scritto in collaborazione con Sara Del Dot
Patrick vive in Belgio e crede che il vento che ogni sera fa muovere la sua banderuola sia di tutti e da tutti utilizzabile come fonte di energia. Per questo, è da alcuni mesi divenuto co-proprietario di una pala eolica situata a pochi chilometri da casa sua. Eppure non è un imprenditore, né un magnate dell’industria energetica. Patrick è un semplice fruitore di energia, ma ha anche deciso di partecipare alla sua produzione in modo attivo. Ha quindi scelto di sottoscrivere una quota partecipando a una cooperativa che gestisce in modo comunitario diversi impianti diffusi in tutto il Paese finalizzati alla raccolta di energia dal sole, dal vento, dall’acqua.
Patrick è solo un esempio. Come lui, in Belgio ci sono almeno altri 58.000 cittadini che hanno deciso di diventare co-proprietari di impianti eolici, fotovoltaici e idroelettrici, producendo energia pulita e usufruendone grazie a un sistema basato su accessibilità e democrazia. Tutti insieme solo lo scorso anno sono riusciti a risparmiare 60.000 tonnellate di CO2. Questi 58.000 cittadini sono tutti soci di Ecopower, una delle più importanti cooperative europee di persone che hanno scelto di riprendere il controllo dello sfruttamento di una risorsa comune come il sole o il vento, trasformandosi in qualcosa di più che semplici clienti passivi.
Questa è quella che viene chiamata “comunità energetica”. Si tratta di un gruppo di persone che scelgono di investire nell’acquisto collettivo di un parco eolico o di pannelli fotovoltaici, producendo energia e allo stesso tempo consumandola. Da qui il termine “prosumer”, crasi tra “producer” e “consumer”. Il concetto di comunità energetica (energy community), è stato riconosciuto a livello europeo per la prima volta con il Clean Energy Package (Pacchetto per l’energia pulita), che include la direttiva europea 2018/2001 sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, in cui vengono messi in evidenza il valore e i vantaggi che questi modelli possono dare ai cittadini.
Sebbene siano state riconosciute a livello ufficiale solo di recente, però, queste realtà esistono già da diversi anni, soprattutto in alcuni Paesi del nord Europa. REScoop.eu, la federazione europea delle cooperative di energia rinnovabile, conta nella propria rete attualmente 1.500 comunità energetiche, per un totale di oltre un milione di cittadini. “Le energie rinnovabili provengono dal sole, dall’acqua, dalle biomasse e in larga parte dal vento”, spiega Sara Tachelet, Communications Officer di REScoop.eu. “Ma chi è proprietario del vento? Secondo noi, il vento soffia per tutti. Sulla terra, in mare e nell’atmosfera. Pertanto, siamo convinti che tutti i cittadini dovrebbero avere la possibilità di diventare proprietari degli impianti che raccolgono questa energia, siano essi on-shore oppure off-shore”.
Ed è proprio questo lo scopo delle comunità energetiche: restituire ai cittadini qualcosa che è loro da sempre. Secondo il rapporto The Potential for Energy Citizens in the European Union, entro il 2050 la metà dei cittadini europei potrebbe produrre e gestire la propria elettricità da fonti rinnovabili e le comunità energetiche potrebbero coprire il 19% della domanda totale di elettricità dell’Ue entro il 2030 e il 45% entro il 2050.
Qualche esempio? Sull’isola di Tiree, in Scozia, la turbina eolica chiamata affettuosamente “Tilley” dai membri della comunità può generare energia per alimentare fino a 3.650 case ogni anno. In Danimarca, Middelgrunden, il parco eolico off-shore situato a pochi chilometri al largo di Copenhagen, produce fino a 100.000 MWh di energia ogni anno (contribuendo per il 3% all’energia della capitale) grazie alle sue 20 turbine eoliche, possedute per metà da 8.550 soci da una cooperativa di cittadini e per l’altra metà dalla più grande azienda energetica danese, HOFOR. Ma anche un paese mediterraneo come la Spagna non è da meno. La comunità energetica più importante del Paese, Som Energia, con sede a Girona (in Catalogna), conta più di 60.000 soci, suddivisi in 53 gruppi locali distribuiti in tutto il territorio nazionale.
