Acqua in bottiglia, un lusso che potremmo anche risparmiarci in Italia

Il nostro Paese è il terzo per consumo di acqua in bottiglia, dopo Messico e Thailandia. Eppure l’acqua di rubinetto è buona e sottoposta a controlli rigidi con cadenza quotidiana. L’acqua minerale imbottigliata, invece, non solo costa molto di più, ma ha un impatto ecologico superiore dato dal trasporto e dal volume di rifiuti generati (pensa agli imballaggi in vetro e in plastica). Viaggio attraverso un paradosso tutto italiano.
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Federico Turrisi 22 Marzo 2021

Italiani e acqua in bottiglia: una storia d'amore che prosegue a gonfie vele. Nonostante il prezzo decisamente più elevato rispetto all'acqua di rubinetto, nonostante il movimento plastic free sia cresciuto negli ultimi anni. Oggi 22 marzo è la giornata mondiale dell'acqua, la risorsa vitale per eccellenza. Un bene che forse diamo troppo per scontato. Che magari siamo disposti a difendere in qualità di bene pubblico – vedi l'esito del referendum del 2011 – ma che poi, nell'indifferenza generale, lasciamo alla mercé di aziende e multinazionali, che poi utilizzano proprio l'acqua per fare profitti stellari. A prima vista potrebbe sembrare quasi inspiegabile il motivo per cui la maggioranza degli italiani continui a scegliere l'acqua in bottiglia; ma andando un po' più a fondo risulterà fin troppo chiaro per quale ragione nel nostro Paese venga ancora acquistata in maniera piuttosto diffusa. È tutta una questione di comunicazione.

I numeri

Con poco più di 190 litri all'anno per abitante, l'Italia è il primo Paese europeo per consumo pro capite di acqua in bottiglia. Il terzo al mondo, dopo Messico e Thailandia, che arrivano entrambi a 274 litri annui per abitante. Da un recente rapporto dell'Ismea (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) emerge che il volume di vendite di acqua imbottigliata in Italia è praticamente raddoppiato nell'ultimo decennio: siamo passati dai circa 5 miliardi di bottiglie nel 2009 ai circa 10 miliardi nel 2019.

Ismea rileva poi che la quota più importante dei consumi è relativa all’acqua naturale (tipologia disponibile dai rubinetti delle nostre case), che ha rappresentato il 71% dei volumi di vendita: parliamo di circa 7 miliardi e 200mila bottiglie acquistate nel 2019, un valore quasi triplicato nel giro di soli 3 anni. Le acque effervescenti, invece, sono state scelte nel 2019 dal 13% delle famiglie italiane, per un totale di circa un miliardo di bottiglie (nel 2016 erano la metà), in linea con quelle gassate, che nel 2019 sono state comprate dall’11% dei consumatori, per un volume di vendita pari sempre a circa un miliardo di bottiglie. Numeri più contenuti ma ugualmente rilevanti, infine, per le acque leggermente gassate, che hanno incontrato le preferenze del 5% delle famiglie italiane (circa 500 mila bottiglie, comunque il doppio di quelle consumate nel 2016). L'unico trend negativo si registra nella vendita di bottiglie di acqua naturale in vetro, a tutto vantaggio della plastica usa e getta: nel 2019 ne sono acquistate dai consumatori circa 24 milioni contro i circa 31 milioni del 2009.

Come avrai avuto modo di capire, si tratta di cifre impressionanti. Ecco perché non è sbagliato dire che dietro alla filiera dell'acqua in bottiglia ci sia una vera e propria industria. "Con quasi 140 stabilimenti e oltre 260 marchi presenti sul nostro territorio, sono 14 miliardi i litri di acqua imbottigliati nel 2016 (erano 12 miliardi nel 2010), di cui oltre il 90% destinato al consumo nel nostro Paese", si legge nel dossier "Acque in bottiglia. Un'anomalia tutta italiana", pubblicato nel 2018 da Legambiente, in collaborazione con Altreconomia. Il giro d’affari – riporta il documento – è stimato tra i 7 e i 10 miliardi di euro, mentre il fatturato delle aziende concessionarie si aggira intorno ai 2,8 miliardi all’anno a fronte di un corrispettivo che entra alle Regioni di appena 18 milioni (lo 0,6% del fatturato delle aziende imbottigliatrici).

Acqua in bottiglia vs acqua di rubinetto

Facciamo una premessa: concettualmente non ci fanno impazzire le contrapposizioni troppo nette, perché la realtà alla fine si rivela sempre un po' più sfumata. Ma proviamo comunque a immaginarci un duello. Da una parte c'è l'acqua in bottiglia e dall'altra l'acqua di rubinetto. Quali sono i pro e i contro dell'uno e dell'altro contendente?

