È una patologia subdola perché spesso si presenta in modo silenzioso e le sue prime fasi sono asintomatiche e quindi difficili da individuare per tempo. Per questo nella giornata mondiale dedicata all’osteoporosi vogliamo guardare al futuro.
In particolare alle tecniche che presto potranno permetterci di individuare con anticipo chi è più a rischio frattura a causa della fragilità delle proprie ossa o a quelle che, invece, promettono di migliorare la qualità di vita dei pazienti.
L’osteoporosi non è solo insidiosa, che tra le sue complicanze più frequenti può comportare la delicatissima rottura del femore: è anche una malattia assai diffusa. Pensa che colpisce quasi 5 milioni di persone solo in Italia, di cui circa l’80% sono donne in post menopausa.
Messa a confronto con la popolazione generale, poi, questa patologia sistemica dello scheletro colpisce il 23% delle donne over40 e il 14% degli uomini sopra i 60 anni.
Quando insorge, l’osteoporosi provoca sia una riduzione della densità ossea sia un deterioramento delle “intelaiature” interne del tessuto osseo, quelle che reggono i lavoro e i carichi a cui le sottoponiamo ogni giorno. Se la microarchitettura ossea è alterata o compromessa, è evidente che siamo quindi più a rischio di fratture.
Di solito la diagnosi di osteoporosi viene eseguita sulla base della valutazione dei sintomi e attraverso analisi strumentali per valutare l’indice di densità ossea. Uno di questi è la Moc, che determina la massa delle ossa e la quantità di calcio contenuta con l’impiego di raggi x.
Al Dipartimento di ingegneria e architettura dell’Università di Trieste, tuttavia, hanno messo a punto un innovativo progetto per identificare le persone a rischio frattura a causa dell’osteoporosi sempre basato sui raggi X ma meno invasivo, più veloce e con un approccio unico al mondo.
Il Bone Elastic Structure Test misura la qualità della struttura interna dell’osso attraverso un software simile a quello utilizzato dagli ingegneri per testare la resistenza di parti in acciaio.
In sostanza questo test simula l’applicazione di forze su quella che può essere considerata una biopsia virtuale dell’architettura ossea del paziente ottenuta da immagini radiografiche. Analizza la radiografia tramite un comodo dispositivo portatile è così ingrato di determinare lo stato dell’architettura dell’osso.
Il cosiddetto Bes Test è già stato provato e impiegato su oltre 7mila pazienti a parie dal 2015 e si è dimostrato una tecnologia utilizzabile da qualunque medico con costi e rischi inferiori rispetto allo standard poiché utilizza una dose bassissima di raggi X.
Come hanno specificato gli esperti dell’Università di Trieste, l’esame può essere considerato complementare agli strumenti in uso per la diagnosi dell’osteoporosi “poiché identifica anche le persone con precedenti fratture atraumatiche, un rischio che interessa il 50% della popolazione, che con la Moc non vengono valutate a rischio”.
Dopo la diagnosi, l’attenzione della ricerca è anche verso la cura e la prevenzione contro l’osteoporosi. In particolare, ci sta lavorando il Dipartimento di Biologia dell'Università degli Studi di Napoli Federico II con uno studio che non sbaglieresti a definire “spaziale”.
Sì, perché l’esperimento per valutare l’efficacia di un bio collagene estratto dalle vinacce di Aglianico (uno dei vitigni più importanti del nostro Paese) si concluderà nel laboratorio scientifico orbitante della Stazione Spaziale Internazionale.
Se ti stai chiedendo che legame esista tra questa patologia e lo spazio devi sapere che l’osteoporosi è molto comune tra gli astronauti sottoposti alle forze di microgravità e alla ridotta attività fisica che favoriscono la decalcificazione ossea.
Il test prevede una piccola scatola mantenuta a temperatura costante e dotata di microinfusori che inietteranno in modo controllato il bio collagene in una linea di cellule staminali.
Se queste risponderanno positivamente agli stimoli inviati dalla Terra, dovrebbe verificarsi un rallentamento della morte precoce delle cellule che costituiscono l'impalcatura scheletrica, la cosiddetta apoptosi.
E l’analisi molecolare avanzata in condizioni di microgravità, hanno spiegato i ricercatori napoletani, “può risultare decisiva contribuendo ad aprire nuovi scenari nella comprensione, nella prevenzione e nel trattamento dell'osteoporosi non solo degli astronauti ma anche dei pazienti comuni”.
Fonti | Università di Trieste; Università Federico II di Napoli