In Italia questo fenomeno è pressoché sconosciuto, ma già da qualche anno anche nel nostro paese piccole comunità energetiche hanno cominciato a muovere i primi passi e lentamente stanno tentando di espandersi in un mercato molto complesso, come quello dell’elettrico. Le tre principali cooperative energetiche in Italia sono ènostra (che conta circa 5500 soci e ha la propria base a Milano), WeForGreen (di Verona, circa 1000 soci) ed Energia Positiva (di Torino, composta da poco più di 330 soci). Mentre all’estero le comunità energetiche sono legate per lo più a un contesto locale, le esperienze italiane hanno una dimensione nazionale. Ciò significa che il socio può essere veneto o piemontese, ma gli impianti di produzione, che siano di proprietà della cooperativa o no, magari si trovano in Puglia.
In comune le tre cooperative hanno la caratteristica di fornire ai loro soci solo energia al 100% rinnovabile con garanzia d’origine. Per entrare a far parte di una comunità basta versare un capitale, una sorta di corrispettivo di adesione, grazie al quale si diventa anche proprietari di una quota dell’impianto di produzione, che può essere fotovoltaico, eolico o idroelettrico. Il “rendimento” del capitale versato arriva poi sotto forma di ristorno, che può tradursi per esempio in uno sconto sulla bolletta. In questo modo si ottiene energia pulita e si partecipa attivamente alla transizione energetica del paese. Insomma, lo stesso meccanismo che abbiamo visto in azione negli altri esempi europei.
“Nel caso di ènostra la quota minima per diventare socio è di 50 euro, che diventa 500 per chi vuole investire. Tendenzialmente chi diventa nostro socio, aderendo alla cooperativa, diventa anche nostro cliente, ossia intestatario del contratto di fornitura per l’energia elettrica di casa”, spiega Gianluca Ruggieri, vicedirettore di ènostra, cooperativa nata nel 2014, che si è fusa nel 2018 con un’altra cooperativa energetica, Retenergie. In sostanza, il contributo iniziale richiesto è alla portata di un comune cittadino, che magari non ha la capacità o la voglia di sostenere da solo, per esempio, un impianto fotovoltaico installato sul tetto della propria abitazione, ma invece è disposto a partecipare a un progetto condiviso.
La logica che ispira le comunità energetiche vuole proprio incentivare un’azione dal basso. “Le rinnovabili sono molto più distribuite sul territorio rispetto alle fonti fossili: i giacimenti di petrolio e di gas si trovano solo in determinati luoghi. Pertanto il solare e l’eolico si prestano di più a uno sfruttamento condiviso e a un modello economico che non deve passare per forza da grandi aziende. Basti pensare alle compagnie petrolifere, che devono mettere a disposizione enormi risorse finanziarie per le attività di estrazione e di trasporto”, aggiunge Ruggieri.
Ènostra possiede una quindicina di impianti, per lo più fotovoltaici su tetto. Complessivamente i suoi soci hanno affidato alla cooperativa oltre 3,5 milioni di euro e in più è stato predisposto un fondo di sviluppo di circa 700 mila euro per la realizzazione di nuovi impianti. “Al momento stiamo ragionando sullo sviluppo di altri cinque impianti di autoproduzione: 2 eolici, 2 fotovoltaici su tetto e un idroelettrico. Avremo bisogno di più fondi e presto ripartiremo con le campagne di finanziamento”, conclude Ruggieri.
Leggermente diverso è il caso di Energia Positiva, cooperativa nata nel 2015, che si occupa solo della produzione di energia elettrica pulita. Per la fornitura collabora infatti con un’altra azienda, DolomitiEnergia. In quattro anni di vita Energia Positiva ha raccolto quasi 3,7 milioni di euro che sono stati reinvestiti interamente in progetti di produzione di energia da fonti rinnovabili. Attualmente la cooperativa ha 17 impianti, 15 fotovoltaici sparsi sul territorio nazionale e due piccoli eolici che si trovano in Basilicata.