Partiamo dall'acqua minerale in bottiglia. "Il vantaggio dell'acqua imbottigliata è che si può rivelare uno strumento molto utile in situazioni emergenziali, quando il servizio pubblico non riesce a fornire acqua perché, per esempio, c’è stato un terremoto oppure si è verificato un episodio di contaminazione", afferma Edoardo Borgomeo, esperto di idrologia e honorary research associate presso l’Università di Oxford, nonché autore del libro "Oro blu – Storie di acqua e cambiamento climatico" (edito da Laterza).

L'acqua in bottiglia però ha un impatto ambientale rilevante, innanzitutto in termini di produzione di rifiuti. Pensiamo alle bottiglie di vetro, ma soprattutto alla grande quantità di contenitori di plastica che poi deve essere smaltita. Certo, qualcuno potrebbe obiettare che le bottiglie in Pet (ossia il polietilene tereftalato, il materiale plastico con cui sono realizzate), così come quelle di vetro, possono essere riciclate se viene fatta una corretta raccolta differenziata. Ma il punto è che se proprio vogliamo agire nella maniera più ecosostenibile possibile, dobbiamo cercare di ridurre a monte la quantità di rifiuti prodotti; e poi bisogna aggiungere che in certe zone del mondo, e anche d'Italia, le percentuali di raccolta differenziata purtroppo non sono particolarmente elevate. Non dimentichiamoci inoltre le emissioni di gas serra legate al trasporto, generalmente su gomma, delle casse d'acqua. Quest'ultima infatti viene imbottigliata alla fonte, ma poi deve essere distribuita nei vari punti vendita sparsi sul territorio. Tutta CO2 che si potrebbe evitare aprendo semplicemente il rubinetto di casa.

Per legge l'acqua di rubinetto è sottoposta ogni giorno a una serie di controlli sulla sua qualità e sicurezza

Ed ecco che arriviamo proprio all'acqua di rubinetto. Il primo punto a suo favore è sicuramente la convenienza economica per gli utenti: come rileva l'Istat, in termini di costo unitario (euro/litro) la spesa mensile sostenuta dalle famiglie per l'acquisto di acqua minerale è circa 6 mila volte superiore a quella fatturata per uso domestico. Detto in parole povere, riempire una brocca con l'acqua di rubinetto ha un costo infinitamente più basso rispetto a comprare una bottiglia di acqua naturale.

Inoltre, l'acqua che esce dal rubinetto è sottoposta per legge a rigidi controlli per la verifica dell'eventuale presenza di agenti patogeni o di sostanze nocive per la popolazione. "La frequenza dei controlli sulla qualità dell'acqua è molto elevata: anche più volte al giorno", prosegue Borgomeo. "Alcune fonti idriche possono risultare contaminate in seguito ad attività industriali, come nel caso dei Pfas in Veneto. Oppure possono essere naturalmente contaminate, come capita in alcuni Comuni nel Lazio. Che cosa vuol dire? Che ci sono in alcune zone vulcaniche elementi chimici, come l’arsenico, presenti in natura che entrano nell’acqua. Comunque il monitoraggio è stringente, e in certi casi si prendono le dovute precauzioni, bloccando la distribuzione di acqua. Possiamo dire che dai rubinetti delle città italiane esce acqua buona e sicura".

Ci sono poi numerosi falsi miti sull'acqua di rubinetto da sfatare. Quante volte avrai sentito dire "non fa bene perché è troppo calcarea" oppure "ci mettono il cloro" e via dicendo? Per quanto riguarda il primo dubbio, la risposta ce la dà direttamente l'Istituto Superiore di Sanità, il quale ricorda come non abbia alcun fondamento la convinzione che bere l’acqua del rubinetto, o comunque quella ad elevato residuo fisso (vale a dire ricca di sali di calcio e magnesio), possa favorire la formazione di calcoli renali. "Il consiglio molto diffuso di utilizzare acque leggere o moderatamente oligominerali in sostituzione dell’acqua del rubinetto per evitare la formazione di calcoli non è giustificato da evidenze scientifiche".

Sul cloro il discorso è un po' più complesso. È vero, questo elemento chimico viene utilizzato per la disinfezione dell'acqua dagli inquinanti microbiologici, come virus e batteri, oppure dopo gli interventi di manutenzione dell’acquedotto per disinfettare le tubature. Ma la clorazione avviene sempre in maniera tale da non arrecare alcun danno alla salute umana. I livelli di cloro nell’acqua infatti sono costantemente monitorati e devono rimanere entro le soglie fissate dalla legge. E se proprio percepisci un odore fastidioso nell'acqua, prima di consumarla puoi lasciare riposare la caraffa per mezz'ora così da far evaporare il cloro.

