Tante domande, poche risposte: il coronavirus analizzato dall’infettivologo Contini

Si attenuerà con il caldo? Sta mutando geneticamente? Svilupperemo anticorpi protettivi e si creerà quella che viene definita “immunità di gregge”? Molti aspetti del nuovo coronavirus SARS-Cov-2 ci sono ancora sconosciuti, ma una cosa non si può negare, sostiene il professor Carlo Contini: la responsabilità dell’uomo, “che sta sconvolgendo la vita degli animali”.
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Federico Turrisi 2 Aprile 2020
* ultima modifica il 22/09/2020
Intervista al Dott. Carlo Contini Professore ordinario di malattie infettive e tropicali presso l'Università di Ferrara

Da quando ha fatto la sua comparsa nella città cinese di Wuhan, a dicembre dello scorso anno, fino a oggi il nuovo coronavirus SARS-CoV-2 si è diffuso in tutto il mondo, trasformandosi in una pandemia  e provocando oltre 42 mila vittime e 861 mila contagi in 203 Paesi (secondo le statistiche ufficiali dell'Organizzazione Mondiale della Sanità aggiornate al 31 marzo).

Di fronte al nuovo nemico la comunità scientifica si è subito attivata per la ricerca di trattamenti efficaci per la sindrome respiratoria Covid-19, causata proprio dal coronavirus. Soprattutto sono state messe in campo enormi risorse per lo sviluppo di un vaccino. Prima che però veda la luce, passeranno diversi mesi. La verità è che questo nuovo coronavirus è ancora oggetto di indagini approfondite. Allo stato attuale, riconoscere alcune sue caratteristiche generali è possibile, prevedere il suo comportamento no.

"Sappiamo che è molto più contagioso rispetto a quello della Sars e della Mers, ma allo stesso tempo è meno aggressivo", spiega Carlo Contini, professore ordinario di malattie infettive e tropicali presso l'Università di Ferrara e direttore della Unità Operativa Complessa (UOC) Universitaria di malattie infettive presso l'Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara. "Per esempio, la Sars aveva una letalità del 10% circa: i sintomi erano così gravi che i pazienti venivano subito individuati e ricoverati. In poco meno di un anno ha provocato 774 morti, nonostante fossimo anche in quel caso di fronte a un virus di origine animale e nel pieno della globalizzazione. Ora invece siamo di fronte a una malattia estremamente contagiosa".

A questo proposito si può già definire endemica? Dobbiamo rassegnarci all'idea che rimarrà tra di noi?

Non è detto. Si possono ipotizzare due scenari. Noi tutti ci auguriamo che se ne vada via definitivamente. La speranza è che la curva epidemica, come quella di molte altre malattie infettive a carattere diffusivo, scenda e che, attraverso l'opera di contenimento, il virus smetta di circolare. Perché è così importante rimanere a casa? Perché meno opportunità dai al virus di infettare nuovi soggetti, meno possibilità gli dai di circolare. Di conseguenza, il virus non trova più cellule umane e scompare. Certo, l'altro scenario è che rimanga a livello endemico, cioè il virus è costantemente presente in un determinato territorio, senza essere particolarmente aggressivo. Questo significa che la popolazione generale sviluppa gli anticorpi. Ma non sappiamo ancora se questi hanno carattere protettivo.

Il caldo può venirci in aiuto?

Difficile dirlo. Se il virus della Sars se ne è andato via nell'estate del 2003 dopo aver circolato per 8 mesi, quello della Mers è comparso per la prima volta nel 2012 in Arabia Saudita ed è ancora presente, non curante delle alte temperature. Non è dunque detto che il coronavirus SARS-CoV-2 scompaia con l'estate. Si potrebbe attenuare, perché tutti i virus respiratori non gradiscono il caldo. La condizione ideale per la sopravvivenza del coronavirus è una temperatura umida e fredda.

C'è la possibilità che il virus muti a livello genetico?

Finora ciò non è avvenuto. Il virus isolato e sequenziato allo Spallanzani dai primi due pazienti cinesi in vacanza a Roma e quello isolato e sequenziato al Sacco dai pazienti lombardi hanno mostrato allineamenti delle sequenze genomiche sovrapponibili. Allo stato attuale, possiamo dunque dire che non ha mutato.

Viene da chiedersi a questo punto come si potrebbe fermare la sua avanzata.

Si può sperare che in futuro si instauri la cosiddetta immunità di gregge, come auspicava inizialmente il premier britannico Boris Johnson. La sua proposta era però insensata, perché avrebbe significato lasciare circolare un virus nuovo verso cui la popolazione generale era sprovvista di anticorpi e mandare in tilt il sistema sanitario nazionale.

Ora, sappiamo che lo scudo protettivo immunitario è dato dagli anticorpi, per l'appunto. Ma per il nuovo coronavirus non sappiamo se questi anticorpi sono protettivi e garantiscono l'immunità a vita come nel caso del vaiolo, della varicella e di tante altre infezioni; ma non l'influenza, per cui abbiamo a disposizione il vaccino.

Quante persone potrebbero avere sviluppato gli anticorpi?

Finora l'unico strumento per sapere se sei infetto o no è il tampone naso-faringeo. Tuttavia, solo una percentuale ridotta è stata sottoposta al test. Quella che noi vediamo dai dati ufficiali è solo la punta dell'iceberg: ci sono soggetti invece che si sono infettati e non manifestano sintomi, oppure sono paucisintomatici (presentano cioè sintomi lievi), ma non sanno di esserlo perché non hanno eseguito il test. Questi rappresentano gran parte del sommerso e potrebbero essere milioni.

In una fase successiva le indagini sierologiche per trovare gli anticorpi prenderanno piede, ma dobbiamo chiederci ancora: come si comporta la risposta immunitaria nelle persone? Gli anticorpi ce l'avranno anche le persone che non hanno avuto sintomi oppure no? E questi anticorpi avranno una valenza protettiva? Questo è un grande tema. Ma mi permetta di fare un'altra considerazione.

Prego…

Di una cosa siamo certi. Il coronavirus SARS-CoV-2 ha fatto il salto di specie dal pipistrello all'uomo (spillover), probabilmente passando da un ospite intermedio. Nel caso della Sars fu il zibetto, per il nuovo coronavirus si ipotizza il pangolino, ma non ci sono ancora certezze. Il virus si è poi propagato diffusamente e velocemente nella specie umana attraverso il contagio per droplets.

Il punto è che quando ci troviamo di fronte a una nuova malattia infettiva di origine zoonotica il pericolo è sempre in agguato. Il pipistrello ospita nel suo intestino oltre 200 coronavirus e non sai quello che possono combinare nell'uomo. Ma è l'uomo stesso il responsabile, attraverso le sue attività che sconvolgono la vita degli animali: deforestazione, sottrazione di habitat, traffico di specie selvatiche. Se si trasferiscono gli animali, si trasferiscono anche i virus che portano dentro. Questo è il vero problema, anche in una prospettiva futura. Tant'è vero che il governo cinese ha promesso al mondo di vietare il commercio e il consumo di animali selvatici. Era stato detto anche dopo la Sars, ma i cinesi non hanno mantenuto la parola data. Si spera sempre che dagli errori qualcosa si impari.

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