Già dal 2011 invece la società ForGreen si occupa dello sviluppo di comunità energetiche sia per le imprese sia per le persone; in quest’ultimo caso attraverso il modello cooperativo WeForGreen, basato sulla condivisione e sulla sostenibilità economica e ambientale. ForGreen, a differenza di ènostra ed Energia Positiva, non possiede impianti eolici, ma ha puntato quasi tutto sul fotovoltaico. “Da una parte veniamo incontro alle esigenze di quelle persone che vogliono consumare energia pulita, dall’altra offriamo un servizio di assistenza e di consulenza diverso dagli altri fornitori”, sostiene Silvia Martina Chiti, responsabile marketing e comunicazione di ForGreen. “Tuttavia, le cooperative energetiche sono ancora percepite come un argomento di nicchia. Il nostro sforzo principale è quello di creare sensibilità sul tema, una cultura energetica”.
Già, il fattore culturale. È probabilmente questo il principale limite che lascia l’Italia così indietro rispetto agli altri paesi europei. Complice anche la pigrizia, l’utente energetico medio nel nostro paese non è adeguatamente informato e molto spesso ignora che ci siano modelli alternativi di approvvigionamento, come appunto quelli “100% rinnovabile” proposti dalle cooperative energetiche. “In Italia abbiamo vissuto una lunga stagione di nazionalizzazione. Fino al 1999 per l’elettricità esistevano solo un ente nazionale, ossia l’Enel, e le grandi aziende municipalizzate come AEM o ACEA. Uscire da una tale logica è un processo che richiede tempo. Facile liberalizzare, difficile mettere in campo un’azione condivisa dei cittadini”, sottolinea Gianluca Ruggieri di ènostra.
C’è poi un contesto normativo in Italia che non ha facilitato gli sviluppi del settore. La situazione però dovrebbe migliorare con il recepimento della direttiva europea 2018/2001, che riconosce l’importanza del ruolo delle comunità energetiche e di un modello come l’autoconsumo collettivo nel processo di decarbonizzazione. Il prosumer è destinato a diventare il protagonista della transizione ecologica.
Infine c’è un altro ostacolo, che riguarda soprattutto il mondo dell’eolico. Ci sono complessità di tipo ingegneristico che non permettono all’Italia di competere con i paesi del Nord Europa, in particolare sull’eolico off-shore. Installare un parco eolico nel mar Baltico infatti è ben diverso da realizzarlo nel mar Mediterraneo. “I nostri mari sono molto trafficati, data la presenza di numerose rotte commerciali e turistiche; ma soprattutto il problema è legato al fatto che le coste italiane sono molto profonde”, spiega l’ingegnere Angelo Selis, autore del libro Energia eolica. Progettazione del sito onshore e offshore. “Un possibile rimedio potrebbe essere il ricorso alle fondazioni galleggianti, che però sono molto più costose. Il mare del Nord e il mar Baltico si prestano meglio ai parchi eolici off-shore perché hanno una profondità che si aggira intorno ai 20-30 metri, e quindi è più facile poggiare le fondazioni su cui poi viene montata la pala”. La soluzione rimane sempre sfruttare la ventosità sulla terraferma, installando turbine eoliche di taglia medio-grande e quindi più potenti. “Ma molto spesso sono proprio gli ambientalisti che si mettono di traverso”, prosegue Selis.
Insomma, è chiaro che è compito della politica e delle istituzioni tracciare la strada. Ma tutti noi cittadini possiamo dare il nostro contributo. Come? Prima di tutto informandoci, per orientare le nostre scelte in maniera più consapevole. “Se vogliamo dei cambiamenti effettivi in un sistema molto complesso, come quello del mercato elettrico, bisogna partecipare o comunque dare alle persone la possibilità di partecipare, allargando il processo decisionale”, afferma Alberto Gastaldo, presidente di Energia Positiva. “Aspettiamo sempre qualcuno dall’alto che ci dia gli incentivi, invece il ragionamento dovrebbe essere un altro: creiamo interesse dal basso per far sì che arrivi anche ai piani alti. Disinteressarsi di un tema fondamentale come l’energia equivale a disinteressarsi del nostro futuro”. In ogni rivoluzione, inclusa quella energetica, non si è mai troppo piccoli per fare la differenza.