Mentre tutta l'Italia è impegnata a fare i conti con la pandemia di Covi-19, arriva una buona notizia: gli interventi importanti non si fermano, nemmeno quelli più complessi e delicati. È accaduto ad esempio all'Ospedale Santa Maria alle Scotte di Siena, dove una donna con tumore al colon-retto e metastasi al fegato, posizionata in una sede complessa, è stata operata in due tempi da un'equipe multidisciplinare guidata dal dottor Marco Farsi, direttore dell'unità operativa complessa di Chirurgia generale ed epatobiliopancreatica dell'Aou senese.
"I tumori del colon-retto si associano più o meno nel 40% dei casi alla coesistenza di metastasi al fegato – ci ha spiegato il dottor Farsi. – In situazioni come queste è prevista, oltre all'intervento chemioterapico, anche la possibilità di resezioni epatiche per eliminare le formazioni maligne. Si tratta però di un'operazione impegnativa e devono sussistere le condizioni, sia dal punto di vista anatomico che per quanto riguarda lo stato di salute del singolo paziente".
Questo tipo di approccio può essere realizzato in diversi modi. Si può ad esempio optare per rimuovere sia tumore primitivo che metastasi all'interno di un'unica operazione, oppure eliminare il cancro al colon e in un secondo momento, a distanza di qualche mese, agire per ripulire anche il fegato. Più rara è invece la scelta di partire proprio dalle metastasi epatiche e operare la neoplasia primaria in seguito. Quest'ultima tecnica si chiama liver first (prima il fegato) ed è stata quella scelta dal dottor Farsi in questa occasione.
"Le metastasi al fegato erano particolarmente impegnative: una in particolare era molto vicina alla vena cava e alla vena sovraepatica destra – racconta. – Ho quindi deciso di trattare per prima la patologia più pesante, in modo da eliminare subito gli elementi che davano maggiore preoccupazione".
La vena cava è il più grande condotto venoso dell'organismo umano, quella sovraepatica destra, invece, è uno dei tre vasi più importanti del fegato. Se durante l'intervento chirurgico una delle due avesse subito una lesione accidentale, si sarebbe potuti andare incontro a un'emorragia difficilmente controllabile. Il rischio dunque era elevato. Per questo motivo, l'operazione è stata studiata e programmata nei minimi dettagli da un GOM, un gruppo oncologico multidisciplinare, formato tra gli altri da un oncologo, un radiologo, un anatomo patologo e diversi chirurghi. "Una volta che abbiamo condiviso il tipo di approccio, il problema era elaborare la strategia giusta – prosegue il dottor Farsi. – Abbiamo quindi studiato attentamente le immagini ottenute dalla TAC e programmato l'intervento in modo da ridurre al minimo ogni rischio. Ho deciso di coinvolgere anche i cardiochirurghi e di eseguire l'operazione nel reparto di Cardiochirurgia perché in quella sala avremmo avuto la possibilità di passare a una circolazione extracorporea, qualora ce ne fosse stato bisogno".
Per fortuna, questa necessità non si è presentata. L'intervento è terminato nel modo migliore, riuscendo anche a preservare quanto più tessuto epatico possibile. "Cerchiamo sempre di asportare la minor porzione di fegato possibile – precisa il dottore, – in modo che il paziente recuperi al meglio durante il periodo post-operatorio e che non si presenti il rischio di insufficienza epatica. Inoltre, questa precauzione ci consente di poter operare di nuovo il paziente, nel caso in cui dovessero svilupparsi nuove metastasi".
Oggi la paziente sta bene. Dovrà continuare a sottoporsi a tutti i controlli, certo, ma l'operazione è assolutamente riuscita: la donna è infatti libera da malattia.
Credits photos: Ufficio stampa AOU senese