La Pianura Padana è da tempo una delle zone più inquinate d'Europa, diversi studi lo confermano, anche se precisano che c'è da fare una differenza tra zone "inquinate" e zone "inquinanti". Quest'area non emette più agenti inquinanti di altre zone dell'Unione Europea, ma per via della sua posizione le polveri sottili e il diossido d'azoto alterano la qualità dell'aria.
Secondo il dossier “Mal’aria 2022 edizione autunnale. Verso città mobilità emissioni zero” di Legambiente, nell'ambito della campagna Clean Cities, "nessuna delle 13 città monitorate rispetta poi i valori suggeriti dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), sia per quanto riguarda il PM10 (15 microgrammi/metro cubo) che per il PM2.5 (5 microgrammi/metro cubo) e l’NO2 (10 microgrammi/metro cubo)".
Abbiamo intervistato Giorgio Cattani, Responsabile ISPRA della Sezione monitoraggio della qualità dell'aria e curatore del rapporto nazionale sulla qualità dell'aria ISPRA in coordinamento con tutte le Arpa, per capire quali problematiche si presentano quando si parla di qualità dell'aria.
Un report di Zero Pollution per l'Agenzia Europea per l'Ambiente rivela che il 13,2% dei decessi in Italia dipendono dall'inquinamento atmosferico. Il nostro Paese è al quarto posto in UE per morti legate all'inquinamento. Secondo lei cosa si può migliorare e cosa non ha funzionato finora?
La situazione è abbastanza complessa. Come tutti gli Stati europei affrontiamo il problema dell'inquinamento atmosferico da molti anni. In questa lotta per ridurre l'inquinamento atmosferico ci sono stati degli ottimi successi per alcuni inquinanti, ma rimaniamo a livelli superiori rispetto ai limiti di legge e gli obiettivi dell'Organizzazione Mondiale della Sanità per il PM10, PM2,5, il biossido d'azoto e l'ozono.
Questa è la situazione italiana, il punto è che quello che è stato fatto -nonostante una riduzione sia delle emissioni che delle concentrazioni in questi ultimi 20 anni- non è ancora sufficiente se si osservano due aspetti: il carico emissivo, che comunque è importante in alcune parti del nostro Paese, l'altro è legato ad alcuni aspetti peculiari del nostro Paese, legati sia all'orografia che alla climatologia di alcune zone. Mi riferisco in particolare al bacino padano, caratterizzato per avere problemi in entrambi i campi.
A questo carico emissivo si aggiungono delle situazioni poco favorevoli: assenza di vento e un rimescolamento dell'aria molto debole.
Quali sono i settori che richiedono una priorità d'intervento, i trasporti, l'agricoltura o i consumi domestici?
Una cosa importante è comprendere che il benealtrismo non deve esistere. Gli interventi dovrebbero essere integrati e multisettoriali. Spesso si dà la colpa al traffico, al riscaldamento, all'agricoltura. Bisogna piuttosto risolvere una serie di problemi, partendo da tre grandi direttrici: trasporto su strada, riscaldamento civile e agricoltura e zootecnia.
Anche l'industria è importante, ma dal punto di vista della qualità dell'aria è molto controllata. Deve rispondere a una serie di leggi molto esigenti per cui le industrie sono tenute per legge ad adottare le migliori tecnologie esistenti per ridurre le emissioni. Gli interventi devono essere integrati e sinergici. A scala locale deve essere incentivata la sostituzione degli impianti vecchi, poi deve essere promossa la sensibilizzazione dei cittadini stessi su un utilizzo sensato del riscaldamento, deve essere migliorato il trasporto pubblico.
Prima parlava di un controllo sulle aziende che è molto severo. Secondo lei ci dovrebbe essere un'unità di controllo anche per i consumi domestici?
Per il singolo cittadino è molto difficile attuare dei controlli, specialmente se si ha un impianto autonomo. Personalmente penso che più che il controllo sia la consapevolezza a essere efficace. Una buona fetta della popolazione è sufficientemente ragionevole per capire che, avere un impianto efficiente porta a un tornaconto economico non indifferente.
Le campagne di sensibilizzazione dovrebbero essere il caposaldo, per portare sempre di più le persone ad adottare uno stile di vita in grado di ridurre le emissioni, sono tutte cose che possiamo e dobbiamo spiegare alle persone. Non più di 15 anni fa nessuno di noi separava la plastica dall'umido o dal vetro, adesso è una pratica che fanno tutti in casa. Ci sono dei controlli, però non è tanto il controllo che ha determinato questa abitudine ma la consapevolezza.
Lei in diversi interventi ha sottolineato che i lockdown della pandemia non ci hanno liberato dalle polveri sottili. Quali sono gli strumenti più utili per abbassare la quantità di PM10 nelle città?
Il lockdown è stato un'occasione unica per studiare dal vivo delle misure immaginarie di risanamento della qualità dell'aria piuttosto drastiche. Noi abbiamo visto cosa succederebbe riducendo al minimo il traffico veicolare, in quel modo così drastico abbiamo abbattuto le concentrazioni in aria del diossido di azoto del 50%-60%.
Immaginare dei veicoli che emettono molto poco può essere un futuro realizzabile. Purtroppo non abbiamo visto un'analoga riduzione delle particelle, questo perché per il particolato sono importanti anche le altre sorgenti, come il riscaldamento. Durante il lockdown abbiamo osservato che nonostante le concentrazioni non sono diminuite. Questo ci insegna che non sarà per niente facile ridurre l'inquinamento atmosferico da particolato, nonostante tutti gli sforzi che potremmo fare.