Tumore all’ovaio, due studi italiani aprono le porte a nuove terapie

Ottimi risultati da due nuovi studi italiani, pubblicati su prestigiose riviste scientifiche, che hanno indagato sulla resistenza dei tumori alle terapie a bersaglio molecolare e sul genoma dei tumori ovarici per favorire lo sviluppo di terapie più mirate e precoci.
Entra nel nuovo canale WhatsApp di Ohga
Valentina Rorato 16 Agosto 2022
* ultima modifica il 16/08/2022

Curare il tumore all’ovaio significa cambiare la vita delle donne e la ricerca è molto impegnata nel perfezionare i metodi e i farmaci già in uso, ma anche per trovare nuove terapie. Lo dimostrano due nuovi studi italiani, sostenuti da Fondazione AIRC, sempre in prima linea per la lotta al cancro.

Il primo, guidato professor Maurizio D’Incalci e dal dottor Sergio Marchini, già pubblicato sull’European Journal of Cancer, riguarda il genoma dei tumori ovarici che risulterebbe caratterizzato da tre diversi tipi di alterazioni strutturali.

Il DNA delle cellule tumorali è instabile. Questa caratteristica è identificabile con un metodo di genomica “a bassa profondità”, che guarda i cromosomi “dall’alto”, senza scendere nel dettaglio della singola mutazione. Con questo metodo, un gruppo di ricercatori di Humanitas  ha scoperto che il genoma dei tumori ovarici è caratterizzato da tre diversi tipi di alterazioni strutturali che definiscono una diversa prognosi, ossia una diversa sopravvivenza delle pazienti con carcinoma ovarico al primo stadio.

Questa scoperta potrebbe migliorare la diagnosi e forse la terapia di questo tumore, soprattutto perché  la diagnosi è tardiva perché è una neoplasia che non causa sintomi specifici nelle fasi iniziali.

«Studiare un tumore al primo stadio – spiega il dottor Sergio Marchini, responsabile del Laboratorio di Farmacologia Molecolare e dell’Unità Genomica di Humanitas – è importante per cogliere le alterazioni iniziali che sono essenziali per lo sviluppo della malattia. Queste conoscenze possono fornirci elementi per sviluppare nuovi metodi diagnostici e applicazioni terapeutiche».

Terapie a bersaglio molecolare e resistenza dei tumori

Il secondo studio, condotto da IFOM, Università di Torino, Università Statale di Milano e Candiolo Cancer Institute FPO IRCCS e guidato dai professori Alberto Bardelli e Marco Cosentino Lagomarsino, è altrettanto importante, perché riguarda i modelli matematici che potrebbero contribuire a trovare il motivo per cui molti tumori sono resistenti alle terapie a bersaglio molecolare.

Un gruppo di ricercatori ha investigato la resistenza alle terapie a bersaglio molecolare con un approccio inedito che combina modelli matematici ed esperimenti di laboratorio. Sono così riusciti a caratterizzare le sottopopolazioni cellulari dei tumori con eccezionali livello di dettaglio e approfondimento e i risultati sono stati pubblicati su Nature Genetics.

Lo sviluppo di metastasi e di resistenza alle terapie sono la principale causa di ricadute nei pazienti oncologici. In alcuni casi la recidiva è rapida, ed è dovuta ad alterazioni genetiche già esistenti nella massa tumorale prima della somministrazione del trattamento. In altri casi invece il tumore riappare dopo molto tempo, anche anni dopo la diagnosi, e non sappiamo come e perché. La capacità di prolungare l’efficacia di un trattamento è a oggi limitata dalla scarsa conoscenza dei molteplici meccanismi che portano allo sviluppo della resistenza.

Abbiamo osservato – racconta Mariangela Russo, prima autrice dell’articolo, dell’Università di Torino e Candiolo Cancer Institute – che le terapie a bersaglio molecolare inducono nelle cellule tumorali la transizione a uno stato di letargo, rendendole in grado di tollerare temporaneamente il trattamento. Queste cellule, chiamate appunto “persistenti”, essendo tolleranti alla terapia, hanno potenzialmente tempo di acquisire mutazioni genetiche che le rendono in grado di replicarsi in presenza del farmaco, causando così una recidiva di malattia. I nostri studi ci hanno permesso di capire che la terapia induce un aumento significativo della capacità di mutare delle cellule persistenti: non solo le cellule tumorali persistenti hanno del tempo per sviluppare mutazioni a loro favorevoli, ma la terapia rende questo processo più veloce.”

Oltre a portare una maggiore comprensione dei meccanismi molecolari alla base della resistenza alle terapie – concludono Cosentino-Lagomarsino e Bardelli – i risultati ottenuti nello studio aprono a nuove possibilità per prevenire l’insorgere della resistenza e impedire lo sviluppo di metastasi”.

Fonte | Copy number alterations in stage I epithelial ovarian cancer highlight three genomic patterns associated with prognosis pubblicato sull’European Journal of Cancer il 14 giugno 2022; Airc

            A modified fluctuation-test framework characterizes the population dynamics and mutation rate of colorectal cancer persister cells pubblicato l'11 luglio 2022 su Nature Genetics

Le informazioni fornite su www.ohga.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.