Prima di morire, Remo Cerato scrive: “Una legge sull’eutanasia mi avrebbe risparmiato sofferenza”

Remo Cerato, 58 anni ed ex consigliere comunale di Germagnago in provincia di Tornino, è morto lo scorso 9 settembre, probabilmente in regime di sedazione profonda e continua. Soffriva di una rara patologia neurodegenerativa e fino alla fine ha atteso una legge sul fine vita. Legge che al momento non sembra nei programmi del Parlamento.
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Giulia Dallagiovanna 11 Settembre 2019
* ultima modifica il 22/09/2020

È morto in Italia lo scorso 9 settembre. Avrebbe preferito accedere all'eutanasia, ma ha dovuto probabilmente fare ricorso alla sedazione profonda. Questo almeno è quanto si può intuire da quanto lo stesso Remo Cerato, 58 anni ed ex consigliere comunale di Germagnano in provincia di Torino, ha scritto in un lungo post su Facebook. Forse lo avrai già visto, perché lo stanno riportando diversi giornali, ma quello che devi sapere sono le ragioni per cui questa storia è molto importante. Purtroppo, al momento le informazioni in nostro possesso non sono molte e, per capire quanto è accaduto, dovremo basarci soprattutto sulla lettera di addio che l'uomo ha pubblicato sul social network.

Questa:

Non sappiamo ad esempio di quale patologia soffrisse di preciso, ma sembrerebbe trattarsi di una rara forma neurodegenerativa. Lui parla di "una terribile malattia" che gli ha distrutto il fisico e "fiaccato la mia psiche con mesi di terrore, conoscendone già l'evoluzione" e che lo ha portato ad avere una crisi respiratoria nella notte tra il 5 e il 6 settembre. Episodi molto simili capitano anche a chi è affetto di Sla (Sclerosi Laterale Amiotrofica) o della tipologia di distrofia muscolare che aveva colpito Piergiorgio Welby. Significa, presumibilmente, che i muscoli del suo torace non riuscissero più a contrarsi e rilassarsi in modo autonomo, non permettendo quindi più ai polmoni di incamerare aria a sufficienza. Non sappiamo se fosse stato poi attaccato a un ventilatore meccanico per consentire la respirazione artificiale oppure no. Di solito però l'intervento medico sanitario è di questo tipo.

La scelta di Remo

Quello che è chiaro è che Remo Cerato, marito e padre di tre figli, era arrivato in una fase ormai terminale della malattia e avrebbe voluto andarsene senza ulteriori sofferenze. È lui stesso a scriverlo: "Il mio percorso in questa vita si sta per concludere e voglio salutarvi tutti personalmente. Stanotte, con una crisi respiratoria, sono diventato ufficialmente un grosso problema per i miei ragazzi, problema che non posso più tamponare con adeguamenti al ribasso. […] Non siate sorpresi dell'epilogo che ho scelto, perché è in linea con quello che sono sempre stato."

Prima di morire, ha rinnovato il suo appello alla politica perché discuta una legge sul fine vita

Non lo ha fatto però attraverso il suicidio assistito in Svizzera o tramite l'eutanasia in un Paese che lo consentisse. Era infatti ricoverato nell'ospedale di Lanzo Torinese ed è lì che, probabilmente, ha avuto accesso alla sedazione continua e profonda (anche se lui parla di suicidio assistito che però non è ammesso nel nostro Paese), pratica che in Italia è legale dal 2018. Al malato viene somministrato un mix di farmaci, per lo più composto da oppiacei e ipnoinducenti, che hanno la funzione di calmare il dolore e facilitare l'entrata in uno stato di incoscienza, nel quale la persona attende la morte naturale. Vi può fare ricorso solo un paziente terminale e solamente quando tutte le altre terapie esistenti si sono rivelate inefficaci.

Dal post però si capisce anche che Cerato avesse rifiutato altri trattamenti, come l'alimentazione e l'idratazione forzate: "Morire in ospedale… vuol dire farlo in diversi giorni, morendo di sete e di morfina. È quello che chiamano suicidio assistito… cosa molto diversa dall'eutanasia legale".

E infine, come diversi altri prima di lui, richiama l'attenzione del mondo politico: "Me ne andrò incompiuto ed arrabbiato, assolutamente non in pace perché subisco la mia morte come un'intollerabile ingiustizia. […] Lancio, in qualità di parte in causa, un'accusa/appello affinché la politica, già in colpevole ritardo per una legge sul fine vita che, se fosse stata in vigore, mi avrebbe regalato qualche sofferenza in meno, trovi il coraggio di affrontare e sanare una mancanza grave".

In attesa di una legge

La politica, però, è ferma. Il 24 giugno scorso un tentativo di discussione riguardo una proposta di legge sull'eutanasia è finito con un nulla di fatto. L'allora maggioranza composta da Movimento 5 Stella e Lega era divisa sul tema e si è preferito non accrescere gli attriti tra i due partiti che formavano il governo. La Corte Costituzionale, invece, è stata chiara: deve intervenire il Parlamento e colmare un vuoto legislativo che è stato messo in luce fin dal 2006, quando cioè sono emerse le vicende di Piergiorgio Welby ed Eluana Englaro. Nel caso specifico, però, la risoluzione della Corte parte dall'autodenuncia e dal conseguente processo a Marco Cappato, formalmente accusato di "aiuto al suicidio" per aver accompagnato in Svizzera Dj Fabo, che ha chiesto e ottenuto il suicidio assistito, nel 2017.

La prossima scadenza è il 24 settembre, ma il calendario dei lavori delle due Camere, al momento, non prevede nessun appuntamento dedicato al tema, mentre il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha già dichiarato che il governo non si occuperà di morte medicalmente assistita. Se nessuno farà nulla, come sembrerebbe molto probabile, la Consulta si esprimerà nel merito della legittimità costituzionale del reato di "aiuto al suicidio". E questa decisione potrebbe avere conseguenze molto importanti per tutti i pazienti che, al momento, attendono una legge sulla libertà di scelta.

Fonte| Associazione Luca Coscioni

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