Testamento biologico ed eutanasia: quali sono le leggi sul fine vita in Italia?

In Olanda un malato può fare richiesta di eutanasia diretta e ricevere dal medico un’iniezione letale. In Svizzera è ammesso il suicidio assistito. E in Italia? Entrambe queste pratiche sono illegali, ma cosa accade a un paziente che non tollera più le sofferenze imposte dalla malattia? Cerchiamo di capire meglio cosa prevede la legge e qual è invece la situazione reale.
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Giulia Dallagiovanna 17 Settembre 2019
* ultima modifica il 22/09/2020

L'eutanasia è forse tra gli argomenti più presenti nel dibattito pubblico, almeno dagli ultimi 13 anni. Dal caso cioè di Piergiorgio Welby, il giornalista e militante del Partito radicale, che nel 2006 ha chiesto ripetutamente che fossero interrotte le cure che lo mantenevano in vita. Si riferiva in particolare alla respirazione meccanica, trattamento previsto per tutti i malati di quella particolare forma di distrofia muscolare. Il 20 dicembre 2006 gli viene staccato il ventilatore e sopraggiunge il decesso.

Per tutta la durata della sua battaglia e anche nei mesi successivi, in Italia ci si divide tra chi è assolutamente contro i trattamenti di fine vita e chi invece ritiene che ciascuno dovrebbe avere il diritto di decidere per sé del proprio destino. Slogan, discussioni infiammate, aggettivi e riferimenti storici al Nazismo si sprecano. Ma, nel frattempo, cosa accade realmente? E cosa può fare oggi un malato nel concreto? Abbiamo cercato di capire cosa risulti legale in Italia e cosa invece sia perseguibile penalmente. Il più delle volte, il confine non è così netto come si potrebbe credere.

Eutanasia illegale

In Italia l'eutanasia vera e propria, cioè l'intervento di un medico che somministra farmaci e induce la morte del paziente, è illegale. Se quindi una qualsiasi persona dovesse compiere un'azione di questo tipo, oppure volesse spegnere le macchine che mantengono in vita il malato, incorrerebbe in almeno due possibili reati: omicidio volontario, disciplinato dall'articolo 575 del Codice penale e con pena prevista di almeno 21 anni di reclusione, oppure omicidio del consenziente, descritto nell'articolo 579 del Codice penale passibile di condanna fino a 15 anni di carcere.

Ma non esiste nemmeno il suicidio assistito, cioè quella formula prevista in Svizzera secondo la quale il personale medico fornisce i farmaci per il fine vita, ma sarà poi il paziente a doverli assumere in autonomia. Anche in questo caso, qualora dovesse verificarsi una situazione del genere in Italia, i possibili capi di imputazione sarebbero due: istigazione o aiuto al suicidio, articolo 580 del Codice penale e per il quale si rischia di passare fino a 12 anni dietro le sbarre, o omesso soccorso, articolo 593, con una pena che prevede un anno di reclusione e una multa di circa 2mila euro, ma che può anche raddoppiare poiché il paziente, di fatto, muore.

Secondo il nostro ordinamento, infatti, la vita e il corpo sono beni primari e non diritti. Questo significa che una persona non può fare con loro ciò che vuole. In particolare, è vietato indursi la morte in modo volontario e procurarsi intenzionalmente menomazioni gravi. Se invece ti limiti a lesioni lievi, anche se hai agito proprio con il volere di fartele, rientra nella libertà di decidere sul proprio fisico.

Cosa succede davvero in Italia

Ora però la domanda è: in Italia non vengono mai utilizzate queste pratiche? Sì, vengono utilizzate eccome, ma in modo clandestino. Naturalmente è impossibile avere un quadro complessivo della situazione in quanto si tratta, appunto, di azioni che rimangono nascoste per ragioni legali. L'Associazione Luca Coscioni assieme ad ADUC (Associazione per i diritti degli utenti e consumatori), intanto, hanno fatto richiesta affinché venga effettuata un'indagine conoscitiva su quello che effettivamente accade nel nostro Paese. Ci sono però alcuni sondaggi, pubblicati anche su importanti riviste scientifiche, i cui numeri possono iniziare a darti un'idea della situazione:

