Sindrome di Reye: una patologia rara che colpisce i bambini ed è legata all’assunzione di un farmaco comune

La sindrome di Reye è un’encefalopatia acuta che colpisce quasi sempre i bambini e provoca disfunzioni del fegato: si tratta di una patologia rara le cui cause non sono note, anche se nella maggior parte dei casi l’insorgenza è associata ad un’assunzione di acido acetilsalicilico, il principio attivo dell’aspirina, nei pazienti pediatrici. Il trattamento è principalmente di supporto: analizziamo insieme l’incidenza e la gravità della malattia.
Entra nel nuovo canale WhatsApp di Ohga
13 Maggio 2021 * ultima modifica il 13/05/2021

La sindrome di Reye fu descritta per la prima volta nel 1963 dal patologo R.D.K. Reye, da cui prese il nome; la sua scoperta portò, agli inizi degli anni ’70, a studi circa la somministrazione dell’aspirina ai bambini e a conseguenti restrizioni sul suo utilizzo, in quanto venne appurato che uno dei fattori scatenanti della malattia è proprio il principio attivo del farmaco, l’acido acetilsalicilico. Grazie a questi avvertimenti sull’utilizzo dell’aspirina nei bambini i casi di sindrome di Reye calarono drasticamente nei decenni seguenti.

Sindrome di Reye

Cos’è

La sindrome di Reye è una malattia pediatrica rara caratterizzata da un coinvolgimento del sistema nervoso, noto come encefalopatia, associata a steatosi, ossia la degenerazione grassa del fegato, che evolve in insufficienza epatica: si tratta quindi di una patologia potenzialmente fatale.

La sindrome di Reye si presenta nei bambini con vomito e confusione, fino a giungere rapidamente al coma e alla morte; si è notato il ruolo dell’aspirina nell’insorgenza della patologia in quanto la sindrome di Reye si palesava nei pazienti appena guariti da una malattia virale, durante la quale veniva somministrata dell’aspirina, contenente acido acetilsalicilico.

L’incidenza di sindrome di Reye nei bambini è rara, essendo diagnosticata in massimo due casi segnalati all’anno; l’età massima di insorgenza è comunemente 18 anni, sono stati analizzati casi anche in bambini di età inferiore all’anno, e viene rilevata soprattutto nella stagione invernale. La comparsa della patologia negli adulti è ancora meno comune e la differenza è sostanziale soprattutto nella gravità della sintomatologia: nei bambini si tratta di una patologia potenzialmente letale, mentre negli adulti i sintomi si risolvono in breve periodo (in due settimane circa) e la gravità degli stessi è molto inferiore.

Le cause di insorgenza, tuttavia, non sono totalmente chiare e precise, in quanto ad oggi non esiste un test specifico per determinare la sindrome di Reye.

Cause

Le cause specifiche dell’insorgenza della sindrome di Reye non sono certe, ma ti ho già spiegato come allo sviluppo della patologia sia associato l’utilizzo di acido acetilsalicilico in risposta ad alcune infezioni virali, soprattutto in seguito ad influenza A o B e varicella: una stima piuttosto elevata, un’incidenza di oltre l’80% dei casi diagnosticati di sindrome di Reye, rivelava l’assunzione di aspirina nelle tre settimane precedenti alla diagnosi; sembra che l’utilizzo di questi farmaci possa aumentare il rischio di insorgenza di Reye fino a 35 volte. Le infezioni virali causerebbero una lesione mitocondriale e l’utilizzo di aspirina agevolerebbe questa alterazione, con conseguente inibizione del metabolismo degli acidi grassi.

In più dell'80% dei casi diagnosticati, i bambini colpiti dalla sindrome di Reye avevano assunto acido acetilsalicilico nelle settimane precedenti alla diagnosi

Per questo motivo dagli anni ’80 il numero di casi di Reye è diminuito drasticamente in seguito alle avvertenze e alla diminuzione di utilizzo di salicilati in ambito pediatrico. Ad oggi l’utilizzo di aspirina è molto diminuito, tuttavia il farmaco viene utilizzato nel trattamento della sindrome di Kawasaki, per questo motivo è raccomandato, tra il personale sanitario, un monitoraggio dei segni e sintomi di insorgenza di Reye in coloro affetti da sindrome di Kawasaki.

Tra le altre associazioni virali meno comuni possiamo trovare:

  • gastroenterite;
  • enterovirus;
  • sindromi parainfluenzali;
  • virus di Epstein-Barr;
  • citomegalovirus;
  • adenovirus;
  • epatite.

Altri fattori associabili allo sviluppo della sindrome di Reye si riscontrano anche in batteri patogeni, come ad esempio Chlamydia, Micoplasmi e Bordetella pertussis (che causa la pertosse).

