La Sindrome di Kawasaki continua a far parlare di sé. La patologia, tipica dei bambini, nell’ultimo mese era stata messa in relazione all’infezione da Coronavirus: come ti avevamo raccontato, il virus ha aumentato notevolmente il numero dei casi di bambini affetti da quella che appare una forma più aggressiva della Kawasaki. Nel nostro Paese, ad oggi, tutti i piccoli pazienti sono stati curati e mentre alcuni sono ancora in fase di dimissione, altri sono già arrivati a casa. In questi ultimi giorni, però, nel resto del mondo sono stati registrati dei decessi di bambini con la Sindrome: in Inghilterra purtroppo è capitato a un bambino di 8 mesi per il quale il legame con Sars-Cov-2 non è ancora stato chiarito; in Francia, a Marsiglia, è toccato a un bimbo di 9 anni, non positivo al tampone ma ai test sierologici; nello Stato di New York invece sarebbero 100 i bambini affetti da Kawasaki, con 3 vittime registrate in città. Sul rapporto tra la sindrome e il virus sono calate nuove ombre sulle quali abbiamo provato a fare luce insieme al professor Angelo Ravelli, direttore della Clinica Pediatrica e Reumatologia dell’Istituto Gaslini di Genova.
La Kawasaki non è mai mortale, è rarissimo. Le circostanze che potrebbero portare alla morte sono una estesa trombosi oppure la rottura di un aneurisma coronarico, ma si tratta di evenienze davvero molto rare.
La causa della morte credo sia legata al fatto che alcuni di questi bambini, quelli più gravi, hanno sviluppato la sindrome da shock tossico che, seppur solo nel 5-7% dei casi, è comunque presente nella Kawasaki.
C’è un calo della pressione sanguigna perché si verifica il travaso di liquidi al di fuori del circolo, causato dalla tempesta di citochine che si crea con l’infezione da Coronavirus. Dall’altra parte vi è una sofferenza del miocardio, l’infiammazione del muscolo del cuore che riduce la capacità di pompa.
Sicuramente le due situazioni sono temporalmente legate, anche se solo una parte dei bambini è positiva al tampone o alla sierologia. La risposta immunitaria anomala al virus causa questa infiammazione più aggressiva simile alla Sindrome di Kawasaki in soggetti con una particolare predisposizione genetica, di cui per ora però non sappiamo ancora nulla. Potrebbe dipendere anche dall’etnia: in UK, per esempio, i soggetti più colpiti appartenevano a gruppi afro-caraibici.
Noi italiani siamo stati i primi a dare l’allarme, seppur in maniera più morbida. In UK invece l’allarme è stato molto più forte. Ciò potrebbe dipendere anche dal fatto che i bambini italiani sono stati individuati dai pediatri mentre in Inghilterra le segnalazioni sono arrivate dagli intensivisti che quindi potrebbero aver segnalato solo il sottogruppo più grave.
Non più del dovuto, non bisogna fare allarmismo, il mio slogan è informare sempre senza generare il panico. Per rassicurare le famiglie voglio dire che è importante che i pediatri siano informati dell’aumento di frequenza di questa malattia e che i genitori conoscano i sintomi della sindrome. È il segreto per fare in modo che questi bambini vengano ricoverati tempestivamente e ricevano un trattamento adeguato in tempo utile.