  • Nel 2000 The Lancet ha pubblicato un report in cui si attesta che il 45% dei neonatologi italiani interpellati aveva deciso di non somministrare trattamenti di sostentamento vitale, come respirazione o alimentazione artificiale; il 52% non ha praticato manovre di rianimazione; il 78% ha deciso di non aggiungere ulteriori trattamenti che sarebbero stati necessari per assicurare l'allungamento della vita; il 34% ha deciso di non somministrare farmaci salvavita; il 28% ha rimosso la respirazione meccanica; il 32% ha somministrato farmaci contro il dolore, anche se come effetto secondario avevano quello di accorciare la durata della vita; il 2% ha deciso di somministrare farmaci con l'intenzione di terminare la vita (la vera e propria eutanasia diretta).
  • Sempre The Lancet nel 2003, all'interno di uno studio descrittivo, ha attestato che il 23% dei decessi in Italia era stato preceduto da una decisione medica sul fine vita. Mentre nello stesso anno la rivista medica olandese Nederlands Tijdschrift voor Geneeskunde ha rilevato che l'1% dei medici italiani aveva iniettato sostanze con l'intento diretto di accelerare il processo di morte del paziente.
  • Nel 2006 un sondaggio di Doctornews.it, un portale riservato ai medici, ha appurato che il 53% era favorevole alla legalizzazione dell'eutanasia. Di questi, il 39% la riteneva giusta solo per pazienti tenuti in vita artificialmente
  • Nel 2009 l'Istat ha invece certificato che per un terzo dei suicidi che venivano commessi il movente si era rivelato essere una malattia, fisica o psichica
  • Nel 2014 la newsletter n. 59 a cura dell'Associazione Luca Coscioni parla addirittura di 20mila casi di eutanasia clandestina registrati in Italia e riporta le parole di un medico rianimatore, Giuseppe Maria Saba del Policlinico Umberto I di Roma: "Non ne posso più del silenzio su cose che tutti noi rianimatori conosciamo"
  • Nel 2017 un altro sondaggio, questa volta a opera del sito Sanitainformazione.it ha confermato che il 71% dei medici italiani sarebbe favorevole all'eutanasia, anche se solo il 54% si sentirebbe effettivamente pronto a praticarla

La sedazione profonda

Una pratica che invece è legale in Italia è quella della sedazione continua e profonda. Si tratta di un mix di farmaci, soprattutto oppiacei e ipnoinducenti, in grado di indurre nel paziente uno stato di incoscienza in cui non avverte dolore. Una sorta di coma farmacologico. Si chiama continua perché viene mantenuta fino a quando non sopraggiunge la morte naturale. Una pratica che rientra nell'ambito delle cure palliative, cioè quelle per il trattamento del dolore e l'accompagnamento alla morte, che sono disciplinate dalla legge 38 del 2010. Naturalmente è necessario il consenso del paziente, ma ci sono anche una serie di vicoli ai quali bisogna attenersi. In particolare due: possono ricorrervi solo malati in fase terminale e nel momento in cui ogni altra terapia si sia rivelata inefficace. Viene inoltre praticata solo negli Hospice, che al momento sono circa 230 in Italia e sono presenti soprattutto al Nord, mentre il Sud Italia rimane più scoperto.

Come funziona il testamento biologico

Il 14 dicembre 2017 il Senato approva in via definitiva la legge sul testamento biologico in Italia, chiamandola "Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento". Un cittadino italiano può dunque compilare una Disposizione anticipata di trattamento (DAT) in cui spiega cosa fare se una malattia o un incidente l'avessero messo in condizioni di non poter più fornire il proprio consenso o meno ai trattamenti medici. Questo provvedimento si basa sull'articolo 32 della Costituzione, in base al quale nessuna persona può essere sottoposta a cure o terapie senza la sua volontà, quello che si chiama consenso informato.

Il consenso informato dovrebbe sempre prevenire in forma scritta, attraverso la compilazione di un modulo preimpostato. Naturalmente, però di prassi non lo si utilizza per ogni singolo tipo di intervento, come un banale controllo di routine, ma solo in casi specifici come i trattamenti contro il virus dell'Hiv o una trasfusione di sangue. Il documento deve riportare le principali avvertenze agli interventi proposti dallo specialista e si spiega a cosa si può andare incontro qualora non fossero accettati. Grazie alla nuova normativa, sarà possibile decidere in anticipo quali interventi sanitari si vorranno accettare qualora si verificassero determinate circostanze, oltre a nominare un fiduciario che vigili sul rispetto delle proprie volontà, anche in caso di stato vegetativo o coma irreversibile.

Redigere un DAT è piuttosto semplice e lo si può fare in diversi modi: al computer, con carta e penna, tramite un video registrato o un qualsiasi altro supporto che possa dimostrare la tua identità, in caso non fossi più in grado di scrivere. Dopodiché dovrà essere validato da una figura autorevole e preposta al compito. Puoi quindi scegliere di ricorrere a un atto pubblico notarile, oppure a una scrittura privata autenticata da un notaio o un pubblico ufficiale. Questa seconda opzione ti permette anche di depositare la tua dichiarazione presso l'Ufficio dello Stato civile del tuo Comune di residenza o le strutture del Servizio sanitario nazionale. Nel 2018 è stata disposta l'istituzione un registro nazionale dove vengono inserite tutte le Disposizioni.

