Vivere con il Rachitismo Ipofosfatemico: “La malattia rara mi ha insegnato a godermi tutto”

Oggi si celebra la Giornata Mondiale delle Malattie Rare e nel giorno più unico di tutto l’anno abbiamo voluto raccontare la storia di Sara Tagliati. Fin da quando è bambina le sue ossa non assimilano la vitamina D restando molli e troppo deboli. Le sue gambe così si incurvano continuamente sotto il peso del suo corpo e ad oggi ha subìto quasi 35 operazioni. Sara ha sempre saputo di essere diversa ma proprio nella diversità ha trovato la sua unicità.
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Kevin Ben Alì Zinati 29 Febbraio 2020
* ultima modifica il 22/09/2020

Dicevano che la Lombardia sarebbe stata minacciata dal vento forte, Sara lo sentiva nelle ossa. È un’istruttrice cinofila, per la maggior parte del tempo lavora all’aperto e se tira vento, deve rinunciare ai giochi con i suoi animali. Una volta uno di loro, Athos, un leonberger di 60 chili, ha dimenticato di frenare e l'ha investita. Lei però non si è fatta nulla.

Le previsioni hanno toppato. Sara ha potuto passare la giornata con i suoi cani e i loro padroni. Poi con qualche difficoltà ha spalancato la portiera della sua auto, “perché se fai fatica a piegare le ginocchia devi avere lo spazio di manovra di un camion”, ha messo in moto e ha raggiunto Ronald, il suo fidanzato, nella loro casa varesina a Cuveglio. Da lì, mi ha raccontato la sua storia.

Sara è diversa. Perché all’età di quattro anni le sue gambe hanno cominciato a incurvarsi sotto il peso del suo corpo. Nel suo organismo c’era qualcosa che non funzionava, le ossa non assimilavano la vitamina D e restavano molli. Mano a mano che lei cresceva, loro si piegavano e prendevano la forma di un cerchio, con le ginocchia lontane l’una dall’altra quasi 15 centimetri.

Sara è diversa. A 43 anni è volata in Turchia, si è messa il costume e ha nuotato dall’Asia all’Europa nello stretto di Istanbul, anche se la nuotata più dura è stata la traversata dell’Eremo. Quattro chilometri nell’acque dolci e pesanti del suo Lago Maggiore, una bracciata dopo l’altra sotto lo sguardo del monastero di Santa Caterina che da più di mille anni è lì, a strapiombo sul Lago.

Quando era piccola, tutti i suoi amici aspettavano le ferie dei genitori e andavano in colonia per l’estate. Sara invece la trascorreva in ospedale. “I miei interventi erano quasi sempre nei mesi caldi. Con i miei genitori avevamo un patto: il gesso in estate, così a settembre sarei stata pronta per tornare a scuola”. Invece di giocare con le biglie nelle piste disegnate nella sabbia, Sara sfidava i suoi compagni dell’ospedale di Genova. Vinceva chi aveva avuto più interventi, come se fosse stato qualcosa di cui andare orgogliosi”. Alla fine Sara trionfava quasi sempre: a oggi ne ha fatti quasi 35.

Sara ha una malattia rara, soffre di rachitismo ipofosfatemico legato all’X. Significa che i suoi livelli di fosforo sono molto bassi e con la crescita le sue ossa sono rimaste sottili e si sono incurvate. Ad alcuni le gambe potevano chiudersi verso l’interno, a lei si sono allargate, e di parecchio. Per questo non poteva giocare insieme agli altri bambini. “Rischiavo di farmi male e spesso ero all’ospedale, a casa ingessata o a fare riabilitazione, ma per me era la norma e mi divertivo un sacco. Potevo correre e saltare anche se non dovevo farlo. Ho ancora in giro una foto dove mi arrampico sulla scaletta di uno scivolo, nel parco, con una gamba ingessata: lo ammetto, i medici non li ascoltavo proprio sempre”.

La sua è mutazione del gene Phex, che incide sui livelli del fattore di crescita fibroblastico 23. In Italia l’incidenza che definisce una malattia rara non può essere inferiore a 5 casi ogni 10mila persone: il rachitismo ipofosfatemico legato all’X colpisce 1 persona su 20mila.

