Quanto durano gli anticorpi contro il Covid?

Non possiamo avere oggi una risposta definitiva a questa domanda, perché sarà necessario aspettare e capire cosa accadrà nei prossimi mesi e nei prossimi anni. Gli esperti per ora concordano sul fatto che la durata della protezione contro il Covid sia almeno di 9 mesi, ma vi sono studi che si spingono oltre.
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Giulia Dallagiovanna 23 Luglio 2021
* ultima modifica il 23/07/2021

Quanto durino gli anticorpi contro il Covid è una domanda alla quale tuttora non esiste una risposta definitiva. E la ragione è semplice: per saperlo, dobbiamo aspettare e vedere cosa accadrà nei prossimi mesi e nei prossimi anni. Alcune idee però possiamo già farcele in base agli studi che sono stati condotti e pubblicati tra la seconda metà del 2020 e tutta la prima parte del 2021. In generale, possiamo dire che oggi gli esperti concordano sul fatto che gli anticorpi, sia quelli sviluppati in seguito all'infezione sia quelli stimolati dal vaccino, durino tra i 6 e i 9 mesi. Non a caso, il green pass al momento scade dopo 270 giorni (anche se si sta pensando di estenderlo fino a 12 mesi). Ma ci sono diversi elementi da tenere in considerazione, ad esempio da cosa è formata una risposta immunitaria e quale ruolo abbiano gli anticorpi neutralizzanti.

Da cosa è formata la risposta immunitaria

Prima di tutto devi sapere che il tuo corpo risponde all'infezione da SARS-Cov-2 attraverso due tipi di immunità. La prima è quella umorale, dove gli anticorpi – le famose IgM, IgG e IgA – individuano il virus e lo neutralizzano. La seconda invece è quella cellulare, dove le cellule infette esprimono l'antigene virale sulla superficie e attivano quindi i linfociti T, che distruggono la cellula. Lo scopo è quello di fermare la replicazione cellulare che diffonderebbe l'infezione. Si attivano inoltre i linfociti B che producono gli anticorpi necessari per contrastare una eventuale reinfezione, dunque un secondo contatto con il virus. Questo è anche il concetto di memoria immunitaria: il tuo organismo si ricorda quale patogeno lo ha già infettato e quali difese aveva dovuto produrre. E così, se lo incontra di nuovo, produce quegli stessi anticorpi.

Ma proviamo a scendere più nel dettaglio. Le prime fasi dell'immunità adattiva, ovvero il processo più avanzato del nostro sistema immunitario che permette di produrre anticorpi e conservare la memoria dell'agente infettivo, sono mediate da un sottogruppo di linfociti, i T helper. Quando vengono stimolati da cellule che presentano gli antigeni virali, iniziano a produrre segnali di attivazione per altre cellule immunitarie, tra cui un altro sottogruppo di linfociti: i T citotossici. Questi attaccheranno le nostre cellule infettate dal virus, mettendo così in atto l'immunità cellulare. Ma si attiveranno anche i linfociti B, che producono le immunoglobuline, che non sono altro che proteine in grado di legarsi alla superficie dell'agente infettivo per impedire la sua entrata nella cellula e favorire quindi la sua rimozione dall'organismo. Questa è la risposta umorale.

Le immunoglobuline, di cui potresti sentire parlare spesso, sono suddivise in 5 classi, ma le più importanti per rispondere a un'infezione virale sono le famose IgM, IgG e IgA. Le prime sono le più precoci e si legano in modo debole all'antigene virale. Le seconde, invece, sono più tardive e si legano in modo più solido. Altre differenze riguardano il luogo in cui le puoi trovare: le IgG sono presenti nel sangue, mentre le IgA si rintracciano nelle mucose delle vie respiratorie e digestive. Sono inoltre in grado di impedire al virus di attaccare l'organismo, quando sono presenti.

Arrivati fin qui cominciano i dubbi: quanto durano gli anticorpi? E la memoria immunitaria? Sulla lunga distanza, quale forma di risposta immunitaria funziona meglio contro il Coronavirus? Ti anticipo già che a tutte queste domande non esiste ancora una risposta definitiva.

Lo studio a Vo' Euganeo

Vo' Euganeo, lo ricorderai bene, è stata una delle prime due zone rosse d'Italia. In questo comune si è verificato il primo decesso per Covid e da subito è stato coinvolto in studi e test per valutare il comportamento del virus e l'efficacia delle misure di prevenzione. Due analisi in particolare ci interessano. Entrambe convergono in un unico studio, di recente pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature. Ad occuparsene, il professor Andrea Crisanti.

