Quando la tradizione si fa violenza, le mutilazioni genitali femminili

Ogni anno più di 3 milioni di bambine sono costrette a subire le mutilazioni genitali femminili, rischiando la vita e perdendo l’autorità sul proprio corpo. Ma in cosa consiste davvero questa pratica?
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Beatrice Barra 6 Febbraio 2023
* ultima modifica il 07/02/2023

Cucitura, circoncisione faraonica, infibulazione. Sono solo alcuni dei nomi delle pratiche di mutilazione genitale femminile che ancora oggi ogni anno più di 3 milioni di bambine sono costrette a subire. Pratiche dolorose, violente, traumatiche. Ogni gruppo le chiama con i termini tramandati dalla propria tradizione, che variano in base a etnia o religione: le ragazze o le donne somale, per esempio, quando ne parlano tra loro usano il termine – quasi domestico – di “cucitura”, la maggior parte delle popolazioni in cui è diffusa invece la chiama “circoncisione” in modo neutro.

La chiamano in questo modo per tentare di accomunarla a quella maschile – che viene effettuata anche per ragioni mediche ed è poco invasiva – facendola sembrare quasi più rassicurante. Tentando di sfumare, così, quelle differenze abissali che invece ci sono e costituiscono proprio il carattere distruttivo fisicamente e psicologicamente della pratica che devono subire le bambine in oltre 30 paesi dell’Africa subshariana e in alcuni del Medio Oriente, nel Sud- Est asiatico, in alcune comunità Sud Americane, in India e Pakistan. E non stiamo parlando di qualche bambina  (che comunque sarebbe ingiusto): ma in 7 di questi Paesi parliamo di 9 bambine su 10 che subiscono questa tortura.

Cosa sono le mutilazioni genitali femminili

Per l’Oms, con l’espressione “mutilazioni genitali femminili” si fa riferimento a tutte le pratiche di rimozione parziale o totale dei genitali femminili esterni, o qualsiasi altra alterazione indotta ed effettuata per ragioni culturali – e, comunque – non terapeutiche.

Ci sono quattro diversi tipi di mutilazione: dalla Sunna (che prevede l’asportazione della clitoride), e l’escissione (asportazione della clitoride e delle piccole labbra) che in molti Paesi vengono effettuate addirittura in bambine piccolissime, ovvero dal terzo al 40esimo giorno di vita.

Per poi passare poi al terzo tipo, chiamato infibulazione o circoncisione faraonica che è quella più cruenta e diffusa e consiste nell’asportazione di piccole e grandi labbra e poi nella cucitura dell’apertura vaginale, lasciando solo un piccolissimo foro (non più grande di un chicco di riso, per intenderci), per permettere la fuoriuscita dell’urina e del sangue mestruale. Questa pratica invece si effettua alle bambine dai 3 ai 12 anni. L’ultimo tipo invece comprende procedure diverse, che cambiano in base all’etnia: da piccole incisioni per fare uscire qualche goccia di sangue all’introduzione di sostanze corrosive nella vagina per restringerla o renderla asciutta.

Fonte: World Health Organization

Le conseguenze sulle bambine

Tutti questi interventi, invasivi, dolorosissimi e traumatici e soprattutto non necessari vengono effettuati senza anestesia, non praticati da medici e in condizioni igienico-sanitarie pessime. È anche inutile specificare che hanno un altissimo tasso di mortalità, complicazioni e ricadute psicologiche su chi le subisce.

Le bambine – perché fino a 14 anni questo si è – possono morire durante la pratica per emorragie o per lo shock, in alcuni casi anche per il troppo pianto, oppure dopo averla subita per le innumerevoli infezioni che può comportare.

Le origini di una violenza vissuta come una festa

La domanda che sicuramente ti starai facendo mentre ascolti è: perché?

Inizialmente questa pratica veniva effettuata per marcare il passaggio dall’infanzia all’età adulta, è un rito religioso, culturale. Ti basta pensare che le comunità in cui viene praticata rifiutano il termine “mutilazioni genitali”, perché fa riferimento all’usanza in modo dispregiativo, mentre le comunità la vivono come una festa: le bambine vengono vestite di bianco, si canta, si balla. Se per le bambine è la fine dell’innocenza e l’inizio di una sofferenza che vede la totale perdita di autorità sul loro corpo, per i popoli che la praticano segna l’ingresso di ogni donna nella comunità. E questo vuol dire solo una cosa: essere delle potenziali future mogli. Essere pure. Essere forti. Sarà infatti poi il futuro marito a dover aprire “la cucitura” durante il primo rapporto, provocando un’altra sofferenza inimmaginabile.

Addirittura, in molti casi viene chiesto alle bambine di non piangere durante la pratica per dimostrare di avere abbastanza forza da poter trovare marito. E chi non si sottopone? Non potrà sposarsi e sarà allontanata dalla comunità, perché considerata indegna. Questo è un caso estremo, ma sono ancora moltissimi i Paesi che vedono la sessualità femminile come un tabù, come un qualcosa da reprimere con ogni mezzo.

Quante bambine lo hanno subito e quante sono state salvate

Nonostante non si possano avere cifre esatte perché la pratica spesso viene eseguita illegalmente o in modi non tracciabili, l’OMS stima che sono più di 200 milioni le donne nel mondo che hanno subito le mutilazioni genitali, la maggior parte prima dei 15 anni. E si stima che saranno 68mln quelle che le subiranno entro la fine del 2030. Ancor più di tutti gli abitanti dell’Italia.

Potresti pensare che siano solo gli uomini a volere questa pratica, ma in realtà in alcuni casi sembra che siano le proprio le donne di famiglia a insistere perché venga eseguita. Addirittura, i padri che non vogliono sottoporre le figlie a queste violenze vengono considerati “deboli, disonorevoli” ed emarginati.

L’Onu, con la collaborazione di molte Ong, istituti di ricerca e dei donatori si è posto l’obiettivo di sradicare la pratica delle mutilazioni genitali femminili in ogni sua forma entro il 2030. Fino ad ora sono state oltre 20mila le bambine risparmiate grazie a queste iniziative. In alcuni Paesi le campagne di sensibilizzazione hanno raggiunto traguardi importantissimi. Nel Sudan, per esempio, l’87% delle donne era stato vittima di infibulazione, ma nel 2020 è entrata in vigore una legge che vieta questa pratica e punisce con il carcere chi la effettua.

Non bastano le leggi, serve informazione

Oltre che dal punto di vista legislativo, però, si deve agire anche sotto il profilo culturale. Perché i provvedimenti presi dagli enti internazionali possono  proteggere le bambine da questa pratica crudele, ma non dall’emarginazione da parte delle comunità che non riescono a comprendere la gravità di questo fenomeno per mancanza di informazioni.

Si deve dire a ogni mamma che la sua bambina può morire sottoponendosi a questa tortura. Ed è importante farlo perché questa pratica esiste da moltissimo tempo e sono in tanti ancora coloro che pensano che sia addirittura un bene dal punto di vista igienico e della capacità riproduttiva per la donna, molte di coloro che l’hanno subita non sanno nemmeno che è una violazione dei loro diritti, quindi è importante che la gente del posto venga informata dettagliatamente sui danni causati dalle mutilazioni genitali femminili e su quanto e come l’abolizione di questa pratica potrebbe essere un bene e una salvezza per milioni di bambine.

Le informazioni fornite su www.ohga.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.