
A maggio 2018 sulla Terra si registrava un nuovo record: la presenza di anidride carbonica nell’aria non era così alta da 800mila anni. Esatto, 800mila. La strada da intraprendere è una sola: ridurre le emissioni per fare in modo che la temperatura media sul nostro pianeta non aumenti oltre due gradi rispetto ai livelli preindustriali. E’ l’obiettivo che si prefigge anche l’accordo firmato a Parigi, il cosiddetto Cop21.
Ma mentre alcuni Stati provano a trovare soluzioni per ridurre i livelli di CO2, alcuni ricercatori provano a utilizzarla come risorsa. In particolare, un team del Massachusetts Institute of Technology (Mit) nel 2017 ha creato una membrana per ottenere carburante aspirando l’aria, mentre lo scorso giugno un’azienda canadese ha deciso di pubblicare uno studio dove i suoi ricercatori mostravano come i costi di questo procedimento potrebbero essere abbattuti di sei volte rispetto alle stime iniziali.
Con una membrana, ottenuta da un composto di lantanio, calcio e ossido di ferro, le emissioni di una centrale elettrica possono diventare carburante per automobili. In pratica, scinde l’ossigeno contenuto in un flusso di vapore di CO2 e isola il monossido di carbonio (CO). Aggiungendo acqua o idrogeno, si ottiene un carburante liquido. La mente del progetto sono due ricercatori del Mit, Xiao-Yu Wu e Ahmed Ghoniem, che prevedono di utilizzare la loro creazione soprattutto per le emissioni della grandi centrali elettriche. E c’è una ragione precisa.
Serve molto calore, cioè una temperatura di 990 gradi, perché la scissione avvenga. Perciò, per non rendere vano il tentativo di produrre carburante ecosostenibile, i due prevedono di utilizzare quello disperso da una centrale. Inoltre, l’ossigeno passa attraverso la membrana solo se è attirato. La soluzione sarebbe far fluire al di là di questa anche sostanza ossidabili, come idrogeno e metano, che svolgano questo compito.
Fino a giugno 2018 si pensava che un sistema di estrazione di carburante dall’anidride carbonica rappresentasse un futuro abbastanza lontano, perché i costi erano sempre troppo elevati. Poi è arrivato uno studio dei ricercatori dell’azienda canadese Carbon Engineering, pubblicato sulla rivista Joule.
Viene preso in esame il metodo della DAC (Direct Air Capture), diverso dalla membrana del Mit. Immagina grandi ventole che aspirano l’aria e un meccanismo che separa la CO2 dall’ossigeno e la stabilizza con una soluzione alcalina. Quello che si ottiene, viene iniettato sottoterra, per lo stoccaggio. Il processo si chiama infatti Capture and Storage, cattura e stoccaggio. Il prodotto immagazzinato può diventare carburante fossile sintetico, che non produce nuove emissioni perché utilizza l’anidride carbonica già emessa nell’aria in precedenza. Una sorta di riciclo di CO2.
La rivista Focus si è concentrata sui costi: si partiva da una stima di 600 dollari per ogni tonnellata di anidride carbonica aspirata. Ma l’impianto pilota della Carbon Engineering, installato nello stato canadese della British Columbia, fa scendere le cifre a un valore compreso fra i 94 e i 232 dollari. L’anidride carbonica stoccata può essere trasformata in vari tipi di combustibile al costo di un dollaro al litro. Tutto un altro livello di sostenibilità, insomma. Grazie a questo studio, si è ipotizzato che un sistema del genere potrebbe entrare effettivamente a regime già nel 2021.
Dal 2017 in Europa esiste un impianto con le stesse finalità. Lo ha installato su un inceneritore vicino a Zurigo l’azienda svizzera Climeworks, che stima di rimuovere 900 tonnellate di CO2 all’anno dall’atmosfera. Il funzionamento è più simile a quello della membrana del Mit, perché è costituito da un insieme di filtri che aspirano l’aria e catturano l’anidride carbonica. L’energia che serve per farlo funzionare arriva direttamente dall’inceneritore. Chi lo ha ideato, voleva arrivare a rimuovere l’1% delle emissioni prodotte dall’uomo entro il 2024, ma strada facendo è emerso chiaramente che le potenzialità di un singolo impianto sono ridotte e ne servirebbero almeno 250mila per raggiungere l’obiettivo.