Tirando le fila del discorso, viene da chiedersi: c'è tutta questa differenza tra acqua minerale e l'acqua di rubinetto? In realtà, no. "Al consumatore magari non piace l'idea che l'acqua venga trasportata attraverso le tubature. Ma in generale il sistema pubblico garantisce la qualità e la sicurezza dell'acqua. Certo, le sorgenti sono diverse tra loro, il contenuto di minerali, come calcio o magnesio, può variare anche in maniera sensibile in base alle caratteristiche del terreno o della falda. Tuttavia, per quanto riguarda le caratteristiche organolettiche, non c’è grande differenza tra acqua in bottiglia e acqua di rubinetto", conclude Borgomeo.

Cui prodest?

"Spesso ci si focalizza sul tema dello smaltimento dei rifiuti (vetro e soprattutto plastica), che è molto importante, ma il problema dell’acqua in bottiglia non è legato solo al contenitore. Anzi, mi sento di dire che il processo di imbottigliamento dell’acqua sia il problema principale. Le multinazionali, siano esse italiane o straniere, possono prelevare alla fonte l’acqua, pagando un canone di concessione alle Regioni. In un Paese che ha votato un referendum per l’acqua pubblica nel 2011, come si fa ad accettare che un’azienda utilizzi un bene di tutti per ottenere profitti così alti?". A parlare è Marirosa Iannelli, presidente del Water Grabbing Observatory e autrice, insieme al giornalista Emanuele Bompan, del libro “Water grabbing. Le guerre nascoste per l'acqua nel XXI secolo” (edito da Emi). Il nocciolo della questione è il seguente: come è possibile che dietro all'uso privato di un bene pubblico ci sia un business milionario, se non miliardario?

Per capire meglio di che cosa si tratta, prendiamo in mano ancora una volta il report di Legambiente e Altreconomia: "Ancora oggi tutte le aziende che hanno una concessione per imbottigliare l’acqua – si legge – possono contare su costi da corrispondere alle Regioni del tutto irrisori. Nel migliore dei casi infatti si arriva ad un pagamento di 2 millesimi di euro al litro. Una cifra impalpabile, di ben 250 volte inferiore ai 50 centesimi al litro che rappresenta il prezzo medio di vendita dell’acqua in bottiglia al supermercato, ma che arriva a rappresentare un costo di mille volte inferiore se si considera che spesso si raggiungono anche i 2-3 euro al litro (per esempio nella vendita al dettaglio nei bar, nelle stazioni o negli aeroporti)".

I numeri parlano da soli, ed è evidente che qualcosa non torna. L'impressione è che si stia sostanzialmente svendendo un bene comune per permettere a un piccolo gruppo di società di arricchirsi sempre di più. "Beninteso, quando si parla di acqua pubblica non si parla di acqua gratis. Ci sono dei costi di gestione che vanno sostenuti e che devono essere quindi, giustamente, pagati dai cittadini (captazione, controllo qualità, depurazione e via dicendo). Ma è abbastanza scandaloso che delle multinazionali possano acquistare ad un prezzo così basso l’acqua alla fonte per poi rivenderla a un prezzo mille volte superiore rispetto a quella di rubinetto", prosegue Iannelli.

Come si potrebbe intervenire allora per cercare quanto meno di raddrizzare una stortura del genere? "Premesso che l’obiettivo debba essere sempre quello di garantire la possibilità a tutti di usufruire di acqua sicura e controllata, andrebbe chiesto un canone di concessione innanzitutto nazionale, quindi uguale per tutte le regioni italiane, e poi a un costo sicuramente più elevato", sottolinea Iannelli. "Una proposta del Water Grabbing Observatory è stata quella di vincolare i canoni di concessione all’ammodernamento delle infrastrutture idriche sul nostro territorio".

In altre parole, la pubblica amministrazione potrebbe usare quei soldi in più per sistemare la rete idrica e limitare gli sprechi. E già, perché è proprio questo il principale buco nero della gestione delle risorse idriche nel nostro Paese: dietro all'elevato tasso di dispersione c'è una rete infrastruttrale "colabrodo". Una recente analisi effettuata dall'Osservatorio della Community Valore Acqua per l’Italia di The European House –Ambrosetti evidenzia che circa il 60% delle infrastrutture della rete idrica italiana ha più di 30 anni (il 25% ha più di 50 anni) e il 47,9% dell’acqua prelevata viene dispersa lungo la rete idrica, rispetto a una media europea del 23%. Inoltre, con 40 euro per abitante all’anno (60 euro in meno rispetto alla media Ue), l'Italia è in fondo alla classifica europea per investimenti nel settore idrico.

