Ritardare la seconda dose di Pfizer a 42 giorni è una buona idea? Cosa dicono gli esperti

La decisione avallata dal Cts è già stata adottata da diverse regioni italiane. Ma c’è chi si è preoccupato e chi teme che questo ritardo possa pregiudicare l’efficacia del vaccino. Un gruppo di cittadini ha persino fatto ricorso al TAR del Lazio. Proviamo allora a capire meglio su quali basi scientifiche sia stata operata questa scelta.
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Giulia Dallagiovanna 13 Maggio 2021
* ultima modifica il 13/05/2021

Sempre più regioni hanno deciso di ritardare a 35 giorni la somministrazione della seconda dose del vaccino di Pfizer. Una scelta in linea con il parere del Comitato tecnico scientifico che aveva posto addirittura a 42 giorni il limite massimo per lo slittamento. Diverse persone si sono preoccupate e un gruppo di cittadini ha fatto ricorso al TAR del Lazio, sostenendo che il consenso informato fosse stato firmato con l'indicazione di ricevere il richiamo dopo i 21 giorni previsti fin dall'inizio. Ma al di là delle comprensibili paure, cosa si rischia davvero con l'allungamento del periodo di tempo tra le due iniezioni? L'efficacia potrebbe ridursi?

Nel Regno Unito, diversi esperti avevano criticato la decisione del governo di ritardare di ben 12 settimane l'inoculo del richiamo, sostenendo che non fosse giustificata da nessuna base scientifica. Il problema, però, riguarda proprio il numero di giorni. Proviamo a capire meglio.

Il via libera dall'EMA

Prima di tutto, bisogna specificare che questa decisione è stata assunta da esperti che si sono confrontati e non semplicemente da membri del governo che dovevano far fronte alla penuria di vaccini. Nella circolare del Cts si leggeva che i dati assicuravano un'efficacia pari all'80% già dopo una sola dose e che si trattava di una strategia per coprire quante più persone possibili con le risorse che abbiamo a disposizione. Non devi mai dimenticare, infatti, che non si tratta solo di un problema individuale del singolo cittadino, ma di una vera e propria questione di salute pubblica.

L'approvazione dell'EMA alla scelta italiana è da leggersi proprio in questo contesto. "È importante sottolineare che nei test clinici la somministrazione della seconda dose di Pfizer Biontech era prevista fino a 42 giorni. Queste informazioni sono nel bugiardino del vaccino. Quindi non è una deviazione rispetto alla raccomandazione superare i 21 giorni estendendo a cinque settimane-40 giorni", ha dichiarato Marco Cavaleri, responsabile della strategia sui vaccini di Ema.

I ricercatori canadesi a favore

Già a febbraio, due ricercatori che lavorano in Canada, Danuta Skowronski e Gaston De Serres, avevano scritto una lettera al New England Journal of Medicine per chiedere che si ritardasse la somministrazione della seconda dose di Pfizer, in modo da poter coprire, almeno parzialmente, una quantità più elevata di persone in un tempo più breve.

Già a febbraio due 2 ricercatori che lavorano in Canada avevano scritto un appello affinché si ritardasse la seconda dose

I due esperti sostenevano inoltre che, dai documenti sottoposti alla FDA per l'approvazione, emergeva un'efficacia pari al 92,6% già dopo una sola iniezione. Di poco inferiore quella di Moderna, ferma al 92,1%.

Per la verità queste percentuali sono state in parte riviste mentre si monitoravano gli effetti del vaccino nel mondo reale. Secondo quanto è emerso in Israele, dopo la prima dose Pfizer garantirebbe una copertura compresa tra il 60% e l'80%.

Perché non oltre i 42 giorni

Torniamo ora al caso inglese e alle critiche sollevate dagli esperti in quel frangente. A gennaio, quando la campagna vaccinale era iniziata da pochissimo anche nel Regno Unito, il governo annuncia di voler ritardare la somministrazione della seconda dose di tutti i vaccini allo scopo di immunizzare prima l'intera popolazione con un solo inoculo. Poco è meglio di niente, questo era l'assunto di base.

Il problema è che il richiamo per il farmaco di Pfizer era previsto dopo ben 12 settimane, esattamente il doppio rispetto al limite fissato dal foglietto illustrativo del Comirnaty di cui parlava Cavaleri. Non c'erano controindicazioni dirette, ma nemmeno studi a sostegno. Insomma, non esisteva nulla sul quale poter basare questa decisione.

"Il JCVI (Joint Committee on Vaccination and Immunisation) sostiene che i vaccini a mRNA si comporterebbero in modo molto simile a quelli a vettore virale, come l'AZD1222, sviluppato da AstraZeneca e dall'Università di Oxford, ma non c'è nessuna evidenza scientifica pubblica al riguardo", si avvertiva in un articolo apparso sulla prestigiosa rivista The Lancet.

"Test di vaccini a mRNA eseguiti su modelli animali hanno dimostrato come 28 giorni dopo la prima iniezione, la produzione di anticorpi neutralizzanti subiva un calo evidenteveniva invece sottolineato sul British Medical Journal da un gruppo di ricercatori dell'Università di Nottingham. – Ma la risposta immunitaria subiva una nuova e più intensa stimolazione grazie al richiamo. Per questo motivo, la decisione di ritardare la somministrazione della seconda dose solleva qualche preoccupazione. Si avverte la necessità di eseguire studi anche sugli esseri umani, prima di convalidare la decisione dello slittamento fino a 12 settimane".

I dubbi degli esperti riguardavano soprattutto le fasce di popolazione più anziana, la cui immunità potrebbe durare meno rispetto a chi è più giovane. Le stesse, inoltre, che risultano più esposte alle complicanze del Covid-19.

Di conseguenza, è possibile ritardare l'inoculo della seconda dose finché ci si mantiene entro i limiti fissati dalla stessa azienda farmaceutica sulla base degli studi effettuati. Oltre, si naviga nel buio.

Fonti| "Covid-19 vaccines: to delay or not to delay second doses" pubblicato sul British Medical Journal il 5 gennaio 2021; 
            "Delayed second dose of the BNT162b2 vaccine: innovation or misguided conjecture?" pubblicato su The Lancet il 19 febbraio 2021;
            Ministero della Salute;
            Reuters;       

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