Qualcosa si muove, nella lotta al diabete di tipo 1. Qualcosa di grosso, potenzialmente rivoluzionario e, se corroborato da tempo e ulteriori risultati, capace di aiutare oltre 1 milione di bambini e adolescenti, cioè la parte più colpita della popolazione.
Oggi abbiamo già dei trattamenti mirati contro questa patologia autoimmune ma non sono soluzioni risolutive. Sopratutto, non liberano i pazienti dalla dipendenza cronica dalle iniezioni di insulina.
Uno studio clinico appena pubblicato sulla rivista Cell promette tuttavia di ridisegnare questo scenario.
Un team di scienziati della Peking University di Beijing, in Cina, ha infatti sottoposto una giovane paziente di 25 anni a un innovativo trapianto autologo di isole pancreatiche.
Le hanno prelevato, cioè, le cellule responsabili della produzione dell’insulina prodotte dalle cellule staminali e le hanno riprogrammate in laboratorio per poi reinserirle nel suo organismo e provare ad azzerare la malattia.
I risultati sembrano dar ragione a quest’intuizione perché la ragazza è la prima paziente con diabete di tipo 1 al mondo che, dopo esser stata trattata con cellule estratte dal suo stesso corpo, ha iniziato a produrre la propria insulina.
Le cellule reinfuse nel suo organismo infatti hanno attecchito e ripreso a funzionare regolarmente: a un anno di distanza dalla procedura, la ragazza è già tornata a consumare zuccheri senza bisogno di monitorare la propria glicemia e non ha più bisogno di iniezioni di insulina.
Ad oggi questi trattamenti sottocutanei rappresentano l’unico rimedio per tenere a bada la malattia che, come ti accennavo prima, si manifesta durante l’infanzia e l’adolescenza e nasce sostanzialmente da un deficit nella produzione di insulina.
Un malfunzionamento che porta il sistema immunitario di un individuo ad attaccare le cellule che producono insulina. Come puoi intuire, però, si portano dietro un impegno e un peso non indifferenti.
L’intuizione dei ricercatori cinesi si basa sul lavoro di un altro gruppo di scienziati di Shanghai che, ad aprile del 2024, era riuscito a trapiantare con successo isolotti produttori di insulina nel fegato di un uomo di 59 anni colpito, però, da diabete di tipo 2.
Oggi queste tecniche possono contrastare la malattia ma devono purtroppo fare i conti con la mancanza di donatori e la necessità, per i riceventi, di sottostare a trattamenti con immunosoppressori per impedire al corpo di rigettare il tessuto del donatore.
È per questo che una simile procedura è riservata di fatto a quei pazienti che hanno difficoltà a controllare la glicemia con le terapie tradizionali, e per i quali il rapporto costi-benefici è positivo.
Una soluzione a questi limiti è rappresentata dai cosiddetti trapianti autologhi. Si tratta di procedure in cui il materiale che viene trasferito all’interno di un paziente – organi, cellule – deriva dal suo stesso organismo.
Nel caso dell’uomo di 59 anni, infatti, i ricercatori cinesi avevano prelevato parte degli isolotti proprio dal suo stesso organismo, e le avevano ripogrammate. L’operazione era stata un successo e il paziente aveva smesso di assumere insulina.
Sulla scorta di questi risultati, il team della Peking University ha quindi avviato uno studio clinico di fase I per verificare la sicurezza e l’efficacia terapeutica dello stesso trattamento applicato questa volta al diabete di tipo 1, meno comune del “cugino” di tipo 2 – interessa tra il 5% e il 10% dei diabetici – ma anche più rischioso.
Hanno così coinvolto nella sperimentazione tre pazienti con diabete di tipo 1 e servendosi di una tecnica di riprogrammazione sviluppata per la prima volta dal premio Nobel per la Medicina nel 2012 Shinya Yamanaka alla Kyoto University in Giappone quasi due decenni fa, li hanno sottoposti all’estrazione di cellule e alla loro ingegnerizzazione per riportarle fino a uno stato pluripotente, quello in cui possono essere trasformate in qualsiasi tipo di cellula del corpo.
L’idea, insomma, era quella di ripristinare nel corpo della ragazza delle isole pancreatiche capaci di produrre regolarmente insulina, a livelli sufficienti da rendere inutili le iniezioni.
La ragazza, però, è stata sottoposta a questa procedura con una tecnica leggermente modificata: invece di introdurre proteine che innescano l’espressione genica, come aveva fatto Yamanaka, i ricercatori di Beijing hanno esposto le cellule a piccole molecole.
Nel giugno 2023, dunque, hanno iniettato l'equivalente di circa 1,5 milioni di isolotti nei muscoli addominali della ragazza, con un’operazione durata meno di mezz’ora.
La scelta della zona addominale non è causale: rispetto al fegato, che rappresenta il sito di iniezione standard, la somministrazione a livello addominale permette di monitorare le cellule tramite risonanza magnetica e di rimuoverle in caso qualcosa non andasse nel verso giusto.
A distanza di due mesi, la ragazza produceva abbastanza insulina per vivere senza dover ricorrere costantemente alle iniezioni di insulina. Non solo: ha mantenuto quel livello di produzione per più di un anno.
Nature ha riportato le parole di Daisuke Yabe, ricercatore del diabete presso l'Università di Kyoto: “È notevole. Se questo è applicabile ad altri pazienti, sarà meraviglioso”. Servirà altro tempo per definire la giovane "guarita" definitivamente: quattro, forse cinque anni. Il primo passo verso la rivoluzione, però, è stato mosso.
Fonte | "Transplantation of chemically induced pluripotent stem-cell-derived islets under abdominal anterior rectus sheath in a type 1 diabetes patient" pubblicato il 25 settembre 202 sulla rivista Cell; "Stem cells reverse woman’s diabetes — a world first" pubblicato il 26 settembre 2024 sulla rivista Nature