C’è voluto il Covid per fermare le corride in Perù, dove ogni anno vengono uccisi 2.500 tori

La pandemia da Coronavirus ha obbligato ad annullare l’annuale Festival peruviano in cui vengono organizzate le corride. Una svolta storica che gli animalisti attendevano da anni.
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Sara Del Dot 27 Ottobre 2020

Una pratica importata in Sudamerica dai conquistadores spagnoli nel XXVI secolo e tenutasi con ieratica regolarità in ogni parte del Paese. E a cui oggi, a causa della pandemia da Covid-19, il Perù è costretto a rinunciare. Almeno per ora.

Sto parlando della corrida, una tradizione che in Perù supera per importanza addirittura il pallone, tanto che nel Paese sono presenti molte più arene per corrida che stadi da calcio.

Quest’anno, però, il Festival annuale del Señor de los Milagros, il Signore dei Miracoli, che solitamente si svolge a Lima nei mesi di ottobre e novembre, è stato cancellato a causa della pandemia. Non ci saranno tori, quindi, all’interno dell’arena di Acho della Capitale, ma i 14.000 posti che la struttura contiene per accogliere gli spettatori non resteranno vuoti. La struttura infatti al momento viene utilizzata per ospitare i senzatetto colpiti dalla pandemia che non hanno altro posto dove andare. Un utilizzo ben più nobile di quello usuale.

Lo stop della corrida è un avvenimento fuori dal comune per un Paese come il Perù, accolto con entusiasmo da parte degli animalisti e di chi da sempre si oppone a questa e altre tradizioni obsolete e crudeli.

Tuttavia, non poteva mancare l’altro lato della medaglia. Sugli allevatori di tori da combattimento, tantissimi su tutto il territorio, la pressione economica del sostentamento degli animali è tale che in molti si sono trovati costretti a mandare gli animali al macello.