Un’altra donna curata con i virus dei batteri, la dott.ssa Cesta: “La fagoterapia è la strada per battere l’antibiotico-resistenza”

Una donna di 62 anni soffriva di un’infezione batterica alla protesi dell’anca, contro cui ormai nessun antibiotico aveva più efficacia. Così un team dell’Università di Tor Vergata di Roma ha utilizzato i batteriofagi, i cosiddetti “virus” naturali indirizzati specificamente contro i batteri.
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Kevin Ben Alì Zinati 17 Febbraio 2023
* ultima modifica il 17/02/2023
In collaborazione con la Dott.ssa Novella Cesta Medico specialista in malattie infettive e dottoranda dell’Università di Tor Vergata di Roma

Ieri era claudicante, per camminare doveva sorreggersi alla stampella e aveva un persistente gonfiore dell’anca, che insieme a una fistola da cui fuoriusciva materiale purulento le impediva una vita quotidiana normale.

Oggi sta bene, è contenta e non ha più alcun impedimento. E la sua «rinascita» è certificata anche da tutti i controlli medici, gli esami ematochimici e quelli radiologici.

In mezzo tra questi due poli della vita di una donna ormai felicemente alle soglie dei 65 anni ci sono la causa di una salute precaria, una grave infezione alla protesi dell’anca, e la soluzione, trovata in un innovativo trattamento di fagoterapia.

Leggi «infezione» e subito pensi a periodici e insistenti cicli a base di antibiotici. Ed è vero: da quando il batterio Pseduomonas aeruginosa si è fatto strada nel suo organismo per la prima volta, ormai più di dieci anni fa, la donna ha provato tutte le strade terapeutiche tradizionali per cercare di vincerlo e scacciarlo. Antibiotici, antibiotici e ancora antibiotici.

Nonostante le terapie, però, il batterio non se n’è mai andato. Anzi, gli anni passati a scontrarsi con questi farmaci gli hanno insegnato come aggirarli. L’hanno reso così bravo a resistere ai tentativi di eradicazione e a sopravvivere che gli antibiotici non funzionavano più: placavano momentaneamente l’infezione ma non distruggevano mai lui.

È qui che sono entrati in gioco la dottoressa Novella Cesta, medico specialista in malattie infettive e dottoranda dell’Università di Tor Vergata di Roma, e i cosiddetti batteriofagi: i virus dei batteri.

La fagoterapia

La terapia fagica (o fagoterapia) si basa sull’utilizzo di batteriofagi (o fagi), ovvero virus in grado di attaccare in modo mirato solo i batteri, anche quelli maggiormente resistenti agli antibiotici.

“I fagi si trovano nell’ambiente naturale ed è possibile isolarli dalle acque reflue ma anche da laghi, fiumi e dal terreno. Sono elementi che fanno parte del nostro ambiente e hanno la particolarità di essere molto specifici e selettivi versi i batteri” ha spiegato la dottoressa Cesta, aggiungendo un dettaglio fondamentale: i fagi non possono infettare l’uomo e per questo rappresentano una soluzione terapeutica decisamente utile per trattare le infezioni.

Questo però già lo sapevamo. La fagoterapia non è una metodica nuova ma un approccio noto fin dalla fine del ‘800 e gli inizi ‘900 che la parte occidentale del mondo ha tuttavia gradualmente messo in secondo piano con l’arrivo della penicillina e dei primi antibiotici, tra gli anni ’40 e ’50“Solo l’Est Europa è stato sempre molto coinvolto nell’utilizzo dei batteriofagi e l’area ex Urss (Georgia o Polonia) ha mantenuto viva e allenata questa conoscenza continuando a lavorare su questa strada”.

Il trattamento

Anno 2020: la dottoressa Cesta e il professor Massimo Andreoni, primario e ordinario di malattie infettive al Policlinico di Tor Vergata, seguivano l’evolvere della situazione delle donna e di giorno in giorno vedevano che le sue condizioni peggioravano.

L’infezione associata alla protesi sembrava non avere soluzione e nessuna terapia ormai aveva più alcun effetto. La donna per di più non poteva nemmeno andare incontro a un intervento chirurgico. Troppi rischi, troppe complicazioni.

La fagoterapia è nota dal ‘800 ma è stata messa da parte in favore della penicillina

Dott.ssa Novella Cesta, infettivologa Università Tor Vergata Roma

Serviva una strategia d’intervento che permettesse di eradicare il batterio senza la potenziale tossicità della terapia antibiotica. Serviva la fagoterapia.

“Abbiamo quindi contattato l’Istituto George Eliava di Tbilisi, in Georgia, che da decenni si occupa di fagoterapia e abbiamo richiesto un preparato contenente il fago personalizzato attivo contro il batterio che aveva colpito la donna”. Un preparato che poi l’équipe della dottoressa Cesta ha combinato con un antibiotico scelto da noi in base dell’antibiogramma di quel batterio.

