Polmoni digitali riprodotti su chip: dai tumori al Covid-19, così la scienza esplora le terapie del futuro

Due studi di alcuni dei più attivi Istituti di ricerca statunitensi hanno dimostrato l’efficacia dei cosiddetti “organi in chip”: piattaforme tecnologiche in grado di riprodurre il funzionamento di un organo umano. L’innovativa metodologia permetterà di studiare nuovi trattamenti in modo più veloce e meno costoso.
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Kevin Ben Alì Zinati 7 Maggio 2021
* ultima modifica il 08/06/2021

Digitali, grandi quanto chiavette Usb e capaci di riprodurre il funzionamento dell’intestino, dei reni, della pelle, del midollo osseo oppure dei polmoni.

Puoi chiamarli “organi in chip” e rappresentano l'avanguardia della ricerca medica e scientifica.

Sai bene che per studiare nuove terapie e testare vaccini o farmaci sono necessari studi clinici accurati e dettagliati che, di contro, richiedono anni per essere completati e costi assai ingenti.

Ecco: la scienza da anni sta lavorando alla creazione di organi “artificiali”, vere e proprie piattaforme tecnologiche innovative che, come un laboratorio portatile, contribuiscano a ovviare tempi e costi della normale ricerca accelerando lo sviluppo di nuovi trattamenti per malattie e disturbi.

Una riproduzione di un organo in chip. Photo credit: Istituto Wyss di Harvard

Grande attenzione è ricaduta sui polmoni. Ancora oggi, infatti, l’insufficienza polmonare è una delle principali cause di morte al mondo e molte sono le condizioni che possono influenzare e danneggiare i polmoni: pensa all’asma, ai tumori, alle patologie croniche, al fumo di sigaretta, alla stessa influenza oppure, come purtroppo hai visto nell’ultimo anno e mezzo, anche il Covid-19.

Conoscere meglio come agiscono le malattie respiratorie e soprattutto capire ancora più fretta rispetto ad oggi come si comportano i nuovi farmaci nel nostro organismo ha spinto i ricercatori dell’Istituto Wyss di Harvard a progettare il proprio “polmone in chip”.

Si tratta di un modello 3D del polmone distale e delle strutture alveolari, quelle minuscole sacche d'aria che assorbono ossigeno durante la respirazione.

Composto da un polimero flessibile trasparente con le dimensioni di una chiavetta Usb, il dispositivo contiene canali microfluidici cavi rivestiti da cellule umane specifiche del polmone umano. Queste sono poi interfacciate con un sistema vascolare artificiale rivestito di cellule endoteliali umane.

AL suo interno vi sono poi due canali paralleli. Nel primo fluisce aria e vengono coltivate le cellule polmonari, nel secondo invece scorre un liquido simile al sangue ricco di cellule che costituiscono le pareti dei vasi sanguigni.

Nello studio descritto su Nature, i ricercatori hanno utilizzato il polmone in chip per valutare l’efficacia, oltre alla sicurezza, di ben otto farmaci già noti contro Sars-CoV-2.

E hanno scoperto che l’amodiachina, un antimalarico sarebbe capace di ridurre le infezioni del 60%: avrebbe infatti ridotto la carica virale del 70% bloccando la trasmissione del virus nel 90% dei casi.

Allo stesso modo un altro gruppo di scienziati, questa volta del Brigham and Women's Hospital di Boston, ha realizzato un chip in grado di simulare gli alveoli polmonari.

Diversamente dai dispositivi precedenti, realizzati su superfici piatte e con materiali plastici che non riproducevano fedelmente l'elasticità reale degli alveoli naturali, i ricercatori di Boston hanno utilizzato materiali più vicini e simili al tessuto alveolare umano, stimolando la crescita cellulare all'interno di questi spazi 3D.

La piattaforma digitale, come hanno descritto sulla rivista Pnas, è stata utilizzata per studiare gli effetti di Sars-CoV-2 sulle cellule polmonari e analizzare l’efficacia di alcuni farmaci come il famoso remdesivir.

Il futuro della ricerca e della medicina, quindi, potrebbe davvero passare per organi digitali e grandi come chiavette Usb.

Fonte | "Reversed-engineered human alveolar lung-on-a-chip model" pubblicata a maggio 2021 sulla rivista Pnas e "A human-airway-on-a-chip for the rapid identification of candidate antiviral therapeutics and prophylactics" pubblicata il 3 maggio 2021 sulla rivista Nature

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