Per la Sla è stato identificato un nuovo bersaglio terapeutico, ma per il momento solo in laboratorio

Al momento, è bene specificarlo, la sperimentazione è avvenuta solo in laboratorio, ma i risultati fanno ben sperare. Il problema sarebbe la riduzione di un complesso molecolare che fino a questo momento era stato associato ad altre malattie neurodegenerative, come il Parkinson o l’Alzheimer.
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Giulia Dallagiovanna 14 Agosto 2020
* ultima modifica il 23/09/2020

Identificare un nuovo bersaglio terapeutico significa trovare un punto debole della malattia da poter attaccare con terapie mirate. E questa scoperta diventa ancora più importante quando si parla di patologie che ancora non siamo in grado di curare. Ad esempio, la Sla. Ed è proprio sulla Sclerosi laterale amiotrofica che i ricercatori dell'Irccs ospedale San Raffaele, in collaborazione con l'Università degli Studi di Milano e l'Istituto di biofisica del Cnr, si sono concentrati. Dai risultati di un nuovo studio pubblicato sulla rivista Nature Communication emerge un altro anello debole della catena che potrebbe rappresentare una speranza non tanto per chi ha ricevuto una diagnosi oggi, ma per i futuri malati.

Al momento, la sperimentazione è avvenuta tutta in laboratorio, dunque siamo ancora alle fasi primordiali della ricerca. Ma quello che gli esperti hanno potuto vedere è la riduzione del complesso molecolare del Retromer presente nelle colture cellulari dei motoneuroni e nei modelli sperimentali della malattia. Questa condizione, che spesso viene associata a malattie neurodegenerative come l'Alzheimer e il Parkinson, non era noto fosse propria anche della Sla.

Ma di cosa si tratta nello specifico? Il complesso molecolare di cui stiamo parlando si trova in tutte le cellule del tuo organismo e in modo particolare nei neuroni. Il suo compito è quello di recuperare alcune sostanze importanti all'interno di queste e di riciclarle, trasportandole in zone della cellula dove potranno essere riutilizzate. Inoltre, fa sì che gli enzimi lisosomiali, che la cellula impiega per digerire le proteine da eliminare, funzionino correttamente. E sarebbero proprio questi due aspetti ad avere a che fare con la degenerazione dei neuroni e la progressione della malattia.

I ricercatori hanno provato a stabilizzare il complesso molecolare del Retromer, ottenendo buoni risultati

I ricercatori hanno quindi provato ad intervenire in questo processo, tentando di stabilizzare il complesso molecolare. Nei modelli sperimentali, i neuroni hanno reagito molto bene e i risultati fanno ben sperare.

"Con debita cautela, pensiamo che questo approccio possa essere ulteriormente sviluppato sino alla sperimentazione sui pazienti – ha commentato Gianvito Martino, neurologo e direttore scientifico dell’Irccs ospedale San Raffaele e tra i coordinatori dello studio. – Sebbene al momento non esista una terapia in grado di guarire la Sla, negli ultimi anni le ricerche in questa direzione si sono moltiplicate e la speranza di trovare presto un rimedio definitivo si fa sempre più concreta".

Fonte| "Retromer stabilization results in neuroprotection in a model of Amyotrophic Lateral Sclerosis" pubblicato su Nature Communication il 31 luglio 2020

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