Dopo aver girato gli ospedali di mezza Italia, il tour di Sara finisce al pediatrico Gaslini di Genova, la sua colonia per le vacanze estive sul mare della Liguria. Qui incontra il dottor Berio, il classico gigante col camice bianco e fintamente cattivo: burbero con gli adulti e meraviglioso con i più piccoli. Le terapie prevedevano sali di fosfato inorganico e calcitriolo. “Il mio problema però era che nei tre prelievi che facevo ogni settimana non cambiava nulla. Come se i farmaci non funzionassero. In realtà, qualcosa di diverso c’era: gli effetti collaterali, pesanti. “Nell’ultimo periodo, quando le dosi di sali di fosfato liquido erano toste avevo dissenteria tutto il giorno tutti i giorni, non uscivo nemmeno più di casa”.

Sono gli anni delle osteotomie. Degli interventi con cui prima le rompevano le ossa della gamba storta e poi le rimettevano in asse con delle placche di acciaio chirurgico. “Tenevo il gesso un paio di mesi per far consolidare la frattura, poi si ripartiva con un altro osso l’anno dopo. Mana a mano che mi stortavo, tornavo in ospedale, mi operavano e mi raddrizzavano. Mi stortavo di nuovo e loro mi rioperavano”. Sara, dai 4 ai 22 anni subisce più di 30 operazioni: uno storico non comune per i malati di rachitismo ipofosfatemico legato all’X.

La malattia rara di Sara colpisce 1 persona su 20mila. 

Quando il Reducto-Spezial viene messo in commercio, Sara prova anche quello. Sali di fosfato non più liquidi, ma in pastiglie grosse quasi come Mentos. Dosaggio quotidiano: 30 pastiglie. “Ho tentato, ma avevo comunque gli stessi effetti collaterali. Allora il dottor Berio mi ha guardata e ha capito. Abbiamo interrotto tutto per un anno”. È il 1995, Sara ha 22 anni, è all’università, ingegneria ambientale. “Nei mesi in cui ho stoppato la cura, le mie analisi non sono cambiate. Facevo i trattamenti ed ero comunque in sala operatoria, quindi nel mio caso c’era qualcosa che evidentemente non tornava”. Poi però dice basta del tutto, è l’ultimo giro di “apri-metti-la-placca-chiudi-ricomincia-daccapo”.

Le gambe da non sovraccaricare, le ginocchia da non piegare “se no vedevo le stelle”, i giorni a letto insieme ai dolori, le 35 cicatrici sulle gambe e le facciate sulla porte a causa della propria esteriorità non scelta. Eppure gli anni dell’università non sono stati malaccio. Peggio quelli dell’adolescenza. Quelli del cambiamento, “quelli in cui desideri far parte di un gruppo ma quando ti rendi conto che lì dentro nessuno ti rappresenta perché sei il diverso, non è molto carino. Anzi, fa schifo. Mentre tutti gli altri ragazzi andavano in spiaggia, lei la evitava: mi vergognavo.

Doveva curarsi con le pastiglie di sali di fosfato. Il dosaggio era di 30 pastiglie al giorno

Sara che è diversa l’ha capito quasi subito, a quattro anni, dopo la prima diagnosi di rachitismo. L’ha capito “dallo sguardo degli altri. Se quello che vedi nello specchio è la tua immagine, per te è normale. La gente invece mi identificava con la malattia. Come i cinesi che oggi sono tutti portatori del Coronavirus”. Tu come rispondi quando ti senti incompreso, estraneo, abbandonato come il soldato del turno di guardia con un fucile che aspetta nemici che però non verranno? Sara ha risposto picchiando tutti.

“Non sono mai stata bullizzata, ero io che usavo l’aggressività. Mi dispiace per i ragazzi a cui ho tirato una sedia sulla schiena, chiedo scusa, ma questa reazione mi ha dato la forza di non soccombere e di non vergognarmi”. Il soprannome di Sara, ancora oggi, è Scrondo: un Gremlin verdiccio e volgarissimo che negli anni ’80 violentava la tv italiana. “Non mi giustifico, ma capisco che era l’espressione del mio voler far parte del gruppo cercando di dimostrare di essere come gli altri”.

