Trapianto di reni: un nuovo metodo per la conservazione degli organi prima dell’intervento riduce il rischio di dialisi

Un team del National University Hospital di Singapore ha messo a punto un nuovo metodo per preservare i reni prima del trapianto in grado di simulare il normale pompaggio del flusso sanguigno all’intento del corpo umano. Questa metodica aiuterebbe a migliorare il lavaggio di microcoaguli di sangue e tossine riducendo così il rischio che il trapianto renale non funzioni subito.
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Kevin Ben Alì Zinati 28 Febbraio 2023
* ultima modifica il 28/02/2023

Quando una malattia renale arriva allo stadio terminale, il trapianto di rene è senza dubbio il trattamento più efficace in termini di risultati clinici e sopravvivenza: è la soluzione terapeutica che permette di riprendere una vita normale.

Non si tratta però di una metodica senza rischi o complicazioni. Tra queste vi è la cosiddetta funzione ritardata del trapianto. Succede quando l’organo prelevato dal donatore non riceve un flusso sanguigno naturale mentre è in attesa del trapianto: questa condizione può provocare danni e lesioni al rene, al punto da comprometterne la funzionalità.

A causa della funzione ritardata del trapianto, il paziente è quindi costretto alla dialisi nella prima settimana post-intervento, a un ricovero più lungo e quindi un recupero più lento e difficoltoso.

Non si tratta di una complicazione così rara: pensa che a Singapore circa il 30% dei trapianti di rene da donatori corre questo rischio.

Ora però un team del National University Hospital di Singapore ha sperimentato un nuovo metodo per preservare i reni prima del trapianto in grado di scongiurare proprio questi rischi.

La procedura prevede l’uso di una macchina di perfusione ipotermica, ovvero un dispositivo capace di pompare liquido di conservazione freddo sotto i 4°C all’interno dei reni del donatore. Questo processo simula la vita naturale di un organo nel corpo e rispetto al metodo tradizionale di conservazione con il ghiaccio, migliora il lavaggio di microcoaguli di sangue e tossine riducendo così il rischio che il trapianto renale non funzioni.

Secondo gli autori della sperimentazione, la perfusione ipotermica abbatterebbe il rischio di una funzione ritardata del trapianto addirittura del 43%: una volta impiantato nel corpo del ricevente, il rene infatti è in ottime condizioni ed è pronto a ricevere il flusso sanguigno del corpo perché è già stato simulato per tre o quattro ore prima dell’intervento.

Fonte | National University Hospital

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