Stop ai test per il vaccino di AstraZeneca, il prof. Abrignani: “Può capitare, non si accelera sulla sicurezza”

La sospensione dei test clinici del vaccino di AstraZeneca e dell’Università di Oxford non è un evento straordinario. Le sperimentazioni di fase 3 servono esattamente a questo: appurare che un vaccino sia efficace, ma anche sicuro. Questa storia ci insegna che proclami e promesse sono inutili: la ricerca ha dei tempi suoi sui quali non si può transigere.
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Giulia Dallagiovanna 10 Settembre 2020
* ultima modifica il 23/09/2020
Intervista al Prof. Sergio Abrignani Professore ordinario di Patologia Generale all'Università degli studi di Milano

I proclami si susseguivano fin dai primi mesi dell'emergenza, il vaccino sembrava dover arrivare già a settembre. A dicembre tutti avremmo potuto immunizzarci contro il SARS-Cov-2. E invece la ricerca e le sperimentazioni seguono il loro corso e hanno i loro tempi, dai quali non si può prescindere. Così non ti deve stupire l'annuncio di AstraZeneca sulla sospensione dei test clinici a fronte di una grave reazione avversa in un volontario che stava partecipando alla fase 3 dei trial. L'azienda farmaceutica britannica sta infatti collaborando con l'Università di Oxford per la produzione di un farmaco efficace e sicuro che possa prevenire il Covid-19 e, di fatto, mettere la parola fine a questa pandemia. Non sono i soli, ci sono almeno altri 7 candidati già entrati nella fase 3. Ma l'attenzione verso Oxford era alta, soprattutto in Italia. Sarà perché alla produzione dei primi lotti destinati agli studi clinici ha partecipato anche l'Irbm di Pomezia, oppure perché il nostro Paese fa parte di un consorzio di alcuni governi europei che aveva già acquistato 400 milioni di dosi.  Insomma, questa notizia è apparsa quasi come una doccia fredda.

Almeno, per noi. Mentre per la comunità scientifica, che da tempo ricordava come sarebbero stati necessari almeno un paio d'anni per mettere a punto un farmaco definitivo, si è trattato di una situazione abbastanza comune. In altre parole, capita. A chiarirci ogni dubbio è il professor Sergio Abrignani, professore ordinario di Patologia Generale all'Università degli studi di Milano.

Professor Abrignani, siamo quindi davanti a un fatto frequente nell'ambito delle sperimentazioni per nuovi vaccini?

Non accade sempre che si debbano fermare i test, naturalmente, ma è comunque un episodio comune e abbastanza normale. È proprio a questo che servono le sperimentazioni cliniche. Quando si presenta un evento avverso così importante, si deve interrompere. Viene poi nominato un comitato di esperti indipendenti che dovrà verificare le cause precise della reazione indesiderata. Potrebbe infatti essere stata causata dal vaccino oppure essere riconducibile a una patologia che il soggetto aveva già o ha sviluppato indipendentemente dal farmaco. In questo secondo caso, si può poi riprendere la sperimentazione, altrimenti la si interrompe in modo definitivo.

Questa notizia quindi è una conferma dell'attenzione che viene posta alla sicurezza del vaccino…

I vaccini sono un intervento medico particolare, perché viene effettuato in un soggetto sano per prevenire un'infezione. Per questo motivo, bisogna essere certi che nessuno sviluppi effetti collaterali. Anche un solo caso ogni 10mila diventerebbe problematico, perché qualora il farmaco venisse somministrato a decine di milioni di persone, le reazioni avverse potrebbero manifestarsi in migliaia di soggetti sani. La fase 3 viene appunto chiamata "di sicurezza e di efficacia", quindi non dobbiamo stupirci di fronte all'annuncio di AstraZeneca.

Quanto tempo potrebbe durare questa pausa?

La risposta più corretta è il tempo necessario. Di norma sono necessari tra i 2 e gli 8 mesi, soprattutto quando viene accertato che la reazione avversa è dovuta alla salute naturale dell'individuo ed è indipendente dalla somministrazione del vaccino. Potrebbe essere però che ne debbano trascorrere di più, oppure molti meno. Non esiste un periodo prestabilito, l'importante è eseguire tutti i controlli.

Quello che sta accadendo insegna anche che di fronte ai vaccini, come agli altri farmaci, bisogna usare cautela prima di avanzare proclami o promesse

Per fortuna, i vaccini li mettono a punto le aziende e non i governi. La produzione di un vaccino è un processo in cui esiste un sistema di pesi e contrappesi, prove e controprove, nella sperimentazione clinica, il quale evita che si accelerino troppo i tempi. In fase 3 soprattutto le tempistiche sono quelle, perché bisogna somministrare il farmaco a qualche decina di migliaio di persone e un placebo al gruppo di controllo, poi attendere che vengano a contatto con il virus e verificare se i vaccinati sviluppino meno infezioni di coloro che hanno ricevuto il placebo.

"I vaccini non li fanno i governi: non si possono accelerare i test su sicurezza ed efficacia"

In questo caso specifico alcuni processi di produzione sono stati accelerati. Ad esempio le aziende hanno potuto produrre i vaccini prima di sapere se fossero efficaci o meno. Questo perché i governi hanno pagato in anticipo la produzione di molti candidati vaccini per guadagnare un anno di tempo. Anche qualora alcuni vaccini non funzionassero – e alcuni non funzioneranno – e le dosi dovessero "finire nella pattumiera", sarebbe comunque una perdita economica minima rispetto a un possibile nuovo lockdown. Queste accelerazioni sono quindi possibili nella parte amministrativa e di produzione e sono state fatte. Invece non si possono abbreviare i tempi per le verifiche sulla sicurezza e sull'efficacia.

Perciò quali saranno le tempistiche reali per la messa a punto di un vaccino definitivo?

Una previsione ragionevole potrebbe essere per dicembre 2021 o gennaio 2022, ma deve anche procedere tutto in modo perfetto, senza intoppi. E in questi casi è piuttosto comune che subentrino ritardi per una qualsiasi ragione. Spero di sbagliarmi, ma è probabile che ancora per un po' dovremo convivere con questo virus.

E lo possiamo fare?

Lo dobbiamo fare. Non abbiamo molte alternative: un nuovo lockdown ci distruggerebbe economicamente. Se continuiamo a indossare le mascherine, a rispettare il distanziamento fisico e a lavarci spesso le mani, riusciremo sicuramente a convivere con il Covid-19 come stiamo facendo ora. Cosi facendo non azzereremo il rischio, ma avremo dei rischi calcolati abbastanza bassi e compatibili con una vita “quasi normale” ai tempi del Covid. Anche perché rispetto a quando è iniziata la pandemia, conosciamo meglio il virus e la malattia che causa e abbiamo molte più informazioni per poterlo contenere, affrontare e curare.

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