Zanzare, nemiche e amiche: la scienza vuole usare le loro punture per somministrare vaccini anti-malaria

Studiando il comportamento il patogeno responsabile della malaria, un team di scienziati ha sviluppato una tecnica per modificare geneticamente questi parassiti trasportati dalla zanzare rendendole vettori non della malattia ma di dosi di vaccino contro di essa. Nelle sperimentazioni eseguite sull’uomo, i vaccini trasmessi dalle zanzare si sono dimostrati efficaci al 90%.
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Kevin Ben Alì Zinati 25 Novembre 2024
* ultima modifica il 25/11/2024

Sono ovunque e ci pungono sempre e comunque. E allora, anziché cercare di eliminarle, perché non proviamo a usare le zanzare a nostro favore?

Dev’essere stato più o meno questo il pensiero che ha guidato un gruppo di ricercatori della London School of Hygiene and Tropical Medicine nello sviluppo di una nuova tecnologia per la somministrazione di un vaccino anti-malaria.

Vettori abilissimi nel diffondere malattie infettive, le zanzare che trasportano la malaria ancora oggi rappresentano un problema enorme in alcune aree del mondo. Pensa che solo nel 2022 sono stati registrati 249 milioni di casi e più di 600mila decessi.

Eradicarle completamente è un’impresa impossibile, vista anche l’accelerata alla loro diffusione data dal cambiamento climatico, ma anche pericolosa.

Ogni ecosistema sopravvive grazie al complesso equilibrio in cui vivono tutti i suoi elementi e rimuoverne uno lascerebbe vorrebbe dire compromettere in maniera drastica la stabilità.

Così i ricercatori hanno cercato di dare a questa convivenza una forma virtuosa, sperimentando un modo per trasformare questi parassiti in alleati per distribuire dosi di vaccino tramite le loro punture. E ha funzionato. Nelle sperimentazioni eseguite sull’uomo, i vaccini trasmessi dalle zanzare si sono dimostrati efficaci al 90%.

L’intuizione alla base di questa tecnologia parte dallo studio del comportamento di Plasmodium falciparum, il parassita più mortale per gli esseri umani e responsabile, appunto, della malaria.

Questi piccoli e disgustosi protozoi unicellulari viaggiano insieme alle zanzare Anopheles femmine, infilandosi nelle loro ghiandole salivari insieme agli enzimi antinfiammatori e anticoagulanti naturali.

Quando punto un individuo, oltre 200 protozoi di P. falciparum finiscono direttamente nel flusso sanguigno alla ricerca di cellule epatiche in cui nascondersi e moltiplicarsi.

Nel giro di una settimana, ciascuna di queste singole unità svilupperà quasi 100mila nuovi parassiti che inizieranno a invadere e uccidere i globuli rossi procurandoti i sintomi tipici della malaria: febbre, brividi, spossatezza, coagulazione del sangue.

Rimasti impressionati da tanta efficenza e ingegnosità, i ricercatori inglesi hanno dunque provato a modificare geneticamente Plasmodium falciparum per farlo agire come vettore di un vaccino invece che di una malattia.

L’idea era permettere al parassita di comportarsi normalmente fino a insediarsi nelle cellule epatiche umane e iniziare a moltiplicarsi.

Gli scienziati, come racconta Nature, hanno programmato i parassiti per smettere di svilupparsi circa 6 giorni dopo l’infezione e rilasciare nel sangue una serie di antigeni che, stimolando il sistema immunitario dell’individuo, lo spingono a sviluppare una risposta infiammatoria in grado di innescarsi al successivo incontro con il parassita.

I ricercatori hanno testato l’efficacia di questo approccio nello sviluppare l'immunità alla malaria su una piccola coorte di partecipanti, esponendoli sia a parassiti modificati per agire dopo 6 giorni (chiamati GA2) sia a GA1, forme di parassiti progettati invece per smettere di svilupparsi circa 24 ore dopo l’infezione.

I partecipanti sono stati esposti alle punture di 50 zanzare: 10 partecipanti hanno sono stati punti da zanzare infette da parassiti GA1 e 10 da quelle con parassiti GA2. Tre settimane dopo, tutti sono stati esposti a zanzare portatrici di malaria.

Risultati? Poco prima dell’incontro con la malattia, entrambi i gruppi di partecipanti avevano livelli di anticorpi più alti rispetto a prima. Uno degli otto (13%) partecipanti punti da parassiti GA1 non ha contratto la malaria rispetto all’89% nel gruppo GA2.

Fonte | Nature

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