Un'enorme operazione di marketing

Resta da capire dunque perché gli italiani bevano così tanta acqua in bottiglia. Abbiamo capito che non è una questione di salute, visto che tutta l'acqua che risulta sicura e controllata, in generale, fa bene al nostro organismo. La risposta è un'altra: marketing. Hai mai fatto caso a come ci viene presentata l'acqua in bottiglia nei messaggi pubblicitari? L’acqua della salute, l’acqua che elimina l'acqua, l’acqua dei superlativi assoluti (altissima, purissima) eccetera. "Si tratta di una strategia comunicativa molto efficace che si poggia sulla nostra percezione dell’acqua come qualcosa di puro, incontaminato, cristallino. Le aziende imbottigliatrici, che seguono la logica del profitto e quindi pensano a vendere, hanno tutto l'interesse a proporre il loro prodotto al consumatore in questa maniera. In realtà, però, questa operazione ci danneggia. Da un lato perché non ci permette di valorizzare il servizio pubblico che riceviamo, dall’altro perché ci fa pagare molto di più per un bene primario come l'acqua", dice Borgomeo.

"La strategia comunicativa delle aziende imbottigliatrici si basa sulla nostra percezione dell’acqua come qualcosa di puro e incontaminato"

Dello stesso avviso è Ugo Mattei, professore di diritto internazionale comparato all'Hastings College of the Law dell'Università della California a San Francisco e di diritto civile all'Università di Torino: "I profitti che vengono fatti sull’acqua minerale in bottiglia sono così alti che permettono di controllare la comunicazione e di assumere anche testimonial famosi. Da tempo c’è in corso una gigantesca propaganda da parte delle aziende per screditare l’acqua di rubinetto". Mattei, tra l'altro, è Presidente del Comitato Popolare di Difesa dei Beni Pubblici e Comuni “Stefano Rodotà” e ha contribuito insieme ad altri due giuristi, Alberto Lucarelli e Stefano Rodotà, alla stesura dei quesiti sull'acqua pubblica per il referendum abrogativo del giugno 2011, l'ultimo ad aver raggiunto il quorum.

Ma perché abbiamo tirato in ballo il referendum di dieci anni fa? Per un semplice motivo: il tema che stiamo affrontando in questo articolo ci porta a fare considerazioni più ampie sulla concezione che abbiamo dell'acqua in Italia. "Il lavoro svolto in occasione del referendum del 2011 è stato incredibile: vedere così tanta gente difendere l’acqua come bene comune, rifiutarne la privatizzazione, è stato qualcosa di straordinario", continua Mattei. "Eppure, il consumo di acqua in bottiglia non si è minimamente abbassato, anzi è perfino aumentato! Questa è una delle più grandi contraddizioni politiche che abbia mai visto. A dieci anni di distanza, dico che il concetto di gestione ecologica della risorsa non è stato abbastanza implementato e che dal punto di vista culturale non c’è stato un particolare passo in avanti, purtroppo".

Certo, in Italia fortunatamente non si muore di sete, non si assiste a palesi violazioni dei diritti umani, come capita invece in Africa o in altre aree del mondo. "Ma proprio perché siamo in un Paese come l'Italia, è grave che non si riesca ad avere una legge sull’acqua pubblica. Legge, tra l'altro, che servirebbe anche in un’ottica di piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici", aggiunge Marirosa Iannelli.

Alla fine di questa lunga traversata, ci ritroviamo al punto di partenza, a ragionare su questa serie di paradossi. In Italia l'acqua di rubinetto è generalmente buona, ma siamo disposti a pagare molto di più per un prodotto di marca. Ci battiamo per difendere l'acqua in quanto bene comune, ma non ci turba più di tanto l'idea che dei soggetti privati paghino un prezzo irrisorio alle Regioni per le concessioni e fatturino poi milioni di euro. Diciamo di voler essere più attenti all'ambiente, ma poi riempiamo il bidone della spazzatura di bottiglie di plastica schiacciate.

In un articolo del quotidiano britannico online The Independent l'acqua in bottiglia viene definita "uno dei più grandi imbrogli del secolo". Un titolo dal forte impatto, su questo non c'è dubbio. Eccessivo? Forse. Ma che dovrebbe comunque spingere a una riflessione. Soprattutto noi italiani che, come ci dicono le statistiche, siamo tanto affezionati all'acqua minerale in bottiglia. "Sopra di noi nella classifica dei consumatori di acqua in bottiglia nel mondo ci sono Paesi come Messico e Thailandia, dove il ricorso a questo strumento è giustificato dal fatto che spesso l’acqua del rubinetto non è sicura. Ma in Italia che bisogno c’è?", si chiede Borgomeo. Ce la sanno vendere bene. E noi ce la beviamo. In tutti i sensi.