Il 6 febbraio 2019, però, la giornalista de L'Espresso Elena Testi denunciava come di questa banca dati ancora non vi fosse traccia e il testamento biologico fosse un'impresa più che un diritto: "Fare testamento biologico in Italia, a più di un anno dall'approvazione della legge sul fine vita, vuol dire trovarsi in un caos di risposte vaghe, in un viaggio pieno di ostacoli grotteschi. Da Roma fino ad Avellino, ogni Comune dispiega una diversa procedura, tanto che esprimere le proprie volontà, in assenza di una banca dati nazionale, può risultare inutile".

Fine vita in Olanda e Svizzera

In Europa sono diversi gli Stati che hanno legalizzato o accettano in modo esplicito i trattamenti di fine vita: Olanda, Svizzera, Lussemburgo, Belgio, Germania, Svezia, Spagna e Francia. Prendiamo come esempio le prime due nazioni: i Paesi Bassi sono stati i primi al mondo a emanare una normativa per disciplinare l'eutanasia, mentre la Svizzera è l'unico che accetta anche gli stranieri ed è dunque la meta prescelta dai malati italiani che scelgono di morire.

L'eutanasia in Olanda

L'Olanda è stato il primo Paese al mondo ad approvare una legislazione riguardo il tema del fine vita. La prima legge risale addirittura al 2001. Oggi è accettata anche l'eutanasia diretta, ovvero l'intervento del medico che, tramite un farmaco per via endovenosa, provoca la morte del malato. È possibile poi anche la pratica del suicidio assistito, che si verifica quando il personale sanitario fornisce al paziente i farmaci che inducono il decesso, ma sarà poi quest'ultimo a doverli assumere in autonomia. La richiesta di interruzione della vita è consentita anche ai minorenni che abbiano almeno 12 anni, purché i genitori siano coinvolti nella decisione.

Un medico deve seguire alcuni criteri per non incorrere in una condanna penale per omicidio. Deve esserci la convinzione che si tratti di una richiesta spontanea e ben ponderata da parte del paziente, che questo stia vivendo in una condizione di sofferenza insopportabile e che non vi siano prospettive di miglioramento, che sia informato della situazione e di quello che lo attende e, infine, che abbia chiesto anche il parere indipendente di un altro medico. Il malato, però, può anche non trovarsi in condizioni terminali per accedere a trattamenti di fine vita.

In Olanda è legale l'eutanasia diretta: il medico somministra dei farmaci che inducono la morte

In ogni regione del Paese è presente una commissione composta da esperti di diritto, di medicina e di etica. Il suo compito è giudicare, a fatto già avvenuto, se si sia trattato di omicidio o eutanasia.

Esiste infine il Protocollo Gröningen, che non è una legge, ma una serie di linee guida approvata dall'Associazione dei pediatri olandesi nel 2005, in cui si parla anche della cosiddetta eutanasia infantile. Va detto subito che queste disposizioni sono una sorta di libretto di istruzioni per il medico, una mappa, che questo può seguire, oppure decidere di ignorare. In ogni caso il documento stabilisce che i trattamenti di fine vita devono riguardare solo bambini nati con pochissime prospettive di sopravvivenza o di ragionevole salute nel corso della loro vita.

Se quindi è chiaro che il neonato morirà entro pochi giorni o mesi dopo il parto, non dovrebbero essere iniziati, o dovrebbero venir sospesi, gli interventi fatti per mantenerlo in vita artificialmente. Questa però non viene considerata eutanasia vera e propria, ma una tra le normali procedure mediche. Mentre nel caso in cui il bambino abbia limitate possibilità di sopravvivenza, ma le sue condizioni di salute gli garantiscano comunque solo una qualità dell'esistenza estremamente scadente, allora è possibile ricorrere al fine vita. Se vengono interrotti i trattamenti che assicurano la sopravvivenza, si parla di morte naturale. Ma se il decesso è indotto tramite farmaci, si tratta di eutanasia. Dal 2005 al 2018, si riportano solo due casi di neonati ai quali è stata fatta un'iniezione letale. In tutti gli altri casi si è trattato di una normale procedura.

