Perché non è facile capire se all’origine delle rare trombosi ci sia il vaccino

L’EMA sta indagando sui 25 casi di rari eventi trombotici che sono stati segnalati in diversi Paesi nelle scorse settimane, su persone che avevano ricevuto la prima dose del vaccino di AstraZeneca. Non è però così semplice capire se vi sia effettivamente un nesso di causa-effetto tra le due cose e soprattutto individuare il meccanismo preciso con cui il vaccino potrebbe provocare le trombosi. Il perché lo spiega la prestigiosa rivista Nature.
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Giulia Dallagiovanna 6 Aprile 2021
* ultima modifica il 11/05/2021

È di ieri la notizia di un'insegnante di Genova morta a causa di una trombosi cerebrale. La donna, 32 anni, aveva ricevuto la prima dose del vaccino di AstraZeneca il 22 marzo. Di nuovo si invita alla calma: per ora non ci sono ragioni per affermare con certezza che si tratti di un evento avverso provocato dal vaccino. Nel frattempo Ema, l'Agenzia europea dei medicinali, sta ancora indagando rispetto ai 25 casi per i quali non ha escluso in modo definitivo un possibile nesso causale con la somministrazione del farmaco immunizzante. In questi giorni dovrebbe pronunciarsi in proposito.

Si tratta, nello specifico, di 18 diagnosi di trombosi cerebrale dei seni venosi e 7 di coagulazione intravascolare disseminata. Tra di loro, nove pazienti sono deceduti. Questi casi sono emersi su una popolazione di oltre 20 milioni di persone vaccinate con AstraZeneca in Unione europea e nel Regno Unito. Proprio i nuovi dati che arrivano dal Paese della Regina Elisabetta, molto avanti nella campagna vaccinale, ci parlano di eventi avversi che sono saliti a 30, di cui 7 letali, su oltre 18 milioni di vaccinati con AstraZeneca.

Anche sul fronte dei vaccini a mRNA qualche problema è stato registrato e in particolare si tratta di reazioni allergiche gravi che si sono verificate con una frequenza di 5 casi ogni milione di dosi di Pfizer-BioNTech e 3 casi ogni milione di dosi di Moderna. Dunque è tutto chiaro? Sono i vaccini a provocare questi, seppur rarissimi, eventi avversi? In realtà, non è così semplice stabilirlo e non basta dire "se aveva ricevuto l'iniezione, allora è evidente che la causa sia quella". Lo ha spiegato in modo dettagliato la giornalista scientifica Ariana Remmel in un articolo sulla prestigiosa rivista Nature.

"Dopo il vaccino" non significa "a causa di"

In inglese si abbrevia con "correlation is not causation" e significa che se un episodio accade in seguito a un altro, questo non implica che i due siano per forza legati da un nesso di causa-effetto. Insomma, se fuori piove e tu decidi di comprare il pane, non avrai scelto di andare in panetteria a causa del tempo, ma semplicemente perché avevi fame. E, viceversa, non sta piovendo perché tu hai deciso di comprare il pane. Il problema è che in questo caso stiamo parlando di vite umane e quindi l'intera vicenda diventa decisamente più complicata e delicata.

"In un mondo ideale, un evento avverso sarebbe subito riconducibile al vaccino in modo diretto grazie a uno specifico test di laboratorio", concorda Remmel. E nel passato è in effetti accaduto qualcosa di simile. Una formulazione precedente del vaccino antipolio, che utilizzava il virus attenuato per stimolare la produzione di anticorpi, aveva dimostrato di provocare la malattia in circa 1 una persona ogni 2,4 milioni di dosi somministrate. Come ne siamo certi? Tracce del virus sono state isolate nel liquido spinale di queste persone e così è apparso in modo inequivocabile come all'origine delle loro patologie ci fosse il vaccino.

