Se faccio un vaccino efficace al 60%, sono meno coperto contro il virus? Risponde il prof. Cauda

Una domanda che in questi giorni si stanno ponendo soprattutto insegnanti e rappresentanti delle forze dell’ordine, ai quali verrà somministrato il terzo vaccino approvato dall’Ema, quello di AstraZeneca. Rispetto alle soluzioni di Pfizer e Moderna, ha mostrano una percentuale di efficacia più ridotta. Ma cosa significa davvero?
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Giulia Dallagiovanna 25 Febbraio 2021
* ultima modifica il 25/02/2021
Intervista al Prof. Roberto Cauda direttore dell'Unità operativa complessa di Malattie infettive dell'IRCCS Policlinico Universitario "A. Gemelli" e ordinario di Malattie Infettive presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma

I primi vaccini approvati dall'Ema, l'Agenzia europea per il farmaco, sono stati quelli di Pfizer e poi di Moderna. Entrambi avevano dimostrato un'efficacia tra il 94% e il 95%. E poi è arrivato l'ok alla soluzione di AstraZeneca, quella su cui abbiamo scommesso di più, opzionando 40 milioni di dosi. A questo punto, però, abbiamo dovuto rivedere i piani: l'Aifa lo aveva inizialmente raccomandato solo per chi aveva meno di 55 anni e il governo ha deciso di modificare in corsa l'organizzazione dell'intera campagna. Stop momentaneo agli ultrasettantenni e via libera invece a insegnanti e forze dell'ordine. Alcuni tra loro, però, si sono risentiti: com'è che gli veniva riservato un farmaco immunizzante che garantiva un'efficacia del solo 60%? Insomma, perché dovevano ricevere un vaccino di serie B?

In realtà, non dovremmo allarmarci davanti a queste cifre, anche perché non sappiamo davvero a cosa si riferiscano. "Come spiega bene un articolo pubblicato su The Lancet, efficacia al 95% significa che su 100mila persone invece che 1000 casi di Covid in tre mesi, ne registrerò solo 50 – chiarisce il professor Roberto Cauda, direttore dell'Unità operativa complessa di Malattie infettive dell'IRCCS Policlinico Universitario "A. Gemelli" e ordinario di Malattie Infettive presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. – Il vaccino dunque è in grado di ridurre del 95% il numero di malattie nella popolazione che lo ha ricevuto, rispetto a quella che invece non è coperta. Quello di AstraZeneca, dunque, le farà calare in una percentuale che oscilla tra il 60% e il 70%".

Bisogna sempre ricordare che un candidato vaccino deve dimostrare di avere effetto su tre obiettivi principali: prevenzione della malattia, prevenzione dell'infezione, prevenzione della trasmissione da uomo a uomo. Ciascuno di questi elementi infatti contribuisce al controllo dell'epidemia. "Il traguardo più importante è sicuramente la protezione contro la malattia grave e il possibile decesso – precisa il professor Cauda, – ma si tratta di risultati difficili da mettere in evidenza durante gli studi di fase 3. Nel caso di Pfizer, ad esempio, sono stati arruolati 44mila partecipanti volontari, troppo pochi per scendere così tanto nello specifico. Ora invece nel mondo abbiamo già milioni di vaccinati e i risultati emergono in modo più chiaro per tutti quelli approvati". 

Il vaccino è in grado di ridurre del 60% il numero delle persone che sviluppano il Covid-19 in seguito all'infezione da Coronavirus

Ti ricordo che si parla di infezione quando un individuo risulta positivo al tampone e di malattia vera e propria quando mostra anche i sintomi del Covid-19. L'obiettivo principale al quale la campagna vaccinale punta è quella di evitare malati gravi, che hanno necessità di essere ricoverati in ospedale e che rischiano di morire. Anche perché, questa è esattamente la ragione per la quale conviviamo da circa un anno con tutte queste restrizioni. "La soluzione di AstraZeneca ha dimostrato di essere efficace in questo senso – prosegue Cauda. – Inoltre, non dobbiamo dimenticarci che vengono già impiegati altri vaccini, come quello contro la pertosse o l'antinfluenzale, che mostrano percentuali di efficacia attorno al 70% o anche inferiori. Eppure hanno successo nella prevenzione delle forme gravi".

E per il momento, non dobbiamo nemmeno farci spaventare troppo dalle varianti. "Si è ipotizzato che la variante sudafricana facesse perdere di potenza i vaccini, ma cosa significa questa affermazione? L'esperimento è avvenuto interamente in laboratorio, dove il virus mutato è stato messo a contatto con gli anticorpi prodotti dal soggetto immunizzato per valutare la capacità inibitoria di questi. Ma fino a quando la sperimentazione è in vitro, si può parlare solo di ipotesi. È nella realtà che le risposte anticorpali devono essere verificate e l'Organizzazione mondiale della sanità ha specificato che i vaccini devono essere utilizzati anche in presenza di varianti", spiega il professor Cauda. Inoltre, le aziende farmaceutiche si sono impegnate a raccogliere dati proprio sul campo e a modificare i propri farmaci qualora fosse necessario. "Si cambia qualche parola, per cambiare il senso della frase e renderla più incisiva contro il virus". Proprio come avviene ogni anno per l'antinfluenzale.

Insomma, se ti somministrano un vaccino efficace al 60%, non significa che non sarai del tutto coperto contro il Covid. Di nuovo, l'invito è quello di non guardare solo a se stessi, ma di pensarsi come parte di una comunità. Come ci ricorda il professore, infatti, "è una questione di sanità pubblica e vaccinarsi significa togliere terreno al virus". Più persone riceveranno il farmaco immunizzante e meno potere avrà il SARS-Cov-2 di provocare una malattia grave, intasando gli ospedali e mettendo quasi in pausa le nostre vite.

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