A quel punto è iniziata la terapia. In Italia il trattamento non è approvato, non è eseguibile e non rientra nella pratica clinica quotidiana – ha spiegato la dottoressa Cesta – Quindi la donna ha dovuto autosomministrarsela con la nostra supervisione. La fagoterapia è avvenuta attraverso un drenaggio particolare, posizionato dopo un intervento di pulizia ortopedica per ridurre l’infiammazione e l’infezione a livello locale”. Il trattamento ha previsto 3 somministrazioni al giorno per 15 giorni.

A distanza di due anni e mezzo dal trattamento, la donna – che all’epoca aveva 62 anni – sta bene e non ha più sintomi: il batterio è stato eliminato e l’infezione era stata eradicata.

Fagi e antibiotici

La storia di questa paziente, pubblicata sulla rivista Open Forum Infectious Diseases come il primo caso in Italia di paziente affetta da un’infezione alla protesi articolare trattata con batteriofagi è lo spunto per riflettere sul problema dell’antibiotico-resistenza e le sue potenziali soluzioni.

Gli antibiotici hanno rivoluzionato il nostro modo di affrontare batteri e malattie infettive, ci hanno permesso di fare un balzo in avanti gigantesco verso una vita decisamente più sicura (oltreché più lunga). Il loro utilizzo sfrenato e spesso scorretto però sta trasformando una risorsa in emergenza.

Moltissimi batteri ormai hanno acquisito la capacità di eludere l’azione delle terapie antibiotiche e sopravvivendo continuano ad alzare la soglia di resistenza. L’antibiotico-resistenza sta rapidamente diventando un’emergenza globale, tanto che il dottor Giuliano Rizzardini, Direttore del reparto di Malattie Infettive 1 dell’ospedale Luigi Sacco di Milano, l’aveva definita come la miglior candidata per il ruolo di prossima grande pandemia.

Trattare le infezioni con i batteriofagi può contribuire in mondo sostanziale a ridurre questa crisi. “L’azione di un antibiotico è ad ampio spettro, è vero, e può colpire più batteri – ha spiegato la dottoressa Cesta -. Il batterio però è un essere vivente e quindi replica ed è in grado di sviluppare una resistenza all’antibiotico, soprattutto se troppe volte sollecitato”. 

I batteriofagi invece questo problema non lo creano. Non solo: non derivando da sintesi chimica non colpiscono il microbioma umano come invece fanno gli antibiotici e poi, pur essendo altamente selettivi nei confronti di specifici batteri e quindi adatti per una terapia personalizzata, restano comunque in grado di aggredire e colpire più batteri della stessa specie.

In Italia il trattamento con batteriofagi non rientra ancora nella pratica clinica quotidiana

Dott.ssa Novella Cesta, infettivologa Università Tor Vergata Roma

L’infettivologa quindi non ha dubbi: “La fagoterapia è la miglior strategia alternativa per far fronte all’antibiotico-resistenza. E al momento è l’unica che ha già le prove scientifiche che ne dimostrano l’efficacia. La fagoterapia infatti ha un impatto nullo sulla persistenza dell’antibiotico-resistenza nel senso che non può proseguirla o favorirla. Gli antibiotici invece, anche se nuovi, possono sostenere l’antibiotico resistenza”.

Efficace, sì, ma quanto è diffusa? 

La domanda quindi è spontanea: quanto è diffusa la fagoterapia? Quanti e quali Paesi europei la usano regolarmente per trattare le infezioni più persistenti? Belgio, Francia e Polonia hanno diverse esperienze con i fagi, così come la Germania”.

E l’Italia? A parte lo studio della dottoressa Cesta nella letteratura scientifica è riportato un solo altro caso di utilizzo di fagoterapia, risalente al 2019, poi più nulla. Questo perché nel nostro Paese la terapia fagica resta una metodica ancora non autorizzata nella pratica clinica. Anche se è comunque una realtà.

Insieme alla dottoressa Mariagrazia Di Luca, altra autrice dello studio, la dottoressa Cesta è infatti co-founder di «Fagoterapia Lab», una startup unica nel panorama italiano che ha come obiettivo lo sviluppo e la produzione di batteriofagi per una terapia personalizzata. “Stiamo lavorando anche per colmare il vuoto normativo e aiutare le autorità regolatorie ad accelerare il processo di autorizzazione per inserire questa terapia nella pratica clinica”. 

Anche perché l’antibiotico-resistenza è un’emergenza di oggi, del nostro tempo, che richiede tempi di sviluppo e autorizzazione più rapidi. “La pandemia e quanto successo con i vaccini anti-Covid hanno dimostrato che certi percorsi normativi si possono velocizzarefacciamolo ha concluso l’infettivologa.

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