La ricerca scientifica ha individuato due nuove potenziali strade per affrontare il tumore al fegato. Il primo alleato l’ha scoperto l'Irccs de Bellis di Castellana Grotte, in provincia di Bari: si tratta di una proteina prodotta naturalmente dal tuo organismo, il cosiddetto Proteoglicano-4, che sarebbe in grado di aumentare l’efficacia dei farmaci già in uso. Ma novità arrivano anche dal fronte trattamenti, perché il farmaco immunoterapico atezolizumab in combinazione con il bevacizumab fornirebbe la più lunga sopravvivenza globale osservata in uno studio di fase III in prima linea nel carcinoma epatocellulare non resecabile: lo suggeriscono i dati presentati da Roche al Gastrointestinal Cancers Symposium 2021 organizzato dall'American Society of Clinical Oncology.
Nel caso di tumore al fegato, devi sapere che la prima via di trattamento è quella chirurgica, quando però la massa è asportabile. Nella maggior parte dei casi tuttavia l’avanzamento del cancro rende impossibile l’intervento e così si ricorre alle terapie farmacologiche: queste, però, sono caratterizzate da pesanti effetti collaterali e di fatto, dunque, il loro utilizzo è limitato e l’efficacia ne è condizionata.
Qui entra in gioco il Proteoglicano-4. Si tratta di una glicoproteina costituita da una serie di zuccheri e prodotta direttamente dal nostro organismo. Ha una distribuzione particolare dal momento che si trova principalmente nelle articolazioni e nell’occhio dove funziona come una sorta di lubrificante.
Secondo i ricercatori del De Bellis di Castellana Grotte, una concentrazione elevata di livelli di Prg-4 nel tessuto tumorale sarebbe strettamente collegata a una migliore sopravvivenza dei pazienti. Ma non solo.
Durante lo studio, i ricercatori hanno osservato che se è presente il Prg-4, i farmaci somministrati diventano molto più efficaci nel distruggere le cellule tumorali. E siccome la proteina è già dentro di noi, si potrebbe concretamente massimizzare la loro efficacia senza provocare molti meno effetti avversi.
L’altra novità arriva dallo studio “IMbrave150”, nato per valutare la combinazione dell’immunoterapia a base di atezolizumab con il bevacizumab rispetto al solo sorafenib nei pazienti affetti da un carcinoma epatocellulare non resecabile.
Secondo i risultati, dopo un follow-up di 15,6 mesi la combinazione avrebbe ridotto il rischio di morte del 34%, con una sopravvivenza globale media portata a ben 19,2 mesi rispetto invece ai 13,4 mesi raggiunti con la sola somministrazione del sorafenib.
Si tratta di dati estremamente incoraggianti, scrive Roche, perché la maggiore efficacia e l'alta tollerabilità rispetto alle terapie standard potrebbe effettivamente migliorare la qualità della vita dei pazienti.
Fonti | Irccs de Bellis di Castellana Grotte; Roche