Nello studio sulla popolazione di Vo' Euganeo è emerso che gli anticorpi rimangono in circolo per circa 9 o 10 mesi

Queste indagini hanno dimostrato che gli anticorpi rimangono in circolo per circa 9 o 10 mesi e che, alla presenza di un contatto con una persona positiva, si riattivano, proteggendo il corpo da una nuova infezione. La controprova è arrivata durante la seconda ondata: chi aveva già contratto il Covid nei mesi di marzo e aprile, non si è riammalato.

Gli anticorpi in chi è stato asintomatico

Chi non è risultato positivo, ma ha sviluppato il Covid in una forma lieve, avrà notato la comparsa di pochi sintomi quando non la totale assenza di questi. La domanda è: avrà comunque sviluppato gli anticorpi? Secondo uno studio pubblicato su Cell Reports, la risposta è sì. Più nel dettaglio, diminuivano con il passare del tempo gli anticorpi neutralizzanti (IgM, IgG e IgA), ma rimanevano i cosiddetti polifunzionali, che sono in grado di assistere i linfociti T citotossici mentre distruggono le cellule infette. Nel caso del SARS-Cov-2 sembra essere proprio questa la protezione che dura più a lungo.

Gli anticorpi nei vaccinati

A distanza di soli 7 mesi dall'inizio della campagna vaccinale, è davvero difficile poter affermare con certezza quanto duri l'immunità in chi ha ricevuto il vaccino contro il Covid. Ti ricordo, a scanso di equivoci, che si intende la protezione nei confronti della malattia grave, ovvero quella che necessita di ricovero, e non contro il semplice tampone positivo.

Uno studio pubblicato su Nature a fine giugno ha comunque fatto emergere buone notizie. Dopo aver analizzato la quantità di anticorpi prodotti in seguito all'inoculo e i tassi di calo nel periodo successivo, ha concluso che la protezione dovrebbe durare molto a lungo, anche se i vaccinati possono comunque risultare positivi o contrarre il Covid in forma lieve. E soprattutto, possono continuare a trasmetterlo a chi magari non è ancora stato immunizzato.

Naturalmente, l'immunità varia durante le diverse fasi del ciclo vaccinale. Dopo la prima dose infatti, potresti già aver sviluppato un buon grado di protezione, ma una volta trascorsi 14 giorni dalla seconda dose il livello dell'immunità sarà massimo. Ecco perché è importante sottoporsi ad entrambe, ad accezione naturalmente di chi ha ricevuto il monodose.

Quanto durano i linfociti B e T?

I linfociti B e T, come abbiamo visto, sono le cellule a cui dobbiamo fare più attenzione perché permettono di sviluppare un'immunità duratura contro il Covid. Alcuni dei loro componenti vanno infatti a formare la memoria immunitaria. La domanda è: quanto resistono nel caso del Coronavirus?

Uno studio pubblicato a maggio su Nature ha ipotizzato che, nei guariti da Covid, questi potessero durare addirittura tutta la vita. Sette mesi dopo l'infezione, infatti, erano ancora ben presenti le cellule B di memoria e le plasmacellule che possono produrre gli anticorpi contro la malattia. Dunque la macchina immunitaria era ancora perfettamente pronta a contrastare un nuovo attacco da parte dello stesso virus e secondo gli autori questa situazione potrebbe essere destinata a durare.

Il vaccino garantisce comunque maggiore protezione anche perché le due dosi complete sono in grado di contrastare anche le nuove varianti, persino la Delta che ora preoccupa l'Europa.

Fonti| "SARS-CoV-2 antibody dynamics and transmission from community-wide serological testing in the Italian municipality of Vo’" pubblicato su Nature, il 19 luglio 2021;
            "SARS-CoV-2 mRNA vaccines induce persistent human germinal centre responses" pubblicato su Nature il 28 giugno 2021;
            "Asymptomatic and symptomatic SARS-CoV-2 infections elicit polyfunctional antibodies" pubblicato su Cell Reports il 18 maggio 2021;
"SARS-CoV-2 infection induces long-lived bone marrow plasma cells in humans" pubblicato su Nature il 24 maggio 2021;

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