Sai perché tuo figlio si mangia le unghie? Secondo la dottoressa Grimaldi Capitello “è la somatizzazione di un’ansia che va ascoltata”

L’onicofagia è tipica dei bambini in età scolare, quindi tra i 5 e gli 11 anni e con il tempo tende a diminuire fino a svanire sebbene ci siano ancora adolescenti o adulti che vengono beccati con le unghie tra i denti. La responsabile del reparto di Psicologia Clinica dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma ci ha spiegato l’origine di questo disturbo e quali sono i mezzi più efficaci per gestirlo.
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Kevin Ben Alì Zinati 16 Febbraio 2021
* ultima modifica il 16/02/2021
In collaborazione con la Dott.ssa Teresa Grimaldi Capitello Responsabile del reparto di Psicologia Clinica dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma

Alza la mano se non ti sei mai mangiato le unghie. Oppure se non hai mai visto tuo figlio infilarsi le dita in bocca e rosicchiarne la punta per minuti e minuti, finché non hai dovuto letteralmente strappargliele via.

Forse non sapevi che quella di mangiare le unghie è una condizione diffusa che prende il nome di onicofagia. Apparentemente può sembrarti banale. Magari l’hai vista come una peculiarità, un dettaglio che caratterizza una persona al pari del colore dei suoi occhi, del modo di pronunciare la erre o dell’abitudine a scrocchiare continuamente le dita delle mani, e quindi non ci hai fatto troppo caso.

Eppure ti sarai accorto che, molte volte, il lavoro del genitore non è poi tanto diverso da quello del cercatore di tesori: per arrivare alla “X” devi seguire la mappa osservando e interpretando ciò che lentamente ti viene rivelato. E dietro alla superficie di banalità di un’unghia strappata con i denti potrebbe nascondersi un indizio importante per decifrare la salute psicologica di tuo figlio.

Ce l’ha rivelato la dottoressa Teresa Grimaldi Capitello, responsabile del reparto di Psicologia Clinica dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma: “Molto spesso l’onicofagia è legata all’ansia da prestazione scolastica o sportiva che a sua volta è determinata da compiti, interrogazioni o comunque performance a cui corrisponde una qualche forma di giudizio. Non sbaglieremo quindi se definissimo la tendenza dei bambini a mangiarsi le unghie, quindi, come una somatizzazione dell’ansia.

Il terreno dove più facilmente si insedia e cresce è l’età scolare. Nel 60-80% dei casi la possiamo ritrovare tra i 5 e gli 11 anni “anche se, in realtà l’onicofagia si può riconoscere già a partire dal quinto anno di vita e può protrarsi fino alle scuole medie, quindi fino ai 13 anni. Secondo la dottoressa Grimaldi Capitello, tende a diminuire con il tempo fino a sparire sebbene, come sai anche tu, esistano adolescenti e perfino adulti che ancora oggi si fanno beccare in flagrante, con le mani alla bocca e le unghie tagliuzzate.

L'onicofagia è legata a performance a cui corrisponde un giudizio

Dott.ssa Teresa Grimandi Capitello, responsabile Psicologia Clinica Ospedale Bambino Gesù di Roma

Onicofagia fa dunque rima con ansia. Nel senso che ne è l’esternazione concerta, al pari di altri gesti come il cosiddetto “skin picking”, lo stuzzicarsi la pelle del volto, delle mani o più in generale del corpo fino a procurarsi sanguinanti e delle vere e proprie ferite. “Il mangiarsi le unghie è un disturbo molto meno grave e traumatico, solo uno scarso 20% dei casi arriva a sfociare in simili forme di autolesionismo.

Forse sei più familiare a vedere l’ansia in altre forme, pensa per esempio al tentennamento delle gambe, di una o tutte e due, o alla tosse ticcosa, più frequente tra i 7 e 9 anni, quando sulle spalle dei ragazzi cominciano a pesare le richieste scolastiche, sociali e di performance sportiva. “Si tratta di disturbi d’ansia sotto soglia – ha precisato la responsabile del reparto di psicologia clinica del Bambino Gesù – non rappresentano un vero e proprio disturbo ma sono dei segnali anticipatori di uno stato di ansia da performance”.