È possibile ripetere lo stesso procedimento per ogni evento avverso che può essere riconducibile a un vaccino? Purtroppo no, perché nella maggior parte dei casi non sappiamo quali marcatori specifici vadano ricercati, oppure, semplicemente, non è possibile eseguire i test necessari. Perciò al momento l'unica correlazione che abbiamo è il tempo: una persona ha ricevuto il vaccino e poi, giorni o addirittura settimane dopo, ha mostrato l'evento avverso.

Il primo strumento a disposizione degli esperti diventa dunque la comparazione della frequenza di questi episodi, come gli eventi trombotici, tra la popolazione vaccinata e quella che non ha mai ricevuto il farmaco, per capire se vi sia un effettivo aumento dei casi oppure no. In secondo luogo, bisognerà individuare quale meccanismo abbia messo in moto la reazione grave.

Il mistero del vaccino contro la suina

Ti ricordi l'influenza suina? Era provocata dal virus influenzale H1N1 e nel 2009 si diffuse più o meno in tutto il mondo. Anche in quel caso fu sviluppato un vaccino che poi, per fortuna, non si rivelò troppo necessario, dal momento che non si trattava di una malattia eccessivamente grave. In Svezia e Finlandia, però, le rispettive agenzie per il controllo dei farmaci lanciarono l'allarme rispetto all'aumento di casi di narcolessia in bambini che avevano ricevuto una dose di Pandemrix, uno dei vaccini approvati.

Accadeva a un bambino ogni 18.400 dosi somministrate e l'incidenza era significativamente più elevata rispetto a quanto accadeva di norma. Le autorità sanitarie iniziarono a chiedersi se un componente del farmaco, un adiuvante inserito per aumentare la risposta immunitaria, non potesse essere correlato a un maggior rischio di narcolessia. Alcuni studi che vennero effettuati immediatamente sembravano dimostrare che il Pandemrix incrementava in effetti le possibilità di soffrire di narcolessia in alcune fasce d'età, ma i risultati erano molto variabili e non permettevano di giungere a conclusioni definitive.

Sono passati più di 10 anni, eppure il dibattito è tuttora aperto, anche nella comunità scientifica.

Dopo oltre 10 anni, non sappiamo ancora se il vaccino contro la suina aumentasse il rischio di narcolessia oppure no

Nel 2018, il dottor Steven Black, specialista in malattie infettive pediatriche al Cincinnati Children’s Hospital in Ohio, assieme a un team di ricerca internazionale pubblicò uno studio in cui dimostrava come gli adiuvanti da soli non potessero essere associati a un maggior rischio di narcolessia. I ricercatori hanno paragonato il tasso di incidenza della malattia in 7 diversi Paesi a quello emerso nel gruppo di bambini vaccinati e poi in due altri gruppi immunizzati con vaccini diversi, ma sempre contro il virus H1N1 e sempre con soluzioni contenti adiuvanti. "Non abbiamo trovato nessuna evidenza di un aumento del rischio nei diversi Paesi che abbiamo esaminato, ad eccezione della Svezia", ha spiegato il dottor Black. Quello che emerse, invece, fu l'aumento delle segnalazioni di eventi avversi una volta che le persone vennero a sapere della possibile correlazione tra il vaccino e la narcolessia.

D'altro canto, un report pubblicato nel 2018 dallo IABS (International Alliance for Biological Standardization) a Bruxelles identificava come "molto probabile" una correlazione tra il vaccino e la narcolessia, dal momento che in alcuni Paesi si era verificato un effettivo aumento dei casi. Non riuscì comunque a dimostrare il meccanismo attraverso il quale il farmaco avrebbe provocato la patologia.