Il suicidio assistito in Svizzera

In Svizzera l'eutanasia non è legale, ma si può ricorrere al suicidio assistito. Si tratta però di un approccio molto particolare e unico al mondo, in quanto contiene l'aggettivo "egoistici" nel testo di legge. Nello specifico, si ritiene che chiunque favorisca il fine vita per motivi egoistici subisca una procedura penale. Di conseguenza, se le azioni non sono motivate da interessi personali non si è passibili di denuncia. Grazie a questa dicitura, che può apparire bizzarra, il suicidio assistito è di fatto tollerato dallo Stato, addirittura dagli anni Quaranta.

Nel 2007 però sono state pubblicate alcune raccomandazioni stilate dalla Commissione consultiva sull'etica biomedica per disciplinare meglio la pratica. È stato quindi stabilito che ogni decisione riguardo il suicidio assistito venga basata sul singolo caso e che l'attività di associazioni che promuovono la libertà di scelta per il malato venga regolamentata dallo Stato. Condizione fondamentale per accedere al suicidio assistito è che al paziente sia stata diagnosticata una malattia irreversibile e senza alcuna possibilità di miglioramento o guarigione. Non si dovrebbe (ma non c'è una vera e propria legge che lo vieti, né una che lo consenta esplicitamente) offrire questa possibilità a persone con disordini mentali e a minori, o ai loro tutori legali. Infine, questo trattamento non viene ritenuto parte dei doveri di un medico ed è garantita l'obiezione di coscienza.

In questo quadro normativo non troppo definito si consente, dunque, ad alcune associazioni riconosciute di offrire assistenza al suicidio a chi ne fa richiesta. E vengono tollerate anche l'eutanasia indiretta, cioè la somministrazione di farmaci per alleviare il dolore che hanno come effetto volontario quello di accorciare la vita del paziente, o l'eutanasia passiva, cioè la sospensione dei trattamenti che tengono in vita una persona in modo artificiale. In poche parole, potrebbero essere perseguite penalmente, ma la consuetudine vuole che si chiuda un occhio.

Gli italiani che scelgono di morire all'estero

Il caso di Dj Fabo nel 2017 è diventato famoso: Fabiano Antoniani, rimasto cieco e tetraplegico in seguito a un incidente stradale, sceglie di attraversare il confine per usufruire del suicidio assistito in Svizzera. Ma non è certo l'unico italiano ad aver intrapreso un viaggio simile. In un articolo de La Stampa, dove vengono intervistati diversi esponenti di associazioni che si battono per la legalizzazione dell'eutanasia come Exit-Italia e l'Associazione Luca Coscioni, sono più di 50 ogni anno le persone che attraversano in confine.

È la Svizzera la meta prescelta e non solo perché è più vicino: è l'unico Paese che accetta anche gli stranieri, mentre altri Stati, tra cui l'Olanda, ammettono il fine vita solo per i propri cittadini. In particolare, Filomena Gallo, segretaria dell'Associazione Coscioni sottolinea che nel 2016 sono stati 117 gli italiani che si sono rivolti a loro e hanno poi raggiunto la Svizzera. Non tutti però sono poi effettivamente morti: il loro caso potrebbe non essere stato considerato idoneo, oppure potrebbero aver cambiato idea. Le procedure infatti prevedono che al malato venga ripetutamente chiesto se è davvero convinto di porre fine alla propria vita, in modo che un ripensamento sia sempre possibile.

La posizione della Chiesa cattolica

La Chiesa cattolica si è sempre dichiarata contro eutanasia e suicidio assistito e, in generale, contro qualsiasi possibile pratica di fine vita. Questo perché la vita è un dono di Dio e non può spettare all'uomo decidere quando deve terminare. Inoltre, ricorda che il simbolo del Cristianesimo è un Crocifisso. La sofferenza diventa quindi assimilabile a quella di Gesù in Croce e dunque un mezzo attraverso il quale si giunge alla risurrezione e alla salvezza. Per questa ragione, la Chiesa si batte e si schiera da sempre contro la legalizzazione dei trattamenti elencati finora.

La Chiesa è contro l'accanimento terapeutico e in favore del testamento biologico

Il Catechismo però è anche contro l'accanimento terapeutico, dicendo: "L'interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima". In questa direzione va anche l'accettazione del DAT anche se il cardinale Angelo Bagnasco, che dal 2007 al 2017 è stato presidente della CEI (Conferenza episcopale italiana) ha espresso la preoccupazione che possa rivelarsi un forma mascherata di eutanasia. In particolare, si è auspicato che "in questo delicato passaggio − mentre si evitano inutili forme di accanimento terapeutico − non vengano in alcun modo legittimate o favorite forme mascherate di eutanasia, in particolare di abbandono terapeutico".

Fonti| La legge per tutti; ADUC; Fondazione Veronesi

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