Il “bersaglio” preferito di questa forma di somatizzazione dell’ansia sono dunque le mani, “anche se un tale atteggiamento può essere rivolto anche ai piedi, soprattutto nei più piccoli”. Le mani sono perciò gli indizi su cui tu, genitore, devi porre attenzione.

La dottoressa Grimaldi Capitello ci ha spiegato che nell’età scolare i bambini hanno una manualità diversa e molto spesso le mani sembrano apparentemente meno utilizzate rispetto a quanto avviene nella fascia d’eta inferiore. “Eppure, sono i primi «strumenti» che hanno a disposizione: fin da neonati tendono a raccogliere oggetti e portarli alla bocca, è il loro modo per esplorare e conoscere l’ambiente che li circonda”.

Ecco quindi che da alleati, le mani diventano falsi amici. Puoi pensare che sfruttare i diversi strati di cheratociti che compongono le nostre unghie come pungiball contro l’ansia sia un metodo innocuo e innocente per sfogarla. In realtà è tutto l’opposto, su ogni fronte.

È un disturbo tipico dell'età scolare che tende a sparire anche se resta in alcuni adolescenti e adulti

Dott.ssa Teresa Grimaldi Capitello, responsabile Psicologia Clinica Ospedale Bambino Gesù di Roma

“Quello che si crea con l’onicofagia è un circolo vizioso. Perché per tentare di uscire dal loop dell’ansia, il bambino prova a trovare sfogo mangiando le unghie ma questo alimenta a sua volta un atteggiamento compulsivo che dà origine al circolo vizioso dove la forma di scarico dell’ansia può sembrare la soluzione quando, in realtà, non lo è. Oltre a conseguenze psicologiche, l’onicofagia può portare anche all’accorciamento delle unghie stesse e, nei casi in cui siano coinvolte anche le cuticole attorno, può provocare arrossamenti della pelle e sanguinamenti.

Arrivato fin qui, probabilmente hai voglia di chiedermi: quindi, da genitore, che cosa posso fare?. Il primo passo è lasciar stare tutti i prodotti chimici come gli smalti o altri prodotti simili: possono ridurre il sintomo, quindi il mangiare le unghie, ma tralasciano la comprensione del perché che vi sta dietro, e dunque non servono.

La risposta è un approccio psicologico e psicoterapeutico: “Questi percorsi cercano di intervenire sul contesto familiare, sociale o sportivo di aspettative che il bambino sta vivendo” ha spiegato la responsabile del reparto di Psicologia Clinica dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma, che ha raccontato come “molti bambini che soffrono di onicofagia sono spesso ragazzi che, per esempio, si fermano oltre gli orari scolastici o agli allenamenti delle proprie attività agonistiche, sono bambini molto impegnati e sui quali sono riversate tante aspettative. Sono ragazzi che, molto spesso, riescono brillantemente nelle attività che fanno e rispettano le aspettative”.

Il costo del successo, però, non è indifferente e resta evidente lì, sulle loro mani.

Uno degli obiettivi dei percorsi è creare maggiori spazi di comprensione e accoglienza e non di iperinvestimento familiare. E anche se approcci che iniziano con il prefisso “psico” possono spaventare e alcuni genitori preferirebbero farmaci o rimedi più veloci, secondo la dottoressa Grimaldi Capitello la percentuale di famiglie che ricorrono alla consulenza del pediatra e dello psicologo sono aumentate: “Al Bambino Gesù abbiamo registrato un aumento di circa il 25% degli accessi in pediatria per un’eccessiva medicalizzazione di disturbi psichici.

Di questo 25%, l’onicofagia rappresenta una piccola fetta “perché viene ritenuto meno grave o meno socialmente identificabile rispetto ad altri disturbi d’ansia come la tosse ticcosa, una certa forma di orticaria, il mal di pancia, il vomito ricorrente o la cefaela: tutti disturbi che hanno un’esposizione sociale peggiore”. Eppure.

Eppure è il dato generale che importa: è il cambio di prospettiva, lo sguardo nuovo con cui i genitori osservano i propri figli che ha permesso loro di diventare più abili nell’interpretazione della famosa mappa. “Se i numeri aumentano significa che i genitori hanno sempre maggior attenzione e fiducia verso l’aspetto psicologico: anche se resta comunque un certo grado di resistenza e un pregiudizio enorme c’è più accettazione”.

La “X” non è più soltanto una "X".

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