Roma, gli asportano uno dei tumori più grossi mai estratti al mondo: tutto grazie a una tecnica giapponese poco nota in Occidente

Si chiama Dissezione Endoscopica Sottomucosa e i chirurghi del Policlinico Gemelli di Roma l’hanno utilizzata per salvare un uomo di 68 anni colpito da un tumore al retto grosso quanto un foglio della stampante, ben 21 centimetri per 17.
Entra nel nuovo canale WhatsApp di Ohga
Kevin Ben Alì Zinati 23 Febbraio 2021
* ultima modifica il 22/03/2021

Per rimuovere un enorme tumore al retto, grosso quanto un foglio della stampante, ci vuole una tecnica altrettanto eccezionale. Si chiama Dissezione Endoscopica Sottomucosa e i chirurghi del Policlinico Gemelli di Roma l’hanno utilizzata per salvare un uomo di 68 anni colpito da un tumore di ben 21 centimetri per 17: una tra le masse più grandi mai asportate finora al mondo.

Un tumore enorme

L’uomo, di 68 anni, aveva fatto visita al proprio medico dopo che da diversi mesi lamentava disturbi insoliti: un’abbondante perdita di muco, qualche volta accompagnata da sangue nelle feci e livelli di potassio sempre più bassi nelle analisi del sangue. I risultati della rettoscopia a cui l'aveva sottoposto avevano evidenziato la presenza di un’enorme lesione che, per arrivare a queste dimensioni, di solito impiega anni.

Forse non sapevi che in Italia quasi un uomo su 12 e una donna su 19 sviluppano un tumore del colon-retto nella propria vita. E che le attività di screening, uno dei tre effettuati in Italia secondo le linee guida ministeriali (dopo quello della mammella e quello della cervice uterina) possono aiutare a individuarli e rimuoverli in fase iniziale.

Quale approccio chirurgico scegliere? 

Nel caso del 68enne di Roma, però, il tumore era già in fase avanzata e la strada sembrava tracciata. L’unico approccio chirurgico era un intervento tradizionale “demolitivo”: in pratica gli avrebbero dovuto asportare il retto creando una colostomia, il cosiddetto “sacchetto” per deviare l'intestino crasso verso un'apertura sull'addome sostituendo l'ano naturale. Come puoi intuire, l'intervento avrebbe avuto un enorme impatto sulla sua qualità di vita.

L’alternativa messa sul tavolo però si chiamava Endoscopic Submucosal Dissection: è una tecnica di chirurgia endoscopica avanzata, messa a punto più di 20 anni fa in Giappone dove oggi è comunemente utilizzata per trattare tumori dello stomaco in fase iniziale, ma che è poco utilizzata in Occidente.

Questa tecnica avrebbe consentito ai chirurghi di resecare le lesioni neoplastiche superficiali del tratto gastro-intestinale, a prescindere dalle dimensioni, in un unico grosso frammento e allo stesso tempo di poter effettuare un’accurata valutazione istopatologica sul rischio di invasività: avrebbe permesso di capire, in sostanza, se l’intervento sarebbe stato curativo o meno.

Non solo. Tale approccio avrebbe aiutato a preservare l’organo e la sua funzionalità e, soprattutto, avrebbe garantito al paziente una miglior qualità di vita post operazione.

In sala operatoria

I chirurghi del Policlinico sono rimasti in sala operatoria per ben 580 minuti: in 10 ore di intervento hanno prima iniettato, con un ago, una sostanza nella sottomucosa per scollare la lesione mucosa dai piani profondi e poi con un “endo-knife”, un mini-bisturi, hanno inciso e dissecato la lesione fino ad arrivare all’asportazione in blocco del tumore. Un blocco grosso quanto un foglio A4.

L’uomo è stato dimesso dopo 4 giorni, oggi sta bene e verrà ora sottoposto a un ciclo di radioterapia per completare il trattamento e ridurre al massimo il rischio di metastatizzazione.

Fonte | Policlinico Gemelli di Roma

Contenuto validato dal Comitato Scientifico di Ohga
Il Comitato Scientifico di Ohga è composto da medici, specialisti ed esperti con funzione di validazione dei contenuti del giornale che trattano argomenti medico-scientifici. Si occupa di assicurare la qualità, l’accuratezza, l’affidabilità e l’aggiornamento di tali contenuti attraverso le proprie valutazioni e apposite verifiche.
Le informazioni fornite su www.ohga.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.