Una terza persona è guarita dall’HIV grazie al trapianto di staminali: la cura vera e propria però è ancora lontana

Una donna di mezz’età sieropositiva e affetta da leucemia mieloide acuta è stata sottoposta a un doppio trapianto di cellule staminali derivate prima dal cordone ombelicale di un neonato e poi da un adulto. Dopo 3 anni ha smesso la terapia antiretrovirale contro l’infezione da Hiv e oggi il virus non è rilevabile. Ancora, però, non possiamo parlare di una cura definitiva.
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Kevin Ben Alì Zinati 16 Febbraio 2022
* ultima modifica il 17/02/2022

Siamo a tre: tre come le persone in tutto il mondo che ad oggi sono guarite dall’infezione da HIV.

L’ultima arrivata è una donna americana sieropositiva in cui oggi non è più rilevabile il virus dell’HIV grazie a un trapianto di cellule staminali provenienti dal sangue del cordone ombelicale eseguito per trattare una grave forma di leucemia mieloide acuta.

L’entusiasmo è alto ma ancora una volta va tenuto a freno perché, purtroppo, non siamo di fronte a una vera e propria cura.

La convivenza della donna, di mezz’età, con l’HIV è iniziata nel 2013, quando è stata trovata sieropositiva. Come hanno raccontato i ricercatori durante la Conferenza sui retrovirus e le infezioni opportunistiche, nel 2017 le cose sono poi ulteriormente peggiorate perché le nuove analisi recapitatele di fronte parlavano di una forma aggressiva di leucemia.

In quello stesso anno si è sottoposta a un trattamento innovativo basato sul doppio trapianto diversi di cellule staminali.

Una volta arrivata al New York-Presbyterian Weill Cornell Medical Center di New York ha prima ricevuto un trapianto di cellule staminali derivate dal sangue del cordone ombelicale di un neonato non imparentato con lei e il giorno dopo le sono state infuse altre cellule staminali, questa volta prelevate da un membro adulto della propria famiglia.

I trapianti di staminali hanno lo scopo di sostituire il sistema immunitario danneggiato dall’HIV e dalla leucemia con uno nuovo in grado di contrastare efficacemente sia il tumore che l’infezione.

Il doppio approccio, con staminali diverse, è stato necessario per compensare il fatto che da solo il sangue del cordone ombelicale non è in grado di produrre cellule sufficienti a contrastare la leucemia.

Come già successo per i precedenti casi di pazienti in remissioni grazie a trapianti di staminali, anche il sangue del cordone ombelicale utilizzato per la donna di New York presentava una particolarità. Ovvero la mutazione CCR5-delta32/32, in grado di rendere le cellule resistenti all’infezione del virus HIV.

Si tratta di una mutazione abbastanza rara e un po’ più tipica nelle persone originarie dell’Europa del nord. Il sangue con questa anomalia genetica tuttavia aveva sempre avuto un limite nell’utilizzo poiché, per questioni di compatibilità, poteva essere impiegato solo in persone con una discendenza simile.

La donna era identificata come “di razza mista” ma è risultata comunque compatibile al trapianto. Il sangue del cordone ombelicale però non richiede una stretta corrispondenza: un dato che dimostra come il sangue del cordone ombelicale non ha bisogno di essere abbinato rigorosamente come le cellule staminali di un donatore adulto.

Era il 2017 e poco tempo dopo l’intervento, la vita della donna è letteralmente cambiata. A distanza di quasi 3 anni ha smesso di assumere la terapia antiretrovirale per l’HIV e 14 mesi dopo il virus non era più rilevabile.

Le cellule del cordone ombelicale si sono integrate con il suo organismo nel giro di 100 giorni e non sono stati registrati sintomi di rigetto, proprio come successo per i due pazienti precedenti, anch’essi trattati con sangue caratterizzato dalla stessa mutazione CCR5-delta32/32. A differenza della donna, però, nessuno dei due aveva ricevuto sangue del cordone ombelicale.

Non solo. Da 4 anni e mezzo la donna è anche in remissione della leucemia mieloide acuta.

Come ti dicevo prima, però, non possiamo ancora esclamare "Eureka": non abbiamo ancora trovato una cura contro l'infezione da HIV.

I ricercatori americani hanno spiegato che questo approccio con due trapianti di staminali diversi potrebbe applicarsi solo a una piccola frazione di persone con HIV, circa 50 all’anno: ovvero pazienti contemporaneamente affetti sia da IV che da leucemia.

Questo trattamento infatti non può essere applicato a chi non necessiti di un trapianto dal momento che potrebbe anche essere fatale nel 20% dei casi.

Non siamo ancora, insomma, di fronte a una soluzione per gli oltre 36 milioni di persone che oggi vivono con l’HIV. La storia della donna newyorkese però può dare spunti e nuovi obiettivi alla scienza. Un passo alla volta.

Fonte | Ucla

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