Ad alta temperatura senza bruciare: la pirolisi per l’economia circolare

I processi pirolitici possono contribuire alla circolarità delle risorse valorizzando alcuni flussi di rifiuti e i loro sottoprodotti. Vediamo di che si tratta.
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Andrea Di Piazza Geologo specializzato in Green Management
26 Aprile 2023 * ultima modifica il 27/04/2023

Con il termine pirolisi si indica quel processo termo-chimico, che si sostituisce alla combustione, per degradazione di una sostanza in un ambiente essenzialmente anossico. Fino alla fine dell’ 800, la carbonizzazione del legno era il principale processo pirolitico grazie al quale si fornivano grandi quantità di carbone per sostenere energeticamente l’industria americana del ferro, all’epoca in grande crescita. Con il passare del tempo, i processi pirolitici sono stati applicati anche alla degradazione di altri materiali, ad esempio le plastiche, consentendo il recupero di alcuni elementi chimici riutilizzati in altri settori industriali. Vediamo di che si tratta.

Il processo pirolitico

L’etimologia del nome “pirolisi”, dal greco πῦρ ‘fuoco' e λύσις ‘scissione’, suggerisce appunto come sotto questo nome vadano i processi termici che consentono la decomposizione, o degradazione, di una sostanza sia essa organica che inorganica. I legami chimici dei composti che costituiscono i materiali vengono proprio rotti, con la formazione di molecole più semplici. Il processo avviene ad alte temperature e in un ambiente privo di agenti ossidanti, proprio per evitare l’ossidazione e dunque i processi di combustione. L’unica fonte di ossigeno potrebbe essere rappresentata dalle molecole contenute nelle sostanze organiche, spesso legate all’umidità, ma che rimangono ben al disotto del limite stechiometrico utile ad innescare la combustione del materiale. In base alla tipologia di prodotto trattato il processo può avvenire in un ampio range di temperature che va dai 180°C agli 800°C e può anche essere condotto a pressione diverse da quella atmosferica.

A seconda dello stadio termico si possono poi identificare almeno due stadi:

  • Pirolisi primaria, in cui il materiale viene essiccato (o devolatilizzato), ovvero perde i componenti più volatili (si parla dunque di deidratazione, decarbossilazione, deidrogenazione, a seconda dei composti rimossi), perde di massa ma il peso molecolare dello stesso rimane elevato;
  • Pirolisi secondaria, o cracking termico, in cui il materiale di partenza, che ha già subìto una prima perdita di massa, viene ridotto a sostanze dal peso molecolare minore (che hanno un valore commerciale maggiore).

Per quanto riguarda le tecnologie adottate, queste dipendono dalle condizioni fisiche sviluppate durante il processo, ma anche dalla qualità del materiale in ingresso. Generalmente si hanno sistemi a letto fisso, a letto mobile o a letto circolante, molti dei quali applicano a valle filtri per catturare eventuali inquinanti.

I prodotti della pirolisi

La degradazione del materiale, sia esso organico che inorganico, comporta la produzione di vari output di processo in quantità diverse a seconda del materiale stesso e delle condizioni al contorno. In particolare si riconosce una frazione solida (a volte definita char), una frazione liquida (di vapori condensabili), una frazione gassosa e una frazione acquosa (se umidità è presente, quindi sotto forma di vapore acqueo).

Questi output vengono prodotti in quantità differente a seconda dei materiali di partenza ma anche del processo pirolitico. Per esempio nel caso di una pirolisi lenta (con tempi di permanenza da qualche minuto a qualche decina di minuti), il gradiente di temperatura non è elevato, questo fa sì che i prodotti di output siano abbastanza egualmente ripartiti nelle tre fasi. Nel caso invece di una pirolisi rapida (tempi di permanenza anche inferiori al secondo), i gradienti che si ottengono sono molto elevati e a seconda del materiale lavorato, si può ottenere una percentuale maggiore di una fase rispetto alle altre.

La pirolisi della materia organica

La trasformazione termo-chimica della sostanza organica permette la produzione di un bio-combustibile, prevalentemente dunque in fase liquida, che ha una densità energetica maggiore rispetto alla biomassa di partenza. Tra i processi che favoriscono la produzione di questo bio-combustibile, la pirolisi rapida consente la formazione di un bio-olio contenente idrossialdeidei, idrossichetonei, acidi carbossilici e fenoli, con una densità energetica significativa. Da questo punto di vista, la pirolisi del legno è stata probabilmente il primo processo di trasformazione termo-chimica sviluppato dall'uomo. Tra gli output di processo più importanti vi sono l’acido acetico, il metanolo e un carbone ad alta densità.

La pirolisi delle plastiche

La gestione dei rifiuti plastici necessita di strategie a lungo termine che consentano di favorirne il riciclo, senza che gli stessi vengano bruciati nei termovalorizzatori o, peggio, finiscano in discarica. La pirolisi dei rifiuti di plastica è una soluzione che può contribuire a garantirne la circolarità attraverso la formazione di sottoprodotti che possono essere impiegati in vari flussi industriali. Il processo trasforma la plastica essenzialmente in olio liquido (fino al 90% in peso dell’output), ma si possono ottenere anche altri sottoprodotti utili come l’acido cloridrico, la cera, il carbone e vari gas. Le quantità e le caratteristiche dei prodotti di pirolisi sono strettamente dipendenti dal tipo di plastica in ingresso, ma anche dal processo pirolitico (lento, rapido o ultra-rapido), dal tipo di reattore, dalle condizioni fisico-chimiche al contorno. Gli oli liquidi prodotti dalla pirolisi dei rifiuti di plastica hanno proprietà simili al diesel convenzionale, ovvero viscosità (fino a 2,96 mmq/s), densità (0,8 kg/mc), punto di infiammabilità (30,5 °C), punto di intorbidamento (−18 °C) e contenuto energetico (41,58 MJ/kg).

Dopo una laurea in Geologia ed un dottorato di ricerca presso l'Università degli Studi Roma Tre, ha lavorato come ricercatore presso altro…