Stiamo parlando di eventi rari

Non dobbiamo dimenticarci che al momento stiamo sempre parlando di eventi molto rari, soprattutto per quanto riguarda i vaccini contro il Covid-19. Nel Regno Unito, l'incidenza delle trombosi cerebrali è arrivata a un massimo di 1 caso ogni 600mila vaccinati con AstraZeneca. Va da sé che queste reazioni avverse non sarebbero potute emergere nei trials, che sono arrivati ad arruolare al massimo 40mila volontari. Ma ciò non significa che siano stati condotti con superficialità. Anzi. Il loro scopo era quello di verificare l'efficacia del vaccino e l'incidenza degli eventi avversi comuni, come dolore al braccio e febbre. Ma pure se fossero stati sperimentati per anni, su un numero maggiore di partecipanti, non sarebbe mai stato raggiunto il milione sul quale verificare poi la possibilità delle reazioni avverse più gravi.

Ora, però, nel mondo reale, ci sono davvero decine di milioni di persone che hanno ricevuto almeno una dose e dunque è normale che stiano emergendo anche gli eventi avversi più rari, tra cui gravi reazioni allergiche e trombosi. Ma la sfida rimane la stessa: capire quali di questi episodi siano davvero riconducibili al vaccino.

Intanto gli enti di controllo sono al lavoro. L'Istituto nazionale per le allergie e le malattie infettive degli Stati Uniti sta indagando sugli eventi avversi insorti dopo la somministrazione di vaccini a mRNA, che hanno colpito soprattutto donne o persone che avevano già avuto esperienza di reazioni allergiche gravi in passato. Le analisi sono volte soprattutto a capire chi possa avere maggior rischio di incorrere in questi problemi, in modo da sapere per tempo come gestire eventuali situazioni.

L'EMA, invece, si sta occupando di AstraZeneca e delle trombosi, mentre come avrai letto alcuni Paesi stanno ponendo limiti di età all'utilizzo di questo farmaco: no a chi ha meno di 55 o di 60 anni. Questo perché gli eventi avversi si sono verificati soprattutto su donne giovani.

Come si effettua la sorveglianza

Un'altra questione da affrontare è poi il modo in cui questi eventi avversi vengono registrati e segnalati. Al momento si utilizzano piattaforme, come quella dell'Organizzazione mondiale della Sanità, EduraVigilance di EMA o il sistema di report delle reazioni gravi messo a disposizione da FDA negli Stati Uniti. L'azienda sanitaria, l'ospedale o il medico possono segnalare direttamente l'evento avverso in un loro paziente. Ma c'è un bias, un pregiudizio, come fa notare Ariana Remmel: non c'è un confronto con l'incidenza di questi casi nella popolazione non vaccinata. In poche parole, io so solo che quella persona ha riportato una trombosi ed era stata vaccinata, ma non so quanti pazienti hanno sofferto della stessa patologia, nonostante non avessero effettuato il vaccino.

I sistemi di sorveglianza raccolgono solo le segnalazioni degli eventi avversi e non confrontano l'incidenza con la popolazione non vaccinata

Va da sé come emerga automaticamente una specifica informazione: dopo il vaccino insorgono le trombosi. Sarebbe invece più facile monitorare la sicurezza del vaccino se i report provenissero da sistemi di sorveglianza attiva che mettano sempre a confronto i dati, invece che basarsi semplicemente su quello che un paziente racconta e un operatore sanitario deve segnalare. I Centers for Disease Control and Prevention degli Stati Uniti, ad esempio, hanno raccolto informazioni da nove enti sanitari sparsi in tutto il Paese e le hanno inserite in una sorta di database sulla sicurezza del vaccino.

La combinazione tra sorveglianza attiva e segnalazioni da parte degli operatori sanitari è molto utile per stabilire la sicurezza di un vaccino. Inoltre, su questi risultati si possono basare alcune decisioni da parte delle autorità sanitarie rispetto a come condurre le future campagne vaccinali contro il SARS-Cov-2, che potrebbero essere necessarie anche nei prossimi anni.

Fonti| "Why is it so hard to investigate the rare side effects of COVID vaccines?" pubblicato su Nature il 1 aprile 2021; MHRA

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