Ma Sara è diversa. Chi ha una malattia rara non è come gli altri ma anche chi non ha una malattia rara è un diverso. Perché la verità è che la retorica del “siamo-tutti-uguali-e-tutti-possiamo-fare-tutto” è ipocrisia. “Nella diversità di pelle, di colore, di lingua, di salute, ci sono le opportunità. L’universo è fatto di movimento e il movimento è fatto di cose diverse. Se prendi l’acqua fredda e quella calda e le mischi vedi le correnti. Riconoscere la diversità vuol dire poi godersi la vita”.

È inevitabile: il viaggio è ancora lungo. Non siamo tutti resilienti o così sicuri di noi stessi da impugnare la racchetta e rispedire indietro lo sguardo degli altri. Non tutti amiamo quella persona a cui la carta d’identità ha assegnato il nostro stesso nome. “Non mi identifico con la mia malattia e non provo imbarazzo. Trovo strano invece l’opposto, chi tende a nasconderlo, come i gruppi Facebook che raccolgono i portatori della mia stessa malattia ma tengono le porte chiuse. L’ho imparato con il tempo e con l’aiuto di un terapeuta ma il mio essere normale è essere me stessa.

Oggi Sara non si vergogna più. Porta le sue cicatrici al mare e sotto il sole, “spesso pure nelle spiagge nudiste”, la sua gamba sinistra è abbastanza dritta mentre la destra si sta incurvando ancora. Dopo l’intervento grosso del 1995, che l’ha lasciata a letto per nove mesi regalandole poi un anno e mezzo di riabilitazione, ne ha subito un altro solo cinque anni fa. Forse è tempo di ritornare al “apri-metti-la-placca-chiudi-ricomincia-daccapo”. Oggi poi Europa e Stati Uniti hanno anche approvato il primo farmaco specifico per il rachitismo, l’anticorpo monoclonale burosumab,  Sara vorrebbe testarlo ma la trafila è ancora lunga.

“Ho trovato il mio modo di prendermi cura di me facendo nuoto. L’attività fisica, anche fatta a livelli un po’ più seri, mi fa dimenticare i dolori per qualche minuto”. Poi ha preso due master in istruzione cinofila ed etologia degli animali d’affezione e ha cominciato ad addestrare i cani, anche se il lavoro vero è insegnare alle persone come gestirli.

“Non mi identifico con la mia malattia e non provo imbarazzo. Trovo strano invece l’opposto, chi tende a nasconderlo"

Sara sente ancora quando sta per arrivare il vento. Quando va a fare la spesa, si porta sempre il suo carrello personale. “Anche se prendo poche cose me lo porto dietro, caricare le borse piene mi dà fastidio e mi affatico arrivando a casa e se dovessi cadere sarebbe un disastro”.

Oggi Sarà è diversa grazie alla sua malattia rara. Che le ha dato la consapevolezza di godersi appieno ogni singolo giorno. “A 80 anni molti si sveglieranno una mattina e capiranno che cosa significa non avere il controllo del proprio corpo. Io lo so da quando ho 4 anni e mezzo e mi sto godendo il viaggio in tutto e per tutto”. Paracadute, zipline a volo d’angelo sul mondo, passeggiate in Giordania “ma non sui cammelli perché se cado mi spacco”, nuotate intercontinentali, “anche se vorrei poter correre ma non ci riesco. Pazienza, c’è di peggio”.

Tra poco ci sarà pure un matrimonio. Lei e Ronald si sposeranno ai primi di marzo. C’è da capire se le permetteranno di organizzare la festa che aveva in mente. “Con il Coronavirus in giro non credo, ma le mascherine sono già pronte. Sarà comunque una cosa molto nerd. Poi Ronald tutta l'estate mette i calzini con i sandali, almeno con il freddo non potrà farlo". 

Questa però è un’altra storia.

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