alleggerire il lavoro di noi pediatri". Ai quali spettava appunto l'ultima parola: da loro dipendeva se un bimbo avesse dovuto fare un tampone oppure no. "Personalmente non ho mai avvertito il peso di questa scelta, anzi. È mia responsabilità effettuare la diagnosi corretta e se ho il sospetto, nonostante i suoi limiti, il tampone lo prescrivo: ad oggi è lo strumento più preciso e accurato che abbiamo per identificare una positività. Nella valutazione bisogna comunque tenere conto anche del contesto, se dunque il virus circola meno o se invece siamo in un momento di picco. A marzo, per esempio, ogni febbre sospetta era una positività, ora non è così".

Tutto risolto? Insomma. Ora bisognerà attraversare l'inverno e navigare a vista, con tutte le vedette in allerta.

Fonte | Ministero della Salute 

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