Sintomi

I sintomi della sindrome di Reye si sviluppano tipicamente tra le 12 ore e le 3 settimane dopo la guarigione da una malattia virale, e si possono suddividere in 5 fasi che conducono allo stadio finale e quindi alla morte:

  • fase 1: vomito persistente (il sintomo più comune della patologia), sonnolenza e letargia, cambiamento dello stato mentale;
  • fase 2: disorientamento, delirio, iperreflessia (eccessiva accentuazione dei riflessi tendinei), segno di Babinski positivo (una risposta anomala ad uno stimolo cutaneo plantare), mancanza di risposta a stimoli, pupille dilatate, iperventilazione, tachicardia;
  • fase 3: rigidità anomala muscolare;
  • fase 4: risposta minima delle pupille a stimoli luminosi o pupille fisse e dilatate, paralisi coniugata dello sguardo, coma;
  • fase 5: convulsioni, atrofia e paralisi muscolare, riflessi tendinei assenti, arresto respiratorio, morte.

In alcuni casi si manifesta epatomegalia, cioè l’ingrossamento del fegato, ma senza ittero.

Diagnosi

La diagnosi di sindrome di Reye è tutt’altro che semplice, e richiede un minuzioso studio sui segni e sintomi clinici, risultati dei test di laboratorio e sulla storia clinica di ogni paziente.

È particolarmente importante il monitoraggio di cambiamenti improvvisi nella condizione mentale del bambino, associati a risultati anomali degli esami del sangue; dovrebbe essere sospettata in ogni paziente che presenta encefalopatia non riconducibile ad esposizione a metalli pesanti o tossine, in associazione a vomito ed epatopatia.

I risultati anomali degli esami di laboratorio includono, tra gli altri:

  • test di funzionalità epatica che rilevano valori elevati di bilirubina e transaminasi (AST e ALT);
  • iperammoniemia, un incremento del valore di ammonio nel sangue, è il risultato più comune e precoce;
  • fattori della coagulazione alterati;
  • amilasi e lipasi alte;
  • livello di bicarbonato basso;
  • altri valori associabili a disidratazione.

In caso di encefalopatia si possono prescrivere una TC (o TAC) o risonanza magnetica: qualora i risultati di questi esami siano nella norma, è possibile procedere con la conta del numero di leucociti nel liquido cerebrospinale tramite prelievo con puntura lombare. Un basso numero di leucociti è criterio diagnostico, la conta leucocitaria dovrebbe risultare quindi inferiore a 8 leucociti per millimetro cubo.

Determinante per la conferma della diagnosi è la biopsia epatica, soprattutto nei bambini al di sotto dei 2 anni, necessaria per rilevare una steatosi epatica (fegato grasso).

Terapia

La sindrome di Reye è una malattia di rapida progressione che può richiedere procedure invasive per riuscire a contrastarla soprattutto nelle fasi iniziali. Il trattamento è principalmente di supporto, solitamente effettuato in ambiente di terapia intensiva, e può richiedere:

  • posizionamento di un catetere venoso centrale per mantenere la stabilità emodinamica;
  • intubazione delle vie aeree per un’adeguata funzione respiratoria;
  • posizionamento del catetere di Foley per monitorare la diuresi;

Per correggere le anomalie sieriche riscontrate con la diagnosi si potrà procedere con un trattamento dell’ipoglicemia, dell’acidosi, dell’iperammoniemia e della coagulopatia correlata.

La morte può essere evitata in molti pazienti prevenendo l’aumento della pressione intracranica, che può avvenire tramite un attento controllo della febbre, il posizionamento elevato della testiera del letto e con la somministrazione di diuretici e la regolazione dei liquidi per prevenire iperidratazione.

Essendo il trattamento di supporto, è di vitale importanza la prevenzione: è raccomandabile istruire i genitori sui fattori di rischio, sui sintomi e segni della patologia, in modo da saper riconoscere il momento in cui poter cercare supporto, e sull’utilizzo di salicilati nei bambini; come metodo preventivo è raccomandato anche il vaccino antinfluenzale dopo i 6 mesi di età.

Grazie alla prevenzione, al riconoscimento precoce e alla gestione aggressiva iniziale, la mortalità della sindrome è scesa negli ultimi decenni dal 60% al 20% circa, e il recupero completo è stato riscontrato in circa in due terzi dei pazienti che sopravvivono; tuttavia in coloro con un alto livello di ammonio di solito possono persistere deficit neurologici anche dopo la guarigione.

Laureata in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli studi di Pavia, ha svolto periodi di formazione in ospedali universitari della Comunidad altro…
Le informazioni fornite su www.ohga.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.